LETTURE / AURA
di Carlos Fuentes / il Saggiatore, Milano, 2011 / pagine 82, € 6,90
Fino alla fine del Mito e ritorno
di Adolfo Fattori
Un giovane storiografo messicano, supplente di storia per sbarcare il lunario, decisamente colto, addirittura borsista alla Sorbona di Parigi, prima di tornare in Messico, una mattina, nel sudicio bar in cui fa colazione, legge su un quotidiano un annuncio che sembra sia fatto apposta per lui: qualcuno cerca uno storiografo, giovane, che conosce il francese, e gli offre vitto, alloggio, e 3.000 pesos mensili. Felipe Montero, questo il suo nome, non ci crede, si convince che ormai sicuramente qualcun altro lo ha già preceduto, e non risponde. Ma il giorno dopo ritrova la stessa inserzione e il compenso proposto è aumentato: 4.000 pesos mensili!
Non può più traccheggiare come ha fatto il giorno prima: non ci sono stati altri candidati, a rispondere; non è uno scherzo architettato (chissà in che modo, e da chi, e perché) per lui; non ha letto male: deve rispondere! Deve andare all’indirizzo scritto sull’annuncio… Certo, è sorprendente, l’inserzione sembra tagliata su di lui, come un vestito, “Manca solo che le lettere più nere dell’annuncio, quelle che più risaltano, dicano: Felipe Montero. Cercasi Felipe Montero, già titolare di una borsa di studio alla Sorbona […]” (p. 8), e così via.
Felipe va all’indirizzo indicato e, varcato un portone, entrato in un androne buio, guidato nei suoi passi da una voce che non sa da dove proviene, senza che nessuno gli venga incontro a riceverlo, si ritrova in un luogo che sembra separato dal resto del mondo, dove il tempo, come l’aria che respira, sembra denso, colloso, lento. L’edificio è antico, arcano, non se ne percepiscono bene le dimensioni, attraversato e abitato com’è da rumori lontani, indecifrabili, appena accennati.
La committente del lavoro è un’anziana signora, Consuelo, vedova di un certo generale Llorente, a sentir lei un grand’uomo, straordinario, e di cui chiede a Montero di revisionare e sistemare le carte: carteggi, memorie, diari. La vecchia è a letto, in una stanza buia, che si indovina trascurata, soffocante, polverosa, dove da tempo non si apre una finestra, non entra la luce, non cambia l’aria. Le carte del generale sono in un baule, che Felipe percepisce come spesso visitato dai topi. Insomma, un luogo inquietante, perturbante…
Ma c’è Aura, la giovane Aura, lieve, silenziosa, discreta. Bellissima. Felipe ne viene – immediatamente – stregato. Aura, di cui non riesce a penetrare il mistero: quello dei suoi occhi di un verde impossibile, e della relazione che la lega a Consuelo: se sia una servetta, una parente, un’infermiera, o chissà cos’altro. Sicuramente, è bellissima, e ammaliante. E il giovane – quasi incredulo – ne viene conquistato, non solo nell’anima, ma anche col corpo. Sì, perché non deve corteggiarla più di tanto: lei, desiderata ma inattesa, appare nella stanza di lui, e gli si concede. O forse è lei, a prenderlo per sé? Perché la situazione appare a Montero sempre più strana, indecifrabile: le due donne, ad esempio, quando cenano tutte e due con lui, fanno gli stessi gesti, compiono gli stessi movimenti, se l’una parla l’altra tace, quasi fossero la giovane l’immagine virtuale della vecchia, una sua proiezione, o un suo doppio…
Felipe si ritrova preso in un vortice, un incantesimo cui concorrono la lettura e riscrittura delle carte di Llorente e la relazione con le due donne, si sente avvolto in avvenimenti e sensazioni difficilmente decifrabili. Fino a scoprirsi essere invaso dal generale, essere lui, e ritrovarsi a far l’amore con Consuelo, come evocato da un antico passato, quasi che davvero l’inserzione sul giornale fosse stata pubblicata per questo Felipe Montero che non è altro che un’incarnazione del generale, richiamato alla sua amata da chissà dove, o forse un semplice contenitore, scelto per farsi possedere dallo spirito del generale, per trasformarsi in lui.
Carlos Fuentes riscrive insomma Edgar Allan Poe, le sue Ligeia e Berenice, Eleonora e Morella, (Poe, 1974) ma anche il Wilhelm Jensen di Gradiva, il racconto da cui Sigmund Freud partì per definire il “perturbante” (cfr. Freud, 1969, pp. 113 e segg.), o Howard Phillips Lovecraft, e ancora tutta la letteratura di incubi, succubi, lamie ispirata alla demonologia cristiana.
E riscrive le regole del racconto fantastico, la sua sintassi, rivolgendosi direttamente a Montero e raccontandogli la sua storia. Dopo le prime due pagine declinate al presente “Leggi quell’annuncio…” (p. 7), “Ritiri la borsa…” (p. 8), passa al futuro “Vivrai questo giorno […] Leggerai l’annuncio. Ti soffermerai sull’ultima riga…” (p. 9), quasi sia lui, Fuentes, un vate, un oracolo, che narra a Felipe il destino che lo attende. E continuando ad alternare presente e futuro, mantenendo per tutto il racconto straniamento e perturbamento. E conservando sempre l’uso della seconda persona singolare. Assolvendo per certi versi fino in fondo alla funzione della letteratura: costruire mondi, creare vite e storie.
Ora, però, le storie si narrano al passato – anche quando sono ambientate nel futuro, come nella science fiction (Fattori, 2001, p. 33) – nella maggior parte della letteratura, o al presente, come nei capolavori della narrativa fantastica (Todorov, 2000). Mai al futuro: qui siamo al vaticinio, alla premonizione, formato narrativo forse mai usato in letteratura. E poi, se l’autore si rivolge al suo personaggio, il lettore dov’è? Ha un suo ruolo? O diventa uno spettatore ancor più inerme del solito, privato del tutto del suo potere di intervento sul testo, di interpretazione?
Non scopre quindi troppo il suo gioco, un autore che si rivela esplicitamente come tale? Non eleva al quadrato il suo ruolo, rischiando di incrinare la complicità col lettore? Con la verosimiglianza richiesta dalle grammatiche del racconto? Coinvolgendo in un gioco straniante personaggio e lettore? Insomma, in quale mondo si svolge il romanzo? Nel nostro o in un universo contiguo, ma compenetrato, coincidente, un cosmo soprannaturale, un altro mondo? Forse l’altro mondo, quello dei morti?
Perché del senso e della lingua della morte e dei suoi domini è piena tutta la narrativa ispanoamericana, quindi anche quella messicana. Come in La morte di Artemio Cruz (2002), sempre di Fuentes, pubblicato nello stesso anno di Aura, in cui il protagonista, in punto di morte, ripercorre la sua vita, i suoi delitti, azioni, affetti, richiamando alla memoria coloro, ormai morti, con cui ha incrociato l’esistenza, o in Cambio di pelle (1967), una delle tante riflessioni della letteratura occidentale sugli orrori dei primi cinquant’anni del Novecento, dove si intrecciano la ricerca narrativa e quella linguistica – e che a quasi mezzo secolo dalla sua uscita meriterebbe di essere riletto e usato per un confronto con i successivi cinquant’anni e le repliche di quelle tragedie sotto nuove forme. Ancora, lo stesso avviene nel Pedro Páramo di Juan Rulfo (2004), pubblicato nel 1955, che seppure si è scritto essere un romanzo sulla ricerca del proprio padre (Campbell, 2011, Pecchinenda, 2011, Quaderni d'Altri Tempi n. 32), è molto di più, un viaggio in una landa liminale, di confine, in cui vivi e morti condividono gli spazi, il tempo, le parole, con cui il protagonista, Juan Preciado si incrocia, dialoga, convive, si accompagna nella sua ricerca di un padre che appare sempre di più, man mano che il racconto procede, quasi una incarnazione del Male.
Questo continuo richiamo ai domini del soprannaturale, che rimanda al romanzo gotico – di cui la Spagna è stata uno dei territori prediletti, dal Monaco di Matthew “Monk” Lewis al Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki – forse risale alle cupezze dell’inquisizione, e si alimenta dell’immaginario delle coreografie oscure e allucinate delle processioni dei “Nazarenos” incappucciati, gli uomini delle “congreghe” che percorrono ancora le strade delle città spagnole durante la settimana di Pasqua, e forse si è nutrita del contatto con le culture sacre centroamericane dei brujos e degli “uomini di medicina” yaqui. E magari prospera sul ricordo dei massacri, delle sofferenze, delle torture che, da Colombo in poi, hanno marchiato la storia delle popolazioni di quelle terre…
Aura, però, rimane per certi versi altrove rispetto alle tragedie e alle sofferenze reali che hanno segnato la storia del mondo. Ritorna piuttosto al Mito, alla fondazione della cultura umana, ad una zona dell’immaginazione di cui ci si potrebbe chiedere “Da dove vengono i miti? Sono le nostre invenzioni o noi le loro?” (de Rougemont, 2009, p. 41, corsivo dell’autore), dove si ritrovano anche le radici del mito occidentale dell’amore, e dove Fuentes rinnova il mito dell’attrazione erotica, delle vicende d’amore, riscrivendo la tradizione romantica (ibidem, passim) in termini metafisici, soprannaturali. Anche se, in questo caso, sullo sfondo, appena visibili, quasi solo in filigrana, potremmo percepire le cosmologie allucinate di Lovecraft, ma solo vagamente evocate, accennate…
Quale sarà il destino di Montero, cosa gli riserva il fato: che sia davvero Llorente reincarnato, magari grazie al potere esoterico delle carte della vecchia Consuelo, forse più formule magiche, ricette per incantesimi, che memorie, come è stato fatto credere allo storiografo (e come lui ha voluto credere)? E dove andranno, insieme, Montero/Llorente e Consuelo/Aura, finalmente riuniti? Non ci è dato saperlo, forse neanche immaginarlo. Siamo al limite – e all’origine – della narrazione, torniamo alle radici dei miti. Che evocano, indicano, non spiegano.
LETTURE
× Campbell F., Padre y memoria, 2009, trad. it. Padre e memoria, Ipermedium, S. Maria C. Vetere, 2011.
× de Rougemont D., Le mythes de l’amour, 1961, trad. it. Nuove metamorfosi di Tristano, Ipermedium, S. Maria C. Vetere, 2009.
× Fattori A., Memorie dal futuro, Ipermedium, Napoli, 2001.
× Freud S., Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Vol. II, Boringhieri, Torino, 1969.
× Fuentes C., La muerte de Artemio Cruz, 1962, trad. it. La morte di Artemio Cruz, Net, Milano, 2002.
× Fuentes C., Cambio de piel, 1967, trad. it. Cambio di pelle, Feltrinelli, Milano, 1967.
× Lewis M., The Monk, 1796, trad. it. Il Monaco, Mondadori, Milano, 1994.
× Poe E. A., Tutti i racconti e le poesie, Sansoni, Firenze, 1974.
× Potocki J., Manuscrit trouvé à Saragosse, 1814, trad. it. Manoscritto trovato a Saragozza, Adelphi, Milano, 1990.
× Rulfo J., Pedro Páramo, 1955, trad. it. Pedro Páramo, Einaudi, Torino, 2004.
× Todorov T., Introduction à la littérature fantastique, 1970, trad. it. La letteratura fantastica, Garzanti, Milano, 2000.