Caro amico ti scrivo… Derive televisive e fantasmi del passato di Adolfo Fattori

 

D’altra parte, sull’uso, l’abuso, la funzione, i vantaggi e i rischi della TV il dibattito non è mai finito, almeno dai tempi di Apocalittici e integrati (U. Eco, Bompiani, Milano, 1963).

A volte è rimasto “sotto traccia”, per poi riemergere periodicamente.

Come conferma l’ultimo saggio del filosofo francese Jean-Jacques Wunenburger, L’uomo nell’era della televisione, pubblicato in Francia nel 2000, e tradotto in italiano nel 2005 per la Ipermedium di Napoli.

Wunenburger, che già era conosciuto in Italia per il suo Filosofia delle immagini (Einaudi, 1999), qui abbandona la freddezza del filosofo per proporci un testo che può sembrare un vero e proprio pamphlet contro la televisione e le conseguenze negative che produrrebbe.

Un testo che  ha comunque il merito di individuare alcuni punti importanti.

Prima di tutto, come nota il sociologo Gianfranco Pecchinenda nella sua Introduzione al volume, che nei diversi approcci allo studio del mezzo televisivo, non si tiene conto del fatto che questa “… possa essere considerata come la causa fondamentale di un profondo mutamento antropologico che non coinvolge soltanto i costumi, ma forse l’insieme dei processi di percezione, di immaginazione e di pensiero dell’uomo.” 

La televisione, per il francese, “… come tecnica di massa dell’immaginario, sembra condurci… a rimettere in questione i valori fondamentali della modernità….”, ideali connessi alla libertà, all’emancipazione, alla autonomia di giudizio.

E ha introdotto decisivi elementi di ritualità e sacralizzazione nella gestione del tempo libero, almeno di quello passato davanti allo schermo.

Questo, credo, produce due risultati significativi.

Da un lato, dopo averlo avviato, riaccoglie lo svilimento delle identità a puri fenomeni di superficie, fatti al massimo di un nome proprio o di un diminutivo, privi di essenza solida – e anagrafica, che si esprime attraverso una comunicazione sempre più smozzicata e volatile.

Dall’altro, liturgizzando e santificando gli eventi e i testimonial televisivi, facilita la deriva neo e teocon di cui siamo bersagli – immobili –  davanti ai telescherm,i agevolando i tentativi di ritorno a un passato di minore responsabilità e autonomia, fatto di pregiudizi, prescrizioni, soggezioni.

Ma si sa – anche se ormai la citazione è abusata – gli eventi hanno l’abitudine di apparire sulla scena del mondo una prima volta come tragedia – i roghi, i forni, i lager – la seconda come farsa – i pianerottoli “porta a porta”, le chiacchiere delle “8 e mezzo”, e via continuando.

Anzi, forse, qui non si tratta neanche di farse – che pure presuppongono un palcoscenico, un teatro – quanto del decadente spettacolo crepuscolare di un rabberciato luna park di periferia, fatto di domatori ingrigiti e di clown dai costumi rattoppati e dal cerone irrancidito.

 


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