Post umano, troppo post umano

 

di Roberto Paura

 

Guardando la televisione, girando per le strade, leggendo i giornali, capita sempre più frequentemente di imbattersi nelle pubblicità di marche alla moda come Calvin Klein, Dolce & Gabbana, Armani, Versace, in cui compaiono uomini e donne in pose plastiche e con ben in mostra i propri corpi. Numerosi studi di sociologi ed esperti di comunicazioni di massa hanno dimostrato che sempre più aziende di moda ricorrono all’utilizzo del corpo e soprattutto della sua insita carica erotica per incentivare le vendite dei propri prodotti[1].

Proprio Calvin Klein ha aperto la strada a questa tendenza, riuscendo tra i primi a rendere “sexy” capi d’abbigliamento come i jeans o l’intimo che prima non lo erano affatto. Le conseguenze di questo fenomeno sono state molteplici. Senza dubbio il richiamo del corpo ha portato ad un effettivo incremento delle vendite di queste marche. Dall’altro ha prodotto uno dei fenomeni che più inquietano gli psicologici di oggi, quello del “culto del corpo perfetto” che ha prodotto cambiamenti nel modo di vestire, di porsi e di pensare per buona parte del mondo occidentale.

“Il lavoro sui canoni corporei e della salute attraverso lo sport è divenuto un fenomeno sociale: insieme al risveglio delle sentinelle ippocratiche dell’organismo attivate dalle cure naturali, la marcia o la corsa a piedi, la moltiplicazione dei templi della forma (aerobica, stretching, body-building, danza, ginnastiche dolci, ecc.) a partire dagli anni Ottanta testimoniano dell’onnipresenza della scultura di sé. La moltiplicazione delle riviste dedicate all’apparenza corporea ne è prova ulteriore. Per ottenere il look di un corpo sportivo sembra poi si sia anche disposti a ricorrere a strategie di ‘inganno’, se si considera il successo della commercializzazione delle apparecchiature per ginnastica passiva, dei preparati farmaceutici e cosmetici attivi, delle diete, degli artifici dell’abbigliamento o perfino degli impianti sottocutanei. La forma del corpo è lavoro sulla materia, che sia carnale, chimica o tecnologica”[2].

Il concetto del corpo perfetto ha trasceso gli stessi ambiti della pubblicità, dove tuttavia ha ancora adesso la sua massima esemplarità[3], penetrando in altri ambienti di forte impatto sociale. Ad esempio, molti giocatori di calcio hanno fatto proprio questo concetto giungendo a curarsi molto più della loro perfezione estetica che delle loro abilità: si moltiplicano i calendari che ne mostrano gli invidiabili pettorali e addominali, nelle partite è facile notare come anche le divise indossate siano tese a mettere quanto più possibile in risalto il proprio corpo. Fenomeni di costume come le popstar dei videoclip – da Britney Spears a Christina Aguilera per limitarci alle più celebri – hanno lanciato mode che tendono a ridurre sempre più le parti coperte del proprio corpo.

Le “veline” della televisione sono diventate esempi da imitare per molte ragazzine. Come conseguenza è aumentata a dismisura l’utenza nelle palestre e nei fitness club, i centri estetici fanno affari d’oro e sempre più persone – sia donne che uomini – ricorrono alla chirurgia plastica per rifarsi parti del corpo (il programma televisivo Bisturi in onda circa un anno fa ne è stato un esempio perfetto)[4].

Sempre prima a percepire i cambiamenti della società, la fantascienza già nel periodo New Wave ha iniziato ad interessarsi al concetto dell’erotismo del corpo. James Ballard nel 1973 pubblica Crash, la celebre opera – poi trasposta da Cronenberg in un film omonimo – che segue la paranoica convinzione dei protagonisti che ci sia uno stretto collegamento tra un incidente automobilistico e un rapporto sessuale. Un romanzo ossessivo il cui tema di fondo va cercato nell’inconscio dell’uomo di massa contemporaneo: l’auto viene assimilata sempre di più al concetto di potere sessuale. Studiosi di forme di manipolazione comunicativa ne hanno mostrato gli esempi negli spot in cui all’automobile pubblicizzata viene associata una donna provocante o in generale una qualche forma di potenzialità erotica, e del resto non è difficile capirlo pensando alla somiglianza di due concetti quali corpo e carrozzeria (e alla loro esplicazione in modi di dire come “hai una bella carrozzeria!”)[5].

 


[1] Lo dimostra tra gli altri Does sex in advertising sell?, un sito che affronta il tema della presenza del corpo nelle pubblicità, all’indirizzo http://www.nku.edu/~issues/sexinadvertising/tvcommercials.htm.  

[2] Corpi sportivi e individuazione di Olivier Sirost in Il corpo a più dimensioni a cura di Fabio D’Andrea – Milano – Franco Angeli 2005

[3] Il sito di semiotica di media, Ocula, affronta questi temi nel numero 6 della sua rivista-online. Si vedano in particolare gli articoli Estesi di marca. Aspetti sensoriali e somatici della brand communication (http://www.ocula.it/06/txt/traini06.pdf), Passioni ed estesia: una chiave di lettura dello spot D&G (http://www.ocula.it/06/txt/graziani06.pdf), Dalla pubblicità alle strategie di marca. Il nuovo protagonismo delle passioni e delle sensazioni (http://www.ocula.it/06/txt/boero06.pdf).

[4] Una ricerca del 2004 pubblicata su Il Resto del Carlino offre alcuni dati interessanti. L’articolo è su http://ilrestodelcarlino.quotidiano.net/art/2004/09/21/5358263.

[5] Valentina Fenga, Crash: il corpo come intersezione fra scrittura e immagini in “Griselda – portale di letteratura”, http://www.griseldaonline.it/percorsi/3fenga.html.

 

 

    (1)  [2] [3]