VISIONI / AGEROLAND


di Carlotta Cerquetti / Talunafilm, Napoli Film Festival 2011


Il sociologo, l'etnografo e il tabaccaio di paese

di Paolo Landri

 

Descrivere luoghi e persone senza cadere in cliché non è un’operazione semplice, soprattutto se luoghi e persone sono ripetutamente raccontati, come accade nel caso di aree a vocazione turistica, oppure nel caso di città ampiamente narrate attraverso il cinema o la televisione, in modelli di racconto predefiniti e prevalentemente stereotipati, dove fatti e finzione finiscono per confondersi, contaminarsi, mescolarsi.

Sul piano concreto sono osservabili diversi processi di contaminazione, nei quali la differenza fatto/finzione risulta meno netta e sono presenti entrambe le dimensioni, cosicché la documentazione empirica è raccolta attraverso procedimenti quasi etnografici, ma l’elaborazione del materiale segue le regole della produzione cinematografica del documentario. Un modo per esaminare quali possono essere e come si sviluppano i processi di contaminazione tra fatti e finzioni, quali siano i network attraverso i quali si costruiscano e quali effetti producano, è offerto dal recente lavoro della regista Carlotta Cerquetti che, con il docu-film Ageroland, propone un diario minimo di piccole storie di Agerola, un paese campano in provincia di Napoli collocato in un luogo di transito tra la penisola sorrentina e la costiera amalfitana. Di recente, inoltre, Ageroland ha ricevuto il premio “Avanti”, che prevede l’inserimento nel circuito distributivo Lab 80, nell’ambito della XIII edizione del Napoli Film Festival a metà di ottobre del 2011. Il docu-film è il prodotto di una (video)etnografia realizzata in collaborazione tra la regista e un tabaccaio di Agerola che rappresenta l’informatore e il mediatore culturale che ha garantito l’accesso ai micro-mondi sociologici della città. Il prodotto emerge, quindi, dall’intersezione dell’occhio della regista e delle reti sociali del tabaccaio che si sviluppano a partire dalla quotidianità della tabaccheria. Si tratta, in questo caso, di un’etnografia “involontaria” – nel senso che non nasce come un progetto etnografico e, tuttavia, ne ricalca le orme, poiché ha comportato, come nel caso di un’etnografia “consapevole”, una prolungata presenza sul campo, durata più mesi nel corso di un anno: un’immersione che ha comportato la registrazione di eventi e di interviste, e video-osservazioni di ciò che accade nella tabaccheria (clienti, persone, amici, etc.).

La documentazione così raccolta è stata poi elaborata in modo professionale allo scopo di trasformarla in un film, in un prodotto di finzione secondo un genere, quello documentario che, però, condivide con l’etnografia la tensione alla descrizione dei “fatti”. Lo spunto di Ageroland rinvia al film del 1995 Smoke (Wang, 2005), interpretato tra gli altri da William Hurt e Harvey Keitel, nel quale una tabaccheria di New York, ed in particolare di una strada di Brooklyn, diventa il luogo d’osservazione e di incontro di mondi sociali. In Smoke, che poggia sul talento e sulla scrittura di Paul Auster, il tabaccaio coltiva il singolare hobby di scattare una foto al giorno sempre da un punto di vista immediatamente prospiciente la tabaccheria, di collezionare quindi foto che riguardano sempre lo stesso punto di vista attraverso il tempo e di vederne le variazioni che ineriscono alla situazione meteorologica, agli eventi che ci sono, alle auto che passano, alle persone che sono capitate inconsapevolmente nell’occhio della macchina fotografica. Si tratta, come poi si avrà modo di sapere al termine del film, di una macchina fotografica rubata, come del resto “rubati” sono i frammenti di vita che la fotografia cattura e che il film sapientemente compone.

In questo senso, il film ricostruisce i micro-mondi sociali del vicinato e descrive vite intrappolate i cui drammi interiori vengono descritti ed osservati nella loro quotidianità. E la macchina da presa volge il suo sguardo e dirige il focus d’osservazione più che verso l’esterno, verso la psicologia dei personaggi: una psicologia che si rivela agli spettatori nello sviluppo della narrazione con il collante e l’accompagnamento del tabaccaio Auggie e dello scrittore che sono al tempo stesso osservatori e protagonisti nelle/delle vite altrui.

Lo schema di Smoke si trasforma in Ageroland in dispositivo per dare voce ed organizzare materiali documentari: immagini, interviste, osservazioni che riguardano vari aspetti della vita quotidiana del paese attraverso quelle figure che fanno da collettori tra i micro-mondi, che li mettono in comunicazione e che passano attraverso la tabaccheria. Le storie trovano il loro punto di incontro in una tabaccheria e in un tabaccaio (Sabatino, più affettuosamente chiamato da tutti, Sabi) che sono il punto di partenza ed il collante di una descrizione inattesa di un paese perennemente al confine tra montagna e mare, in questo caso sempre e solo la Costiera Amalfitana. La tabaccheria e la rete del tabaccaio diventano l’osservatorio di frammenti di vita (una “finestra sul cortile”, per usare un riferimento cinematografico) dell’Agerola contemporanea che viene rappresentata non solo come un luogo fisico, ma piuttosto come un paesaggio dell’anima, come un luogo che attrae e che respinge, dal quale si parte e al quale si ritorna in modo circolare, che sembra talora intrappolarti in un destino non-moderno, ma che attrae in modo paradossale, per una bellezza naturalistica così eccessiva da pesare quasi come una condanna. Nel docu-film incontriamo miscele di nuovo e di antico, di moderno e di tradizionale, di arcaico e di post-moderno che si rivelano attraverso inedite sperimentazioni biografiche e sociologiche: il cantante neo-melodico, irresistibile nella simpatia e negli “inciampi linguistici”; un ospite di una casa di cura (Geremia), un “Candido” contemporaneo; un imprenditore che produce per il mercato della Cina e che si proietta nel contesto dei meccanismi economici più avanzati della globalizzazione; la postina “porta a porta”, figura quasi mercuriale di buone e di meno buone notizie per i suoi destinatari; il professore, custode della memoria scientifica e naturalistica dei luoghi, che ama mostrarli a coloro che li visitano; un tassista che svolge la sua attività tra Agerola, Positano e dintorni costretto dalla stagionalità del lavoro (“Qui si lavora per sei mesi e per sei mesi si è disoccupati”); l’emigrante di successo che ha fatto fortuna in America, ha un locale a New York, e ha i figli oltreoceano; la calciatrice mancata attraverso la quale si produce un piccolo sguardo sulla condizione femminile del ceto medio delle donne di Agerola, ormai lontana dalle tradizionali destinazioni sociologiche. Emergono ibridazioni e condensazioni tra passato e presente, tra visioni scettiche e religiose che (ri)producono un punto di vista forse non convenzionale su Agerola, dando voce a ciò che di solito non viene rappresentato, piccole verità micro-sociologiche lungo il continuum locale-globale. In questo caso si produce una contaminazione tra film e materiale documentario di ottima fattura, che mette insieme un prodotto culturale professionale con contenuti quasi etnografici che contribuisce a far comprendere come si stiano trasformando sociologicamente i luoghi del sud contemporaneo. Il docu-film attraverso l’assemblaggio tra fatti e finzioni approda ad un modo ironico di raccontare che costituisce una piccola innovazione rispetto alle dominanti occasioni di rappresentazione verso l’esterno di questi luoghi (come accade nelle sagre e nelle feste tradizionali) che si sviluppano seguendo canoni e forme del tutto sganciate dal presente e che ripetono stancamente un passato ormai assente.

Il caso di Ageroland, ma anche di altri fortunati esperimenti dello stesso tipo (si pensi ad esempio al delizioso film Kitchen Stories di Bent Hamer, 2004), nel quale sono gli stessi procedimenti dell’osservazione sul campo a diventare oggetto e soggetto del film, e di tutta quella letteratura nella quale si sviluppa un dialogo con i fatti scientifici di altri discipline (basti citare per tutti, i lavori di Calvino, 2003), indica, dunque, che la contaminazione di fatti e di finzione può produrre effetti positivi di cortocircuitazione in almeno tre direzioni che riguardano: a) le modalità di acquisizione delle conoscenze sociologiche ed antropologiche b) l’immaginazione sociologica c) i processi di ri-costruzione della memoria contemporanea.

Il primo cortocircuito dal punto di vista della fruizione implica che la visione di un docu-film aggiunge liveness ai dati, attiva, in altri termini, un ambiente di apprendimento interessante che genera emozioni ed identificazione, laddove la classica comunicazione di dati scientifici può produrre, invece, una rappresentazione “piatta” della documentazione empirica. In modo analogo, e dall’altro lato della macchina da presa, la produzione di un docu-film può essere un’esperienza di costruzione di conoscenza sociologica. Il cortocircuito tra fatti e finzioni ha effetti benefici sull’immaginazione sociologica che non si chiude nei suoi vocabolari, ma accetta la sfida di dati empirici spuri e il confronto con linguaggi e dispositivi disciplinari diversi.

In questa direzione, come osserva Paolo Jedlowski parlando della relazione tra sociologia e letteratura “Il sociologo vi impara ad ampliare la sua visione del mondo, a conoscere meglio la vita, e le sue trame, a esplorare i sentimenti e la complessità dell’anima... fare insomma tutto ciò che permette l’esplorazione dei mondi possibili di cui essa [la letteratura] consiste” (2003). E, si potrebbe aggiungere, migliora la capacità di comprendere, di teorizzare e di generare domande sensate che siano radicate nella complessità dei fenomeni della società contemporanea. Infine, tale contaminazione, una volta che si riesca a costruire un collettivo intorno (come è in parte avvenuto nel caso di Ageroland nella fase di produzione del docu-film, ma anche nel corso delle sue proiezioni collettive), incide sui processi di costruzione e di rappresentazione della memoria dei luoghi, poiché rende visibili i processi di trasformazione che inesorabilmente incidono sulle dinamiche e sulle strutture dei contesti sociali e inizia a liberarli dal peso di tradizioni stereotipanti nelle quali finiscono per essere intrappolati anche a danno della loro capacità di immaginare e di proiettarsi nel futuro.

Ora, vi sono diversi modi di descrivere sociologicamente che comportano l’uso di tecniche quantitative e qualitative: si può, infatti, mappare con tecniche ed applicazioni statistiche, così come si può descrivere, scegliendo metodi qualitativi che hanno come obiettivo l’esplicitazione del punto di vista dell’altro attraverso procedimenti finalizzati alla comprensione e alle dinamiche dei fenomeni che si osservano.

In questo quadro, soprattutto quando si tratta di focalizzare l’attenzione sul descrivere, l’indagine sociologica volge il suo sguardo verso l’etnografia e l’antropologia che hanno codificato nel tempo metodologie attente a visualizzare la dimensione culturale dei fenomeni sociali. Dal punto di vista metodologico, l’etnografia, del resto, è sempre stata una tecnica di indagine molto eclettica, attenta a cogliere di volta in volta la necessità di aggiornamento del metodo, mantenendo una sua riconoscibilità in quanto canone della ricerca antropologica e sociologica. L’uso della fotografia, del video e di recente l’ampio ricorso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione come nel caso delle forme più sofisticate della virtual ethnography (Hine, 2008) o della cyber-ethnography (Teli, Pisanu e Hakken, 2007) ha finito per arricchire le potenziali tecniche di raccolta e di analisi del dato etnografico, contribuendo a rendere il percorso di ricerca sul campo sempre più attento a cogliere la ricchezza dei dettagli e a mettere in difficoltà la riconoscibilità del canone, avviando, in modo parallelo, un ripensamento della ricerca etnografica che sembra indirizzarsi al di là del prevalente approccio modernista (si veda l’interessante dibattito sull’etnografia a partire dalla pubblicazione del testo di Clifford e Marcus, 1986).

Ciò ha aperto a processi di ibridazione tra etnografia e uso dei media che hanno finito per riguardare sia l’oggetto dell’etnografia, sia gli stessi attrezzi dell’indagine etnografica, compresi gli strumenti multimediali. In questo senso, si può dire che l’etnografia è entrata nel mondo della multimedalità e l’osservazione e la rappresentazione (la ricostruzione) dei mondi sociali sono diventate sempre più sofisticate.

Naturalmente, gli obiettivi dell’etnografia e della produzione mediale sono diversi, perché il patto comunicativo che lega l’autore al suo lettore nell’una e nell’altra procedura di elaborazione/rappresentazione dell’oggetto, come sottolinea Jedlowski (2003) a proposito delle differenze tra scienze e letteratura, è di tipo diverso. Tale patto è tacito e convenzionale e riguarda regole, finalità e aspettative nella scrittura e nella fruizione del testo. Il patto che riguarda la produzione mediale è la finzione: la plausibilità emerge nel corso della narrazione e lo scrittore non deve dimostrare la verificabilità, o la falsificabilità di ciò che scrive (ibidem). Nel caso dell’etnografia, invece, il ricercatore tende a dimostrare la verificabilità di ciò che afferma e scrive, esplicita i metodi che sono alla base dei suoi elaborati allo scopo di rendere evidenti la validità dei suoi asserti.

Naturalmente, si tratta di processo continuamente in progress, essendovi nel procedimento scientifico (come anche all'interno dei processi di produzione mediale) alcuni aspetti che rimangono taciti (come aveva già osservato Polanyi, 1967) e non dimostrati(bili), come le teorie dalle quali muovono gli enunciati e si sviluppano le ipotesi empiriche. Si producono, in ultima analisi, sempre combinazioni di fatti-finzioni, o come direbbe Latour (2005), fatticci, assemblaggi di fatti e feticci.


 

LETTURE

× Calvino Italo, Le cosmicomiche, Mondadori, Milano, 2003.

× Clifford James, Marcus George E., Writing culture: The poetics and politics of ethnography, University of California Press, Berkeley, 1986.

× Hine Christine, Virtual ethnographies: Varieties, modes, affordances, In Handbook of Social Method on Line, London, Sage, 2008.

× Jedlowski Paolo, Fogli nella valigia. Sociologia, cultura e vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, 2003.

× Latour Bruno, Il culto moderno dei fatticci, Meltemi Editore, Roma, 2005.

× Polanyi Michael, The Tacit Dimension, Anchor Books, New York, 1967.

× Teli Maurizio, Pisanu Francesco e Hakken David, The Internet as a library-of-people: For a cyberethnography of online groups [65 paragraphs], Forum Qualitative Sozialforschung / Forum: Qualitative Social Research, 8(3), Art. 33, 2007, http://www.qualitative-research.net/index.php/fqs/article/view/283

 

VISIONI

× Hamer Bent, Kitchen Stories, Elle U Multimedia, 2004.

× Wang Wayne, Smoke, Cecchi Gori, 2005.