Non basta essere verosimilmente il più talentuoso
giocatore che abbia mai partecipato ai campionati professionistici per
diventare l’icona più fervida della storia del
calcio, per radicarsi nella memoria collettiva in qualità di
emblema del sublime calcistico. È
infatti necessario un impianto mitico, c’è bisogno
insomma che la propria storia personale sia iscritta nelle cornici
significative e nutrienti di narrazioni esemplari, che ripercorra i
segni e le tracce di quelle radici mitiche con cui si dà
senso alla natura, agli slanci, alle contraddizioni delle cose profane.
Che
Diego Armando Maradona sia riconosciuto dalle moltitudini come il
miglior calciatore di sempre è ormai fatto acclarato. Eppure
la sua figura ha ampiamente travalicato i limiti del semplice e terreno
reame calcistico. Spesso si ammanta, in pratica, di un’aura
speciale: molteplici rappresentazioni collettive lo dipingono come una
vera e propria entità suprema che
governa le traiettorie di un palla di cuoio plasmandole in funzione
della propria volontà e della propria capacità
creatrice. Insomma, un’iconografia sovrumana, simil divina,
lo accompagna sovente. Nondimeno la sua essenza è anche
ricca di inquietudine e di contraddizione. Gli elementi distruttivi e
quelli creativi si intrecciano e si animano vicendevolmente senza
sosta. L’impeto, la volontà, la caduta, la colpa,
la redenzione compongono la sua drammaturgia alternandosi di continuo.
Possiamo ravvisarvi un modello mitico comprensivo? Ebbene –
riflettendoci – Maradona, con la sua indole, le sue gesta
nello spazio sacro del campo di calcio e la sua biografia esterna ad
esso, sembra incorporare la fecondità del modello faustiano,
pare riproporne i lineamenti e farsi in qualche misura sua
trasposizione. Sì, Maradona è un Faust dei nostri
tempi, ed è per questo che il suo profilo risulta tanto
accattivante e tanto capace di accendere l’immaginazione
condivisa.
Il nucleo centrale della storia del
Faust, dall’originario personaggio cinquecentesco del Dottor
Johann Georg Faustus alle trasposizioni – tra gli altri
– di Christopher Marlowe, Johann Wolfgang von Goethe e Thomas
Mann, è piuttosto noto. È dunque poco utile
ripercorrere tutte le vicende e le variazioni tematiche dei differenti
rifacimenti. Allo stesso modo, è per noi poco fruttuoso
sviscerare le pur rilevanti trame latenti alle singole versioni del
mito, come – a titolo esemplificativo – il
goethiano rapporto con la moderna società urbano-industriale
o la correlazione allegorica con la follia nazionalsocialista nel Doctor
Faustus di Mann. Tutte caratteristiche, detto per inciso, che
fanno di questa storia esemplare una chiara raffigurazione della natura
della modernità. Tuttavia, per i fini di questa nostra breve
riflessione sull’ineguagliabile calciatore argentino e sul
portato immaginario che lo accompagna, è sufficiente
accennare all’elemento unificante di questi intrecci
narrativi: il patto col diavolo, stipulato con l’intento
– a seconda delle varie rielaborazioni – di
ottenere la conoscenza assoluta, di dissetare la volontà di
creazione, di raggiungere l’apice dell’estro
artistico.
Allo stesso modo, per comprendere il fascino e
l’impronta mitica di Maradona ci interessano, piuttosto,
alcuni tra i principi fondamentali, tra gli argomenti per
così dire quintessenziali del Faust, che sono
pressoché costanti nelle sue differenti elaborazioni. Sono
questi aspetti che contribuiscono decisamente a plasmare in maniera
analoga l’icona del pibe de oro,
tratteggiando la forza e l’impatto della sua rappresentazione
nella coscienza collettiva. Se poi diamo uno sguardo alla versione di
Mann, ci accorgiamo, in più, di una declinazione specifica
del mito capace di fornirci un ulteriore sostegno, particolarmente
fecondo, in virtù di uno dei significati più
rilevanti che essa ci propone: il protagonista del romanzo, il geniale
compositore Adrian Leverkühn, simboleggia tra le altre cose la
componente demoniaca che accompagna drammaticamente, quasi in maniera
inscindibile, il genio artistico. Tanto da portare con sé,
come contraltare irrinunciabile alla propria natura, il peccato e la
disperazione. La genialità, per farla breve, ha in
sé un lato oscuro, tenebroso, mefistofelico in quanto
contrario all’umanità ordinaria, da cui non
può distaccarsi.
A pensarci
bene, non è questa l’essenza della figura
maradoniana e della sua veemente suggestione? Come il Faust, il
“personaggio” Maradona appare animato dallo Streben,
dall’ambizione, dall’aspirazione ad elaborare e
dominare il mondo, intendendo con esso l’universo peculiare
della partita di calcio. Almeno così l’immaginario
popolare lo raffigura. All’interno del campo di gioco egli
pare trascinare il suo potere oltre i confini umani, agisce come un
assoluto, portavoce di una vera e propria energia
trasformatrice (Kaiser, 1998) che mette in crisi
l’esistente proponendo universi possibili soggettivi. Questa
implicita linea interpretativa, questo stilema narrativo del tutto
faustiano rappresenta il fondamento immaginario con cui, ad esempio,
per molti è possibile afferrare intuitivamente un campionato
mondiale vinto con una nazionale non proprio irresistibile, presa sulle
spalle e portata – quasi da solo – verso il
trionfo. Il fuoriclasse argentino viene allora dipinto come vibrante di
potenza, di volontà e di autorealizzazione. Coniuga volere e
dovere ed è sorretto da un’incessante azione di
dominio, sia pur “calcistico”. Egli crea un ordine
nuovo che plasma la partita di calcio, la governa. Si propone, insomma,
come soprannaturale risolutore e trasformatore. Trabocca di onnipotenza
apparente, almeno è così che
l’iconografia a lui dedicata pare rappresentarlo.
Allo
stesso modo, l’indole faustiana del personaggio maradoniano
viene immaginata come manipolatrice della natura. Ad esempio, come
spiegarsi altrimenti l’inverosimile rete del secolo contro
l’Inghilterra ai Mondiali del 1986? Creazione pura che
produce un novum prima non concepibile.
Così la si è raccontata negli anni, e questa
ormai è la percezione condivisa che – lo ripetiamo
– non può che poggiare sui mitemi ormai
consolidati del “demoniaco-faustiano”.
Oppure,
a maggior ragione, consideriamo il famoso goal su punizione contro la
Juventus del 3 novembre 1985. In questo caso, la narrativa mediale e
l’immaginario condiviso intuiscono uno sconvolgimento delle
leggi naturali, e così dipingono una simile prodezza.
Ebbene: punizione di seconda da battere nell’area di rigore,
barriera a quattro o forse cinque metri, porta a non più di
una decina di metri. Pura esecuzione dell’impossibile!
Traiettoria difficile da spiegare con le leggi della fisica e palla in
rete. Solo giustificazioni lontane dall’umano ordinario
possono offrire racconti plausibili. Ed è questa la
narrazione popolare offerta e l’interpretazione accettabile
ai più. Gesta degne di un orientamento congruo alla patafisica,
quello di chi crea soluzioni del tutto immaginarie e innovative a
problemi per così dire tangibili.
Eppure, lo
slancio produttivo non può che attecchire
nell’inquietudine. L’aspirazione ad andare oltre i
confini, a ricercare assoluti – come il personaggio Maradona
fa nel campo da calcio – non può che generare
insoddisfazione permanente, per la sua connaturata ed irrefrenabile
attività. E, al contempo, la tensione ad espandersi
incessantemente, a dare il proprio ordine alle cose, a governare gli
eventi non può rimanere impunita agli occhi
dell’uomo. L’impulso alla creazione, la
genialità assoluta sono realtà colpevoli,
vincolate per loro natura all’errore. Questi sono i
significati faustiani con cui l’Occidente interpreta la
condizione dell’esistente. E questo è il
contraltare tenebroso della figura di Maradona. Il suo sforzo non
può che incorrere in conseguenze estreme. È il
lato demoniaco del genio.
La sua inquietudine fuori dal campo
di calcio, i suoi problemi esistenziali sono l’altra faccia
del suo spirito faustiano e completano irrimediabilmente la sua figura.
D’altronde, in qualche misura, non potrebbe essere
altrimenti. Non è il caso di ricordare al lettore che siamo
ben lungi dall’intavolare sterili riflessioni
psicoanalitiche, ma che il nostro intento è – lo
ribadiamo – quello di comprendere la forza
dell’iconografia maradoniana ponendola nella sua
specularità al modello faustiano. Ebbene, la sua indole
geniale non può che portarlo, come il Faust goethiano o il
Leverkühn di Mann, a disdegnare la “cura”.
Il suo impeto irrefrenabile impone che egli ignori ogni preoccupazione
per ciò che può capitargli, sul terreno di gioco,
dove il suo spirito abbonda di generosità agonistica ed
estetica, e nel mondo della vita quotidiana, dove gli risulta
difficoltoso frenare le sue inclinazioni e preoccuparsi di preservare
la salute. L’ebbrezza della sua azione non può che
prorompere infinitamente e trasformarsi in auto-minaccia dando vita a
ripercussioni finanche nefaste. L’abisso, la tragedia sono
connaturati al personaggio faustiano, e lo rendono ricco di significati
e di attrattiva. Il genio assoluto pone nell’assoluta
originalità una sfida a Dio, invade uno spazio interdetto
agli umani e lambisce la colpa. È questo ciò che
forse si imputa a figure che rinverdiscono il mito prometeico.
Aspirazione, genialità e colpa non possono essere disgiunte
nelle narrazioni. È la natura contraddittoria
dell’umanità che lo esige. Ed è questa
la ricchezza che la figura di Maradona implica e con cui viene
interpretata nell’immaginario. Non è possibile
suggerire deviazioni.
Per concludere, rimane controversa la
questione della redenzione, che peraltro, escludendo soprattutto la
versione di Goethe, non è elemento centrale nelle
più rilevanti trasposizioni del Faust. In effetti, la vita
di Maradona è ricca di redenzioni più o meno
temporanee. Ma la ricerca irrequieta, che ancora lo anima, non
può che esporre continuamente l’uomo
all’errore potenziale. L’attimo di piena
realizzazione, di assoluto perfezionamento, l’istante pieno
non sembrano ancora raggiunti. Eppure, a ben pensarci, possiamo
ravvisare una sorta di redenzione, una pienezza assoluta
dell’attimo nell’eternità dei momenti di
perfezione calcistica che ci ha donato e che rimangono tracce
indelebili nella storia del calcio. Di fronte al ricordo della
compiutezza estrema dell’atto calcistico maradoniano, anche
noi siamo portati quasi ad implorare, come il Faust di Goethe:
“Attimo, fermati! Sei così bello!”.
:: letture ::
— Balló J., Pérez X., La llavor immortal. Els arguments universals en el cinema, 1995, trad. it. Miti del cinema. Semi immortali, Ipermedium libri, Napoli, 1999.
— Goethe J. W. von, Faust – Eine tragödie; Urfaust, 1832, trad. it. Faust e Urfaust, Voll. I e II, Feltrinelli, Milano, 1999.
— Kaiser G., Ist der Mensch noch zu retten?, 1994, trad. it. Faust o il destino della modernità, Guerini e Associati, Milano, 1998.
— Marshall B., All that is color:Melts into Air. The Experience of Modernity, 1982, trad. it. L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna, 1985.
— Mann T., Doktor Faustus. Das Lebens des deutschen Tonsetzers Adrian Leverkühn erzählt von einem Freunde, 1947, trad it. Doctor Faustus. La vita del compositore tedesco Adrian Leverkühn narrata da un amico, Mondadori, Milano 1949.
— Neher A., Faust et le Maharal de Prague, 1987, trad. it. Faust e il Golem. Realtà e mito del Doktor Johannes Faustus e del Maharal di Praga, La Giuntina, Firenze 2005.
— Watt I., Myths of Modern Individualism. Faust, Don Quixote, Don Juan, Robinson Crusoe, 1996, trad. it. Miti dell’individualismo moderno. Faust, don Chisciotte, don Giovanni, Robinson Crusoe, Donzelli, Roma, 1998.