Caro amico ti scrivo… Derive televisive e 
fantasmi del passato

 

di Adolfo Fattori



In una conversazione con un vecchio amico che lavora nell’agenzia corrispondente alla nostra E.Di.Su in una città del nord, dove si occupa di comunicazione con gli studenti universitari, sono venuto a sapere che spesso il tenore delle e-mail che l’azienda riceve attraverso il servizio appositamente attivato, è del seguente tenore:

 

compilando il modulo di richiesta di borsa di studio mi sono accorta che i dati relativi alla media e ai cfu sono errati. vi fornisco i dati esatti:

media:24,27

cfu alla data del 10 agosto:93.

 

Il mio amico ha intitolato questa, arrivata anonima, Luther Blissett.

Un altro esempio:

numero esami 19               

media conseguita 28,05

numero crediti 122

Naturalmente anche questa è anonima. Un’altra identità del maestro postmoderno dei travestimenti. E così via… Una volta si sarebbe chiamata “guerriglia semiologica”.

Si può ridere o irritarsi, di fronte a tanta apparente sprovvedutezza, ma forse c’è di più.

C’è una abitudine a delegare, prima di tutto, agli adulti, compiti e responsabilità, ma, più in profondità, si intravede l’attitudine a frequentare identità semplificate, senza spessore biografico – e anagrafico – del tutto inadeguate alla complessità della condizione di cittadino.

Un po’ come succede in televisione, dove qualsiasi sfinge di borgata può apparire come d’incanto in uno studio, e diventare famosa, e qualsiasi vecchia cariatide dei media può entrare e uscire a piacimento dai palcoscenici.

Una conseguenza, se si vuole, della deriva dell’identità tipica della tardomodernità: dopo secoli di sviluppo dei processi di individualizzazione, appaiono identità incerte, indefinite, disorientate rispetto al reale.

Questo conforta e rafforza alcune ipotesi che la ricerca sociologica va elaborando da qualche tempo sulle mutazioni antropologiche legate alla preminenza dei media elettronici nella  tarda modernità, specialmente per le nuove generazioni.

E alla nostra difficoltà a comprenderle e a istituire – concordare, negoziare – con loro un sistema di comunicazione condiviso.

Possiamo però riconoscere che tutto è cominciato proprio con la televisione – e con gli schermi elettronici.

Perché in fondo la posta elettronica è solo uno dei tanti sistemi di comunicazione digitale ormai parte del nostro ambiente quotidiano. C’è il telefonino, c’è MSN Messenger, e c’è ormai – anche – la televisione: da qualche tempo, nella parte bassa dello schermo, scorrono in sovrimpressione durante alcune trasmissioni i “messaggini” spediti via SMS dai telespettatori più giovani, comunicazioni che non sono sempre pertinenti alla trasmissione che li “ospita”, ma sono “privati”, messaggi una volta murali, poi telefonici, oggi affidati allo schermo – agli schermi.

Mi sembra che così si completi in qualche modo un circolo che, cominciato con la TV, passato attraverso il telefonino, torna alla televisione – proprio quando si cominciava a pensare che il cellulare stesse sostituendo quest’ultima nell’uso giovanile.

Perché le e-mail spedite all’agenzia per cui lavora il mio amico fanno ipotizzare che i nostri giovani suppongano – o, forse, sentano – la comunicazione mediata dalle tecnologie come appartenente ad un’unica modalità, quella in cui emittente e destinatario del messaggio si conoscano personalmente, e che basti un nome proprio – o magari un soprannome, un diminutivo – per farsi riconoscere. O forse che il farsi riconoscere non sia necessario.

E diventa difficile districarsi fra le trasformazioni che si producono nelle forme della comunicazione, e nei soggetti che comunicano.

  

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