VISIONI / BACK TO ANOTHER DARK AGE - CALENDARIO APOCALITTICO 2012
di Miguel Ángel Martín / Nicola Pesce Editore, Roma, 2011 / pagine 26, € 12,90
Scrutando in un oscuro disegno
e conversando
con Miguel Ángel Martín
di Clara Ciccioni
Se dai mondi che disegna a prima vista non si direbbe affatto, Miguel Ángel Martín è un inguaribile ottimista. All’origine dello scenario postumano e (post)apocalittico in cui si muovono Brian The Brain, il bambino cervello, e Cyberfreak, della violenza glaciale e l’umanità asettica evocate dalle tavole di Snuff 2000 e Psychopathia Sexualis, dello scenario sadico in cui opera l’industria musicale di Sicotronic Records non c’è alcun “feroce atto d’accusa alla società moderna”, nessun “assoluto disprezzo verso il genere umano” (per citare il The Indipendent), ma più una spietata ironia, talvolta perfino romantica, un desiderio vagamente diabolico di dipingere con colori attraenti e giocosi la semplice crudeltà della natura umana. L’uomo Martín, infatti, nutre una convinta fiducia nella specie umana, che ritiene sia tra le poche in grado di sopravvivere a un’eventuale catastrofe.
Anche il Calendario Apocalittico 2012 si avvale di questa spietata e amorale ironia per evocare personaggi e creature di un mondo irreale ma possibile, tanto possibile e vicino a quello contemporaneo da produrre nel lettore un’inesorabile inquietudine sottile. Per cominciare, i quattro cavalieri non cavalcano più, ma hanno le gambe mozzate e sono costretti su sedie a rotelle. L’acquario di gennaio è un mondo sommerso dove i pesci sono come annegati in un mare di pietre mentre una creatura umanoide armata di maschera e fucile da pesca domina minacciosamente il suolo. Il giorno dell’epifania l’adorazione è prerogativa dei Dalek, Re Magi di una razza di robot mutanti extraterrestri senza personalità e capaci solamente di odio e rabbia. Nelle profondità di febbraio due pesci geneticamente mutati sembrano voler addentare l’estremità del loro stesso corpo. Il giorno di San Valentino, Cupido è una bambola voodoo ferita e trafitta. A maggio due gemelli seduti a un tavolo sembrano giocare a una roulette russa infinita. A luglio l’Uomo di Latta stringe in mano la testa tagliata del Leone Codardo. A settembre il libro di Daniele incontra la profezia di Charles Manson. A dicembre una creatura transgenica è in mostra nella teca che fu della pecora di Damien Hirst… Lo zodiaco e la profezia Maya sono rivisitati in chiave “martinesca” e contornati di riferimenti alla cultura fantastica contemporanea, dal cinema (Cronenberg, The Bride of Fear) alla letteratura fantastica (Il Mago di Oz), dall’immaginario fantascientifico (Doctor Who) alla storia contemporanea (Hiroshima e Nagasaki, Manson, l’11 settembre). L’amore, la famiglia, la natura, l’arte, di ogni ambito della vita evocato in questo calendario, Martín come sempre immagina e disegna il lato oscuro con tratto chirurgico e nitido e i colori accesi di un mondo che appare congelato e incantato. La festa del papà è un frustino insanguinato, la festa della mamma è un vibratore che consola, il primo maggio è uno sciame di formiche, e non ricorrono natali né madonne, ma equinozi, solstizi, giorno dei morti, streghe e anniversari di guerre e catastrofi atomiche.
Detto ciò, per Martín l’Apocalisse, la sua Rivelazione del lato oscuro dell’umanità, non è altro che una sorta di gioco creativo, un’ottima occasione di dilettarsi con l’eterno equivoco della lotta tra bene e male, e la sua maniera personale di intendere l’arte e la creazione. Miguel Ángel Martín è approdato alla nona arte per piacere e divertimento, e la violenza è stata sin dagli esordi un elemento centrale del suo immaginario. Si stenta quasi a credere che alla fine degli anni Ottanta il quotidiano della sua città natale, La Crónica de León, abbia pubblicato per tre anni consecutivi le strisce giornaliere di Keibol Black (raccolte in volume in Italia da Coniglio Editore nel 2008), una sorta di pulp iperviolento con protagonista un killer cinico e psicopatico nato dall’idea di realizzare una parodia che fondesse il genere gore, i B-movie e il cinema degli eroi, da James Bond a Terminator. Martín stesso se ne stupisce ripensandoci e constatando che a distanza di vent’anni nessun mezzo di informazione accetterebbe mai di pubblicare una striscia del genere (Martín, 2008), oggi che la violenza ha acquisito senz’altro un posto d’onore nella comunicazione di massa, ma prevalentemente per difendere doveri di cronaca e schemi interpretativi di un contemporaneo che trabocca di immagini che “potrebbero urtare la nostra sensibilità”.
Dai tempi di Keibol Black, l’attività di fumettista e illustratore di Martín si è consolidata evolvendo progressivamente verso tematiche più complesse e più forti, fortemente influenzate dalla cultura industrial, da cui Martín attinge a piene mani rielaborando nel suo stile personale la tattica dello shock culturale e lo spirito di un’ironia nera che si confronta con le derive psico-tecno-scientifiche del mondo contemporaneo. Le sue storie hanno come protagonisti bambini deformati da esperimenti genetici, malati terminali vittime d’inquinamento e radiazioni, madri costrette a lavorare come cavie nei laboratori farmaceutici, parafilie violente… in un gioco al rilancio in cui la rappresentazione di un’umanità bestiale, animale in quanto aliena a leggi morali, e al contempo protagonista/vittima di un’evoluzione complessa del linguaggio, sposta continuamente i confini dell’immaginazione e sovrappone l’effetto comico a una specie d’inquietudine cognitiva ed emotiva. Il maniaco che crea orifizi nei corpi attraverso spari d’arma da fuoco per poi praticarci sesso (Psychopathia Sexualis), la band di successo che registra urla di gatti massacrati con una motosega (Sicotronic Records), sono combinazioni di violenza e humor che ripropongono frammenti di realtà spingendoli sempre un poco più avanti su sentieri già visibili. L’approdo dell’opera di Martín all’Italia avviene grazie all’editore argentino Jorge Vacca, proprietario della Topolin Edizioni, che pagherà cara la decisione di pubblicare Psychopathia Sexualis (riedito nel 2008 da Purple Press), un inventario immaginario a fumetti di parafilie estreme e violente, ambientate in un oscuro quotidiano intriso di solitudine e alienazione.
Il giorno successivo al deposito legale delle copie, il fumetto fu sequestrato dalla procura di Cremona nel 1996 e divenne causa di una lunga vicenda legale iniziata con una denuncia all’editore per induzione alla pedofilia e proseguita, due anni dopo la sua assoluzione, con l’irruzione della polizia giudiziaria nella sede milanese della casa editrice (e dimora privata di Vacca), il sequestro di tutto il “materiale pedofilo” – ovvero le copie di Psychopathia e Brian The Brain, nonché di tutte le illustrazioni e i disegni in cui comparivano bambini – e una nuova denuncia per induzione alla pedofilia, ritirata al termine di una battaglia legale conclusasi con l’assoluzione di Vacca e la decisione del tribunale di Torino di restituire all’editore il materiale sequestrato. Se soltanto in Italia il fumetto di Martín fu oggetto di un intervento censorio e giudiziario, in altri paesi, come l’Argentina e la Gran Bretagna, incontrò comunque difficoltà di distribuzione e chiusure da parte degli stessi editori del circuito “underground” (cosa che, per inciso, contribuì non poco ad alimentare il culto dell’autore spagnolo tra i lettori di fumetti), che talvolta si spinsero fino al rifiuto di mantenere qualunque contatto con l’autore (Acroiar, 1999). È probabile che tanto accanimento e l’evidente incapacità di digerire i contenuti dell’opera di Martín siano dovuti proprio all’effetto straniante prodotto dal suo sarcasmo nero e glaciale, presentato in quella veste limpida e inequivocabile che elude totalmente il giudizio e la denuncia per lasciare il campo unicamente a una sorta di esercizio di misurazione delle possibilità del genere umano di produrre sofferenza, morte, dolore ed emarginazione nel mondo contemporaneo impiegando la scienza e la tecnologia.
Il campo delle possibilità si amplia fino a diventare “troppo” quando non è processabile da linguaggi e strutture di pensiero in fondo in fondo manichei, in grado di rispecchiare la natura umana alla stregua di una riproduzione in scala di grigi di un dipinto di Jackson Pollock. E nel gioco di Martín cadono anche certi difensori della sua opera che, ribaltando l’equivoco interpretativo che porta i censori ad accusarla di istigazione all’omicidio, al suicidio e alla pedofilia, credono di rintracciarne l’essenza in una presunta denuncia della violenza nella società. “Risulta curioso come ognuno veda nella mia opera quello che vuole vedere: chi un’istigazione al reato, chi una denuncia dello stesso” (Smoky Man, 2001). Ed è a questa sorta di corto circuito cognitivo, provocato dalla visione del “male in versione cartoon”, a quel “pericolo di rimanere infettati” che probabilmente è dovuta la lunga assenza di una critica adeguata all’opera dell’autore spagnolo, come notava Massimo Galletti nella sua introduzione all’ultima edizione italiana di Brian The Brain, un’opera conosciuta “per i motivi più diversi, dallo stile alla moda, dalle censure agli argomenti scioccanti, ma sempre come cronaca e costume, quasi mai trattata per il suo valore specifico” (Galletti, 2006). Un po’ come succede per certi ambiti del cinema horror: quando la violenza è presentata al di là del bene e del male, quando nessuna voce fuori campo e nessuna colonna sonora guida lo spettatore nel giudizio, la critica generalmente non si scomoda a valutare l’opera in sé, e si limita a considerarne il valore di prodotto di genere.
Di certo c’è che Martín non sembra aver mai sofferto di questo inquadramento superficiale delle sue opere, né per le difficoltà di pubblicazione né per le censure subite, di cui si è anzi rivelato “acerrimo difensore, perché fa bene agli affari”. Anche questo fa parte del gioco. Ma l’obiettivo è “esporre, riflettere un mondo […] indagare le relazioni tra gli esseri umani e le nuove tecnologie, capire in che modo le nuove tecnologie o i cambiamenti sociali rapidi incidono sulla specie umana” (Acroiar, 1999). Se il nostro pianeta non è destinato a soccombere agli sgoccioli di questo famigerato 2012, il campo di ricerca è potenzialmente infinito. Ci auguriamo che l’immaginazione continui a lavorare. Sicché l’abbiamo chiesto allo stesso Martín, domandandogli dell’apocalisse, della fantasia dei Maya, della Nuova Età Oscura e di altre storie che stanno a margine…
Per iniziare, che cosa può dirci della Nuova Età Oscura che dà il titolo al calendario?
La prima età oscura è stata il Medioevo, perché non c’erano informazioni. Ma secondo me, e secondo altri autori, oggi siamo in un’età oscura non per la mancanza di informazioni ma per un eccesso di informazione. Un concetto che ho preso per la prima volta da un disco degli SPK. E c’è stato anche un ritorno alle vecchie superstizioni del Medioevo: l’astrologia, la magia ecc.
Crede che una sorta di apocalisse si stia davvero avvicinando?
Per me è solo un gioco, non sono una persona “apocalittica”, non credo in queste cose, ma mi sembra fantastico poter giocare e fare arte con il concetto. Il calendario è un buon esempio del mio modo di intendere lo zodiaco e la profezia Maya.
Lo zodiaco e la profezia Maya insieme a Cronenberg, Doctor Who, Il Mago di Oz… A settembre la profezia di Charles Manson incontra il Libro di Daniele, i giorni contati di Babilonia. L’11 settembre come evento apocalittico?
Esattamente, è un’apocalisse anticipata, come il diluvio universale. A ogni cambio di millennio l’essere umano crede di trovarsi di fronte all’apocalisse: anno Mille, Medioevo, Armageddon; anno Duemila, ricordiamoci l’idea del Millennium Bug. Doveva esserci la fine del mondo, ma non è successo niente, e non succederà niente l’anno prossimo, come non succederà niente l’anno dopo ancora. Questa è una crisi economica forte, ma non succederà niente, non ci sarà alcuna apocalisse, nessun Armageddon.
Penso che quando si attraversa un’epoca di troppi cambiamenti, la gente ha più paura. Questo vale per tutto: il cambiamento climatico, tecnologico, economico… Credo che il mondo finirà quando il Sole, tra due milioni di anni, sarà diventato una nana rossa e tutto avrà fine. O meglio, la fine avverrà prima perché quando il Sole sarà diventato una nana rossa la vita sulla Terra sarà sparita da un pezzo, ma io sono molto ottimista: l’unica specie che ha una possibilità su un milione di sopravvivere è la specie umana, perché ha la tecnologia per colonizzare altri pianeti e altri universi fuori della Terra. Forse la Terra sarà finita ma tra un milione di anni altri pianeti potranno essere abitabili.
Sempre che non finiscano i carburanti o si blocchi la produzione di energia o collassi il sistema economico che li produce…
Il carburante non serve per andare su Marte… e comunque questo cambiamento climatico ha causato un’apertura del ghiaccio al Polo Nord, che ha reso possibile il passaggio delle barche e la scoperta di giacimenti di gas e petrolio. Probabilmente la prossima guerra scoppierà là.
Lei sostiene che la crisi economica attuale è una crisi passeggera. Pensa che sarà risolta nell’ambito del sistema capitalistico come lo conosciamo ora o che l’uscita dalla crisi produrrà un modello economico nuovo?
Tutte le crisi economiche sono passeggere. M’interessa più la crisi intesa come cambiamento da una società all’altra. Il mondo è cambiato molto di più in trent’anni che nel resto del tempo. Il capitalismo NON è un sistema. È l’espressione nuda e cruda della natura umana e pertanto si tratta di un fenomeno spontaneo. Si considera che sia sorto in forma spontanea nel XVI secolo con la caduta degli stati feudali e lo si collega all’apparizione del protestantesimo. Però possiamo parlare di “capitalismo” nell’antico impero romano e tra i fenici, commercianti per eccellenza. Per me il capitalismo sorge, in forma spontanea, con la rivoluzione agricola, momento in cui si scopre una tecnica che permette di lavorare la terra, coltivarla e generare surplus di ricchezza: proprietà privata. Tutto ciò che non è capitalismo sono sistemi, che non sono altro che i “mostri che generano il sonno della ragione” (Goya). In questo senso, parafrasando Andy Warhol quando disse “preferisco la città alla campagna perché in città ci sono parti di campagna ma in campagna non ci sono parti di città”, anch’io preferisco il capitalismo all’anticapitalismo, perché nel capitalismo ci sono parti di anticapitalismo, i movimenti antiglobalizzazione, anticapitalistici o ecofascisti. In altre parole, l’industria del business della protesta, che non è altro che un sottoprodotto del capitalismo. Senza dubbio nell’“anticapitalismo” non ci sono parti di capitalismo.
Veniamo al fumetto. Molti dei suoi lavori contengono suggestioni fantascientifiche, e come nella fantascienza contemporanea si tratta di storie sempre al limite tra un futuro prevedibile e la realtà che viviamo, come Brian The Brain o Cyberfreak, che descrivono scenari in qualche modo familiari…
Un futuro che di fatto è qui. Quando ero più giovane sono stato un grande lettore di fantascienza; è curioso come quasi tutta la fantascienza sia sempre pessimista. Quella degli anni Quaranta e Cinquanta era molto pessimista, sono passati più di cinquant’anni e cosa è successo? Niente, tutto è migliorato: più tecnologia, più gente vive meglio; ovviamente c’è sempre la fame, ma c’è meno fame, ci sono meno guerre.
La fantascienza degli ultimi decenni è più rivolta al presente che al futuro, in effetti. E forse per questo negli ultimi anni si registra una sorta di crisi nel genere e un grande ritorno del fantasy puro... crede che la letteratura fantascientifica sia morta, che abbia esaurito in qualche modo il suo compito nella società?
Non lo so. Da quando ho scoperto James Ballard non mi sono più interessato di fantascienza. È molto probabile che sia vera l’ipotesi della morte della fantascienza, ma il fantasy puro non mi interessa affatto. In particolare non ho mai potuto sopportare le saghe tipo Dune o Guerre Stellari, che non sono altro che un plagio del Signore degli Anelli, che a sua volta è un sottoprodotto del classico epico L’Anello dei Nibelunghi. D’altra parte, l’attuale avanzamento della tecnologia e della scienza hanno limitato molto il campo di speculazione. Oggi quasi tutto ciò che la fantascienza ha trattato è praticamente possibile, o lo sarà a breve: viaggi su Marte, clonazione, robotica, manipolazioni genetiche, o il fenomeno internet, che nessuno scrittore né futurologo è riuscito ad anticipare, neppure Alvin Toffler.
Crede che il mondo sia migliorato anche nella realizzazione dell’immaginario fantascientifico più contemporaneo, quello ballardiano ad esempio (Condominium, ad esempio)?
Ballard è il mio autore preferito. Ballard non è propriamente un autore di fantascienza, in lui c’è più scienza che fantasia, lui descrive il nostro mondo contemporaneo essenzialmente. I miei riferimenti principali sono Ballard (soprattutto La mostra delle atrocità e Crash) e William Burroughs naturalmente. I miei interessi di ricerca principali sono i tre campi della scienza, della tecnologia e della pornografia.
Sì, molte delle cose che scrive Ballard si possono vedere, vivere sulla nostra pelle. Ritiene che sia un miglioramento?
Secondo me sì, il mondo è migliorato. Prendiamo ad esempio l’aspettativa media di vita nel confronto tra oggi e il Medioevo. Cos’è meglio, oggi o il Medioevo? Oggi. Penso che si tratti di un concetto erroneo, la gente pensa in termini di mondo migliore o peggiore, non è una questione di mondo migliore o peggiore, è una questione di natura umana. La natura umana non è cambiata, la natura umana è meno violenta quando ha ricchezza, un paese ricco ha meno violenza di un paese povero.
Di fatto, però, esistono delle forme di violenza legate alla ricchezza (come quelle che subisce Brian, la sperimentazione genetica, ad esempio, o le devianze sessuali violente descritte in Psychopathia Sexualis), che costituiscono appunto i temi principali delle sue opere, dalle quali traspare uno sguardo più ironico che angosciante. Che radici ha questo suo approccio ironico alla violenza?
La violenza fa parte della natura umana, e della natura delle altre specie, soprattutto gli scimpanzé, la specie più simile alla nostra, e che secondo Edward O. Wilson, il padre della sociobiologia, è la specie più aggressiva che si conosce: “Se gli scimpanzé possedessero armi atomiche, il mondo sarebbe distrutto in pochi secondi”. Credo che la ricchezza e la prosperità, in generale, diminuiscano la violenza in termini generali, ma non possano sradicarla. Statisticamente parlando oggi ci sono meno guerre e meno persone che muoiono di fame nel mondo rispetto a cinquant’anni fa. Se tutti i paesi del mondo raggiungessero lo stesso livello di sviluppo, non vedo probabile che si facciano guerra tra loro. Senza dubbio ci sarebbero molti meno conflitti. Però continuerebbero a esistere omicidi, assassinii e stupri. I maschi di quasi tutte le specie, specialmente i mammiferi, sono aggressivi con le femmine e lo stupro è una cosa abituale. La specie umana, come animale singolare e particolare, non è esente da ciò. Quanto all’approccio ironico alla violenza, è il mio modo di vedere le cose. Niente di ciò che è umano mi è estraneo e prendo le cose con senso dell’umorismo, ovvero con ironia. Credo che l’essere umano sia criticabile e “satirizzabile” come tale, in tutto. In tal senso non faccio distinzioni tra il “bene e il male”, il ricco e il povero, lo scaltro e il tonto, il forte e il debole… Tutto fa parte della stessa cosa: NATURA UMANA. Senza dubbio è la mia specie preferita. La credenza, falsa, che l’essere umano sia una specie dannosa, malvagia o pericolosa, e un’altra delle religioni in cui non credo. Come specie, non siamo migliori né peggiori degli scimpanzé, gli scorpioni o la mantide religiosa: uno ogni cinque maschi sono divorati durante la copula.
Nella lettera di solidarietà che le inviò dopo il sequestro in Italia di Psychopathia Sexualis, Milo Manara scrisse che la pornografia, la letteratura e l’arte che rappresentano pornografia e violenza, hanno la funzione di smorzare l’aggressività, gli istinti bestiali, placare l’ossessione, un po’ come i sogni. Esiste un rapporto tra i sogni e le storie che lei disegna?
Approfitto per ringraziare ancora una volta il grande Milo Manara per la brillante lettera di supporto che mi inviò. Credo che abbia abbastanza ragione, lo stesso Ballard pensava qualcosa del genere rispetto alla violenza nei media. Non c’è nessuno studio che dimostri il legame tra violenza nella finzione e violenza reale. Si tratta di un’altra manipolazione volta a non assumersi responsabilità. Non mi autocensuro mai, credo che sia ovvio leggendo i miei fumetti, ed è questo che i miei fumetti hanno in comune con i sogni, la mancanza di autocensura, che è fondamentale nella creazione artistica libera. Se non possiamo essere “liberi” nel sogno e nell’arte, allora smettiamola subito.
LETTURE
× Acroiar, Intervista a Miguel Ángel Martín, 1999 (http://ordanomade.kyuzz.org/miguel.htm).
× Juno Andrea e Vale, Manuale di cultura industriale, Shake Edizioni, Milano, 1998.
× Manara Milo, Lettera di solidarietà a Miguel Ángel Martín, reperibile sul sito di Topolin Edizioni. (http://topolined.tripod.com/Milo_M.html).
× Galletti Massimo, Con gli occhi aperti e il cuore nel cervello, introduzione a Martín Miguel Ángel, The Complete Brian The Brain, Coniglio Editore, Roma, 2006.
× Smoky Man, Intervista a Miguel Ángel Martín, Ultrazine, 2001 (http://www.ultrazine.org/ultraparole/martin.htm).