In
una conversazione con un vecchio amico che lavora nell’agenzia corrispondente
alla nostra E.Di.Su in una città del nord, dove si occupa di comunicazione con
gli studenti universitari, sono venuto a sapere che spesso il tenore delle
e-mail che l’azienda riceve attraverso il servizio appositamente attivato, è
del seguente tenore:
compilando il modulo di richiesta di borsa di studio mi sono accorta
che i dati relativi alla media e ai cfu
sono errati. vi fornisco i dati esatti:
media:24,27
cfu alla data del 10 agosto:93.
Il mio amico ha intitolato
questa, arrivata anonima, Luther Blissett.
Un altro esempio:
numero esami 19
media conseguita 28,05
numero crediti 122
Naturalmente anche questa è
anonima. Un’altra identità del maestro postmoderno dei travestimenti. E così
via… Una volta si sarebbe chiamata “guerriglia semiologica”.
Si può ridere o irritarsi, di
fronte a tanta apparente sprovvedutezza, ma forse c’è di più.
C’è una abitudine a delegare,
prima di tutto, agli adulti, compiti e responsabilità, ma, più in profondità,
si intravede l’attitudine a frequentare identità
semplificate, senza spessore biografico – e anagrafico – del tutto
inadeguate alla complessità della condizione di cittadino.
Un po’ come succede in
televisione, dove qualsiasi sfinge di borgata può apparire come d’incanto in
uno studio, e diventare famosa, e qualsiasi vecchia cariatide dei media può
entrare e uscire a piacimento dai palcoscenici.
Una conseguenza, se si vuole,
della deriva dell’identità tipica della tardomodernità: dopo secoli di
sviluppo dei processi di individualizzazione, appaiono identità incerte,
indefinite, disorientate rispetto al reale.
Questo conforta e rafforza alcune
ipotesi che la ricerca sociologica va elaborando da qualche tempo sulle
mutazioni antropologiche legate alla preminenza dei media elettronici nella
tarda modernità, specialmente per le nuove generazioni.
E alla nostra difficoltà a
comprenderle e a istituire – concordare,
negoziare – con loro un sistema di
comunicazione condiviso.
Possiamo però riconoscere che
tutto è cominciato proprio con la televisione – e con gli schermi
elettronici.
Perché in fondo la posta
elettronica è solo uno dei tanti sistemi di comunicazione digitale ormai parte
del nostro ambiente quotidiano. C’è il telefonino, c’è MSN Messenger, e c’è ormai – anche – la televisione: da
qualche tempo, nella parte bassa dello schermo, scorrono in sovrimpressione
durante alcune trasmissioni i “messaggini” spediti via SMS dai
telespettatori più giovani, comunicazioni che non sono sempre pertinenti alla
trasmissione che li “ospita”, ma sono “privati”, messaggi una volta
murali, poi telefonici, oggi affidati allo schermo – agli schermi.
Mi sembra che così si completi
in qualche modo un circolo che, cominciato con la TV, passato attraverso il
telefonino, torna alla televisione – proprio quando si cominciava a pensare
che il cellulare stesse sostituendo quest’ultima nell’uso giovanile.
Perché le e-mail spedite
all’agenzia per cui lavora il mio amico fanno ipotizzare che i nostri giovani
suppongano – o, forse, sentano –
la comunicazione mediata dalle tecnologie come appartenente ad un’unica
modalità, quella in cui emittente e destinatario del messaggio si conoscano
personalmente, e che basti un nome proprio – o magari un soprannome, un
diminutivo – per farsi riconoscere. O forse che il farsi riconoscere non sia
necessario.
E diventa
difficile districarsi fra le trasformazioni che si producono nelle forme della
comunicazione, e nei soggetti che
comunicano.
|