VISIONI / L.O.V.E. / di Maurizio Cattelan / Milano, Piazza degli Affari

 

Per leggere
le contrade della vita
e quello che vita non รจ

di Antonello Tolve


“La storia delle tecniche artistiche, è l'indicazione data da Gianni Carlo Sciolla, si svolge" "[…] analogamente alla storia dei materiali […], tra il polo della tradizione a quello dell'innovazione. Essa, nel suo insieme è fatta [...] di periodi di stasi, ma anche di variazione e di novità improvvise. In questa storia vanno considerati, da ultimo, anche gli arretramenti e i ritorni a forme tecniche precedenti, motivate e sostenute da finalità culturali molto precise. Alludo, più precisamente, ai recuperi revivalistici del passato, messi al servizio di nuovi orientamenti di gusto di una determinata epoca. Si pensi, per esempio, alla riscoperta delle tecniche pittoriche classiche del Settecento; al recupero dei sistemi di lavorazione medievale nello storicismo ottocentesco e all'uso dei materiali come delle tecniche arcaiche del decadentismo tra Otto e Novecento; infine al ripristino di determinate tecniche incisorie medievali da parte dell'Espressionismo novecentesco” (Sciolla, 2001, p. 35; 2009, pp. 45 e segg.). Naturalmente, ciò che è innovativo oggi diventa tradizionale o magari obsoleto domani. Questo perché i materiali, come le tecniche e gli strumenti dell'arte seguono un andamento metamorfosico: legato, cioè, ad un divenire costante di metodi, espressioni e stili.
Seguendo queste indicazioni, non parrà strano imbattersi, nel panorama creativo attuale, in una moltitudine di artisti che trasformano in tecniche e materiali alcuni argomenti o discipline decisamente extraestetiche o extrapoetiche, quali l'economia, il diritto, il marketing, la matematica, la fisica, la medicina, la psicoanalisi e la scienza in generale. Nuove modalità immaginifiche ed esecutive, queste che, per dirla con Angela Vettese, “non sono giochi immotivati ma naturali riflessi del modo in cui si vive, si produce, si consuma, ci si scambiano le informazioni” (Vettese, 2010, p. V).
Già con l'analisi formalista proposta da Šklovskij, ad esempio, i materiali extraestetici – e per primi quelli di ordine musicale, sociale e politico – entrano a far parte a pieno diritto nel vocabolario dei materiali usati per la concreta realizzazione dell'opera grazie ad una percezione protratta mediante ostacoli (Šklovskij, 1929, pp. 7-23) con lo scopo di organizzare un effetto straniante capace di trasformare e deformare l'abitudinario e l'abituale in un nuovo stupore per il mondo, in una nuova verità capace di toccare, con maggiore e rinvigorita efficacia, il fruitore di turno. “L'abitudine”, ha evidenziato Todorov, “ci impedisce di vedere, di sentire gli oggetti, bisogna deformarli se si vuole che riescano a trattenere il nostro sguardo: il fine delle convenzioni artistiche sta proprio in questo” (Todorov, 1968, p. 14).
Così accanto al marmo, alla plastica, al silicone o all'acciaio, ci sono, ad esempio, lo spazio, il tempo, il mercato, l'economia e la comunicazione, lavorate queste ultime con strumenti diversi, ma con atteggiamenti simili e con il desiderio di trasformare il materiale dallo stato grezzo in forma e formula efficace a produrre ed esternare l'idea dell'artista. (Jeff Koons, ad esempio, ha applicato al proprio formulario artistico la regola delle Quattro PProduct, Price, Place e Promotion – facendo del marketing un nodo forte e felice del proprio lavoro). 
All'interno di questo panorama, Maurizio Cattelan (Padova, 1960) è esponente cardinale di un percorso evolutivo che trasforma il mercato dell'arte in opera d'arte mediante stratagemmi che trovano spesso nei meccanismi del motto di spirito – quei meccanismi che elogiano un sistema legato all'analogia, al paradosso, a formule metaforiche e metonimiche, a processi di condensazione, di spostamento, di ellissi e a tutte quelle metodologie che originano un atto creativo liberatorio (Sigmund Freud) –, alcuni materiali utili a cortocircuitare, parodiare e mettere in rilievo determinati luoghi e territori del sistema presente, dell'arte e della vita.
Artista legato ad uno stile versatile e camaleontico grazie al quale riesce a tratteggiare ogni tipo di problematica attuale, Maurizio Cattelan schiude un discorso formale, di stampo espressivo e rappresentativo, che, in forme spesso provocatorie e stranianti sollecita il pubblico ad uno sguardo differente su icone e simboli della società contemporanea e, in particolare, sulle differenti figure di quello che Arthur Danto ha definito l’Artword (Danto, 1964, pp. 571-584). Di un territorio in cui sfilano figure che dettano e determinano le regole e le sorti dell'arte contemporanea.

 

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Partendo da un vocabolario d'impostazione concettuale (Barilli, 2006, pp. 149-152) – fortemente intriso di venature estetiche che fanno i conti con lo spiazzamento, il non sense e l'ironia – Maurizio Cattelan [l'unico artista italiano (Barilli, 2007, pp. 528-529) che ha saputo saltare il fosso analitico tout court] apre dunque un percorso che calibra il mirino estetico su panorami visivi densi di significato, aperti al mercato e al sistema dell'arte, ma anche a quella che è stata definita una mitologia quotidiana (Perretta, 1991, p. 40), appropriandosi del messaggio mediatico e trasformandolo in comunicazione creativa tesa ad inclinare, non senza amplificarli, i canali della comunicazione di massa.
Figlio d'una generazione che ha attraversato i territori tortuosi del neoconcettuale, Cattelan formula, così, una propria storia paraconcettuale (vicina al concettuale, ma già lontana da ogni tautologia) per trasformare la materia, qualunque essa sia, da stato spesso e pesante a stato leggero e pensante. Difatti, se con l'Untitled [opera in cui Cattelan ripercorre l'importanza del taglio (e l'insegnamento) di Lucio Fontana per presentare una tela – tagliata su tre punti – che riformalizza la "Z" di Zorro] del 1986, l'artista è ancora legato ad un forte prefisso concettuale [come anche in Stadium 1991 presentato negli spazi della Galleria d'Arte Moderna di Bologna (1991), un lunghissimo tavolo da calcetto con undici giocatori senegalesi e undici giocatori scelti tra le riserve], già con Strategie del 1990, o con A Perfect Day del 1993 (dove attacca al muro, con lo scotch da imballaggio, il suo gallerista Massimo De Carlo), Cattelan avvia il proprio discorso sul sistema dell'arte. Nello stesso anno (1993), invitato per la prima volta ad una Biennale di Venezia, Cattelan scardina e critica il sistema stesso della Biennalee delle esposizioni in generale nonché le difficoltà che incontrano gli artisti per poter esporre in un circuito tanto blindato e manipolato dalle multinazionali dell'arte, mettendo in scena, questa volta, Lavorare è un brutto mestiere: performance in cui l'artista vende ad un'agenzia pubblicitaria il proprio spazio espositivo. E sempre per la Biennale – questa volta la 49a, curata da Harald Szeemann – con La Nona Ora, scultura ambientale realizzata nel 1999, l'artista propone un lavoro che ritrae Giovanni Paolo II su un enorme tappeto rosso atterrato e sfinito sotto il peso di un meteorite. (“Inutile dirlo, il lavoro, al centro di molte e non meno accese polemiche, è stato esposto alla Royal Academy di Londra e a Varsavia, e battuto da Christiès nel 2001 per la cifra record di 886 mila dollari, all'epoca equivalenti a due miliardi di lire” (Vivimilano.it., 2006). Interrogandosi ancora una volta sui concetti di vernissage, di spazio espositivo, di exhibition, di spettacolarizzazione dell'arte, di potere delle multinazionali, di ipocrisia e di comunicazione globale, sempre nel 1999, dal 10 al 17 novembre, assieme a Jens Hoffmann, Cattelan cura la fantomatica 6th Carribean Biennial, un evento senza precedenti di cui “tutto il mondo dell'arte internazionale che conta, parla” (Politi, 2000, p. 51). Trasformando la curatela in prefisso interrogativo sulla curatela stessa e analizzando la complessa organizzazione di potere che sponsorizza l'esibizione, l'artista propone così una Biennale – solitaria, senza precedenti e senza successive edizioni – durante la quale invita una serie di artisti (Olafur Eliasson, Douglas Gordon, Mariko Mori, Chris Ofili, Gabriel Orozco, Elisabeth Peyton, Tobias Rehberger, Pipilotti Rist, Wolfgang Tillmans, Rirkrit Tiravanija e Vanessa Beecroft) a trascorrere circa due settimane di villeggiatura gratis ai Caraibi, nell'isola di St. Kitts, senza lavorare, senza produrre e senza esporre alcuna opera, lasciando in bianco il popolo dell'arte accorso per l'occasione. 

 

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Premendo sempre sul mercato e trasformando la scena oscena dello spettacolo in formula integrativa e in materiale dell'arte, assieme a Ali Subotnick e Massimiliano Gioni, Cattelan apre a New York, sulla 20esima strada, The Wrong Gallery, uno spazio (un progetto) espositivo di un metro quadro che, dopo tre anni di attività (2002-2005), riapre, poi, in una versione in scala 1.6, presso la Rubell Family Collection di Miami (Bonami, Spector, Vanderlinden, 2000).
Poi, invitato a curare, con Massimiliano Gioni e Ali Subotnick la 4. Berlin Biennale für zeitgenössische Kunst (2006), Von Mäusen und Menschen / Of Mice and Men [Uomini e Topi, titolo che richiama senza mezzi termini l'omonimo romanzo di John Steinbeck] (Steinbeck, 1937), Cattelan, partendo sempre da uno zoccolo duro del sistema dell'arte – questa volta dalla Gagosian Gallery, tra le più potenti e influenti al mondo [una galleria che vanta tre succursali a New York con un quarto spazio dedicato interamente allo Shop, una a Beverly Hills, due a Londra, una a Roma, una a Ginevra, una a Parigi, una ad Atene e due uffici a La Jolla e ad Hong Kong] (Thompson, 2009) – predispone una serie di eventi nella fantomatica filiale berlinese – ubicata in Auguststrasse 50A – della galleria di Larry Gagosian. 
Occasioni e luoghi, questi, attraverso i quali Cattelan propone una pressione creativa che sfonda ogni perbenismo per interrogare a punta di lancia le maglie dell'arte e del mercato. Di una globalità legata a preamboli scandalistici e a un'arte “politicamente corretta, giusta, perfetta perché realizzatasi pienamente nel mercato, gaudente nel suo esercizio dell'esserci è talmente in linea con i “desideri” del mondo da riuscire persino a fare del proprio narcisismo e divertimento un'opera d'arte, nel grande rispetto e nell'ammirazione dei potentati artistici” (Scudero, 2001).
Critica d'arte che prende corpo, l'arte è, per Cattelan, riflessione sull'arte e sul sistema dell'arte. Esperimento, esercizio e congiunzione estetica (a volte anche furba linea di fuga di chi, secondo alcuni, dal sistema dell'arte, scompone il sistema dell'arte pur restandone invischiato) atta a scardinare il circuito artistico mediante trucchi stilistici che bersagliano astutamente l'universo istituzionale – di qualsiasi estrazione e natura – e promuovono una nuova libertà capace di reinventare il ruolo dell'artista all'interno di un sistema di scambi di ruoli dopo la fine dei grandi racconti.
“Dal tema dell'insofferenza per la scuola in quanto modulo dell'autoritario della trasmissione del sapere, al rifiuto cronico del lavoro come punizione quotidiana, Cattelan”, evidenzia Francesco Manacorda, “mette in scena una sequenza di gesti paradigmatici volti a destabilizzare il sistema di regole assolute, deprimenti e tragiche, a cui non ci accorgiamo neanche più di aderire. […]. Dalla scuola tale atteggiamento beffardo si trasferisce a leader politici o autorità religiose fino a infiltrarsi nel sistema dell'arte contemporanea con i suoi canoni” (Manacorda, 2008, p. 8).
Artista, curatore, gallerista, manager. Cattelan prende di mira i ruoli e le funzioni del sistema dell'arte per stravolgerli dall'interno mediante operazioni e relazioni interpersonali che si fanno, il più delle volte, relazioni estetiche, nessi, formule atte a eccentricizzare il ruolo preso in esame per dilatarlo e smagliarlo.
Dall'orsetto – Senza titolo (Untitled), 1993 – presentato nella galleria Massimo De Carlo dove gli spettatori potevano guardare soltanto dall'esterno perché la porta della galleria, per l'occasione, era stata murata ai galleristi Raucci/Santamaria costretti, nel 1993, in occasione della personale Tarzan e Jane, ad indossare, per tutta la durata della mostra, due costumi da leone, dal Massimo De Carlo appeso nella propria galleria (A Perfect Day, 1999) a Errotin, le vrai lapin (1994), dove l'artista fa indossare a Emmanuel Perrotin – responsabile di Ma Gallerie di Parigi – il costume di un coniglio rosa a forma di pene, Cattelan stravolge il rapporto artista-gallerista per sottolineare la scelta dell'artista, essere privilegiato in grado di riscattare l'opera dal suo essere oggetto con valore estetico, di incrinare il gallerista al gusto dell'artista.
“Le strategie con cui Cattelan si introduce ed opera nel sistema dell'arte”, ha evidenziato Giorgio Verzotti in una ricognizione sul lavoro dell'artista, “non si accontentano di svolgere i ruoli e le funzioni normalmente assegnate. Molte di esse vengono elaborate in clandestinità, come l'artista stesso dichiara, con uno scambio e una sovrapposizione di ruoli al limite dell'abusivismo”. Nel 1991, ad esempio, dispone, appunto, uno Stand abusivo ad Arte Fiera (Bologna), mentre nel 1992 “progetta la Fondazione Oblomov e coinvolge privati per sovvenzionare un artista, al quale è richiesto di non esporre per un anno intero” (Verzotti, Cattelan, 1999, pp. 25-26). Sarcastico, ironico e trasgressivo, Maurizio Cattelan “crea sculture e mette in scena azioni davanti alle quali lo spettatore rimane sorpreso, allibito o perplesso” (Pesapane, 2008, p. 122). 
L'originalità, legata ad un buon grado di frizzo e canzonatura, è proposta anche in occasione della Laurea Honoris Causa conferitagli il 30 marzo 2004 (lo stesso anno dello straordinario Untitled, tre bambini impiccati ad un ramo di quercia) dalla facoltà di Sociologia dell'Università di Trento dove l’artista, identificandosi con un asino, realizza, appunto, Un asino tra i dottori.
In occasione della personale – Contro le ideologie (2010) – organizzata a Milano, tra Palazzo Reale e Piazza Affari, ritornando sui prefissi del mercato globale, l'artista propone un nuovo avvincente scenario che suscita immediato scandalo, scalpore e chiasso mediatico. 

 

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È L.O.V.E. la pietra miliare dello scandalo, una monumentale scultura in marmo di Carrara (alta ben undici metri) che raffigura una mano con le dita mozzate a esclusione del dito medio, alzato e puntato prepotentemente verso il cielo.
“In termini di microstoria sociologica”, è l'analisi proposta da Giovanni Lista, “[...] l'atto di mostrare il dorso della mano con il dito medio esteso e le altre dita chiuse, appare nella comunicazione gestuale fin dall'antichità. Il gesto è documentato già nel IV secolo a.C. ne Le Nuvole di Aristofane, e in seguito nella letteratura latina del I secolo d.C., definito digitus medius da Quintiliano, digitus infamis da Persio Flacco, digitus impudicus da Marziale” (Lista, 2010, p. 10).
Trasformando l'indice di borsa in medio di borsa, l'artista assume un atteggiamento analitico nei confronti della situazione attuale del mercato globale, per farsi portavoce di un pensiero collettivo condiviso. Con Cattelan, difatti, l'arte ritorna alla storia, ad un bisturi creativo che fa i conti con la quotidianità per elencare un progetto riflessivo che va contro la comunicazione (Mario Perniola, 1994) e si proietta in un discorso visivo che si fa scandalo, cortocircuito teso a sottolineare i vizi privati e le pubbliche virtù di un panorama sociale, economico e politico davvero scomodo, sgradevole, imbarazzante.
L'offesa alla morale, l'oltraggio al pudore, l'azione vergognosa o immorale sono strumenti che Cattelan adopera per creare una centrifuga distruttiva nei confronti di un conformismo imperante che devitalizza la riflessione e sopprime il giudizio. L'artista non vuole scandalizzare – l'artista è sempre l'istigatore nella rivolta delle cose (Šklovskij) – ma illuminare lo stato delle cose e farsi portavoce d'un sentimento collettivo, d'un'idea comune. 
Ad una trasparenza che occulta, persuade (Packard, 1957) e rende invisibili alcuni meccanismi di potere politico, economico e mediatico, Cattelan contrappone uno scavo (Foucault) che mostra, grazie ad una sana trasparenza frontale, il sistema autoritario, corrodendolo dall'interno. 
Archeologo del presente e dell'attualità, Maurizio Cattelan svolge, così, indagini su problematiche scottanti proponendo allo spettatore una galassia estetica metaforicamente secca, senza vie di scampo, sarcastica e spigolosa per bersagliare ogni perbenismo, ogni totalitarismo, ogni forma di dittatura.
Marcel Duchamp, Lucio Fontana, Manzoni, Alighiero Boetti, Kosuth, Kunellis, De Dominicis. Cattelan preleva dalla storia dell'arte attuale – e particolarmente dalle “belle e argute “pensate”” (Barilli R., 2007, p. 528) di Piero Manzoni e di Gino De Dominicis – alcuni ingredienti trasformandoli e riattualizzandoli mediante formule visive che citano, con disinvoltura, l'arte e la vita per aggredire l'episodio storico attuale e inoculare nello spettatore il germe della verità. “I salti di dimensione, i passaggi da un livello di significato all'altro sono tonificanti”, suggerisce Barilli lettore di Cattelan, “allargano i canali della mente e dei sensi: questo è in fondo il fine principale dell'estetica, se non dell'arte” (Barilli, 2007, p. 529).
Tuttavia con Cattelan l'arte non è soltanto discorso (analisi e costruzione del proprio linguaggio) ma anche controdiscorso (legame con gli altri saperi) che dialoga con il mondo della vita e dei mille significati che la riguardano (Trimarco, 1992). Interrogando e mettendo in questione il contesto dell'arte, Cattelan propone operazioni che non solo prelevano l'oggetto per attribuirgli lo statuto artistico (come fa Duchamp con lo scolabottiglie) ma asporta anche alcuni problemi dominanti della società quotidiana e del sistema dell'arte per trasformarli in ragionamento artistico, in preambolo felice per la costruzione dell'opera. Anche il recente progetto editoriale ideato assieme a Pierpaolo Ferrari segue queste mosse stilistiche. Toilet paper, questo il titolo (un titolo che la dice lunga), pubblicata dalla Deste Foundation for Contemporary Art di Atene e con il sostegno della Fondazione Nicola Trussardi di Milano, è un magazine di sole immagini che fa il verso (ma analizza anche dall'interno) al mondo delle riviste patinate e a tutta una sfilata di critici e curatori autoreferenziali e narcisistici. Una ulteriore operazione messa in campo dall'artista si fonda sullo sconfinamento, o meglio sullo spostamento e prolungamento dell'io. Di un'io, cioè, che si riappropria della propria forza evocatrice e si vaporizza linguisticamente in una serie di interventi visivi in cui la ripetizione, la centralizzazione o la vaporizzazione determinano atteggiamenti spettacolari e spettacolarizzanti in cui l'io, appunto, cerca sempre, prepotentemente un'identità e un nome.
Dal Lessico familiare del 1989 a Supermoi (Identikit) del 1993, per giungere, via via, agli Spermini del 1997 e a Mini-me del 1999, Cattelan, difatti, non appare soltanto iconicamente nelle sue opere, ma si pone anche come proposizione linguistica, come sostituzione e traduzione dell'io in qualcosa d'altro, un neon angolare che rappresenta la scritta Cattelan (1994), appunto, o la rivisitazione di una pubblicità d'alcolici trasformata, Absolut Cattelan (1997), ad esempio. 
Amato e osannato, odiato e criticato, Maurizio Cattelan resta, tuttavia, uno dei pochi artisti in grado di trasformare (attraverso Der Witz und seine Beziehung zum Unbewußten – Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio, appunto) i problemi che appesantiscono la storia in corpi leggeri, profondi, pensanti per leggere le contrade della vita e quello che vita non è.

 

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LETTURE

× Barilli R., Prima e dopo il 2000. La ricerca artistica 1970-2005, Feltrinelli, Milano 2006.

× Barilli R., Storia dell'arte contemporanea in Italia. Da Canova alle ultime tendenze, Bollati Boringhieri, Torino 2007.

× Bonami F., Spector N., Vanderlinden B., Maurizio Cattelan, Phaidon Press, London 2000.

× Danto A. C., The Artworld, in “The Journal of Philosophy”, vol. 61, n. 19, American Philosophical Association Eastern Division, Sixty-First Annual Meeting, Oct. 15, 1964.

× De Rosa M. R., Gianni Carlo Sciolla. Storia e critica d'arte del Novecento, a cura di M. R. La Città del Sole, Napoli 2009.

× Lista G., Digitus impudicus, estratto da Ligeia, in Exibart onpaper, a. IX, n. 69, novembre-dicembre 2010.

× Manacorda F., Maurizio Cattelan, Electa, Milano 2006.

× Packard V., The Hidden Persuaders, David McKay Company, New York 1957; trad. it., I persuasori occulti, Einaudi, Torino, 1958.

× Perniola M., Contro la comunicazione, Torino, Einaudi, 2004.

× Perretta G., Medialismo, Roma (Galleria Paolo Vitolo), 26 ottobre/30 novembre 1991, Studio Tipografico, Roma 1991.

× Pesapane G., Arte relazionale, in F. Bernardelli, Arte contemporanea, vol. V, Anni Novanta, Electa / L'Espresso, Milano 2008.

× Politi G., in "Flash Art", a. XXXIV, n. 219, dicembre-gennaio 2000.

× Sciolla G. C., Studiare l’arte, Utet, Torino 2001.

× Scudero D., Cosa si nasconde dietro la “Global-Art”, in LaCritica.net / Rivista telematica di arte, design e nuovi media, a. 2001, www.lacritica.net, n. 4. Šklovskij V., Iskustvo kak priëm, in O teorii prozy, “Federatsiia”, Mosca 1929; ora in Todorov, 1968.

× Steinbeck J., Of Mice and Men, Viking Penguin, New York 1937, trad. it. Uomini e topi, Bompiani, Milano 2001.

× Thompson D., The $12 Million Stuffed Shark. The Curious Economics of. Contemporary Art, Palgrave Macmillan, New York 2008; trad. it., Lo squalo da 12 milioni di dollari. La bizzarra e sorprendente economia dell'arte contemporanea, Mondadori, Milano 2009.

× Todorov T., Théorie de la littérature. Textes des formalistes russes, Édition du Seuil, Paris 1965; trad. it., I formalisti russi, Einaudi, Torino, 1968.

× Trimarco A., Il presente dell'arte, Tema Celeste, Siracusa 1991.

× Verzotti G., Maurizio Cattelan, in Maurizio Cattelan, Castello di Rivoli / Charta, Milano 1999.

× Vettese A., Si fa con tutto. Il linguaggio dell'arte contemporanea, Editori Laterza, Roma-Bari 2010.

× Vivimilano.it, Chi è Maurizio Cattelan?, milano.corriere.it.