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Ma come sempre la medaglia ha due facce e se da un lato la mente si aliena dal corpo che la contiene, trasformando questo in uno strumento perfettibile e modificabile come un qualsiasi oggetto tecnologico, dall’altro si aliena anche il corpo dell’altro. Uomini che lavorano usando il proprio corpo sono strumenti per la produzione, energia meccanica pura, a cui non si riconosce la dignità di esseri umani. Se tutti dovevamo essere liberati dalla schiavitù del lavoro, ciò non è stato possibile. Il capitalismo non è di fatto compatibile con un processo di evoluzione generalizzato. I costi per l’automazione diventano non sopportabili, a causa di un’energia sempre meno abbondante e dalle controindicazioni devastanti. Nel contempo i costi dell’inattività che colpirebbero intere popolazioni, sono inammissibili. La forza lavoro umana, in un secolo che ha scoperto il limite delle risorse disponibili, rappresenta, ancora una volta, la fonte di energia più a buon mercato. Ed ecco, allora, che le piantagioni di esseri umani hanno trovato spazio nei mercati dell’Asia e dell’Est europeo, dove l’occhio vigile del progresso tentenna, ma non quello implacabile dell’informazione. Scopriamo che nei campi di lavoro le condizioni sono più vicine alla schiavitù, che alla libera contrattazione del mercato. D’altra parte è necessario difendersi dall’abominio della mortificazione e ciò rende necessario creare una distanza tra gli uomini pensanti e le “macchine umane”, ancora imprigionate in corpo imperfetto. Alienare il corpo significa alienare l’umanità di serie B, automi al servizio del sistema, in cui non vogliamo riconoscerci, in quanto retaggio di un passato lontano. È la fantascienza a riportare l’attenzione sul conflitto insanabile tra due umanità: una diretta verso il futuro e l’altra che piomba nel passato. In mezzo le nuove macchine, figlie di chip integrati e nanostrutture, piuttosto che di presse e pistoni. Per i fautori del progresso tutto ciò ha un’unica soluzione: disconoscere l’umana corporeità del lavoro, relegando a nuovi robot il compito di sostituire gli uomini. I nuovi androidi, figli di macchine una volta, clonati o generati da uomini oggi, sono i naturali sostituti delle macchine automatiche e non possono più assurgere al ruolo umano. È necessario separare ciò che è inaccettabile: un futuro, in cui abbiamo creduto, ma che ha spinto pochi in avanti ed ha lasciato molti… troppi, indietro. Se, tuttavia, all’umanità rimasta indietro si nega il diritto all’esistenza, trasformandoli nei nuovi automi, non più artigiani ma immense catene di montaggio, in grado di tenere il passo con i numeri delle produzioni industriali, allora il sogno di un futuro migliore diventa ancora possibile. E la nostra battaglia con le macchine? È persa perché abbiamo deciso di trasformare noi in macchine piuttosto che elevare loro al nostro livello. "Queste macchine differiscono dalle tecniche per effetto delle quali l’uomo si è prodotto come uomo in ogni uomo: noi non ci produciamo attraverso di loro, noi ci facciamo produrre da loro" |