O'o
di John Zorn Nello girare incessantemente tra i suoi ottanta e più mondi musicali, Zorn non resiste alla tentazione di fare ogni tanto anche una capatina dalle parti di qualche isola corallina. Al ritorno dall’immaginario tour scodella una raccolta di brani di sapore exotico a mo’ di tributo.
O’o è il secondo (ma potrebbe rientrarvi anche The Gift del 2001) di questa ennesima collana zorniana, che propone la più accessibile delle sue proposte musicali. È qui che Zorn mette nel cocktail shaker davvero un po’ di tutto, rock, blues, soul jazz, etnica, surf, exotica, easy-listening, minimalismo e atmosfere da colonna sonora tenendo sempre a mente il maestro Ennio Morricone (si ascolti
Archaeopteryx). Rispetto a The Dreamers del 2008 (vedi Quaderni d’Altri tempi n.14),
O’o è più esplicitamente exotico a cominciare dal titolo, nome di un uccello estinto delle Hawaii. Qui è all’opera un sestetto collaudatissimo: Marc Ribot alla chitarra elettrica, Jamie Saft al piano e all’organo, Kenny Wollesen al vibrafono, Trevor Dunn al basso, Cyro Baptista alle percussioni, Joey Baron alla batteria. La partenza è splendida (Miller’s Crake), piano e vibrafono con irresistibile swing trascinano direttamente al banco per un aperitivo. I sei sono in forma smagliante, e quando è il caso picchiano duro, come in
Little Bittern, battito squadrato, un piano elettrico che più groovy non si può e un Ribot incontenibile. Tra le altre, da segnalare c’è almeno l’irresistibile andamento surfer di
Laughing Owl, mentre Martin Denny, Les Baxter e tutto quanto fa enchanted island compaiono sfacciatamente in
Po'o'uli e in Solitaire. C’è posto anche per un pizzico di radical jewish music in
Piopio, c’è tempo per un secondo aperitivo accompagnati dal motivetto di
Laughing Owl, ma le invenzioni sono un po’ ovunque, offrendo un intrattenimento sempre intelligente. |
titolo O'o
di John Zorn
etichetta Tzadik
distributore Jazz Today
Distribution
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Air Song
di Air Una vibrante black music da camera. Il trio Air era questo, un progetto sonoro svolto senza gerarchie strumentali ed egemonie timbriche, lucidissimo nel ricongiungere anche con una certa solennità tradizione e avanguardia. Il trio era composto da Henry Threadgill (sassofoni e flauti) il contrabbassista Fred Hopkins e il batterista Steve McCall e venne formato con il nome Reflection nel 1971. I tre provenivano dal giro AACM (Association for Advancement of Creative Musician) fondata dal pianista Muhal Richard Abrams nel 1965. Tribù visionaria di cui fecero parte i quattro quinti dell’Art Ensemble of Chicago (Lester Bowie, Roscoe Mitchell, Joseph Jarman e Malachi Favours), Anthony Braxton, Leo Smith, Leroy Jenkins, Maurice McIntyre, ovvero la crema della scena musicale che succedette alla prima generazione di free jazzmen. Lo sbocco discografico alla loro attività arrivò solo nel 1975 con questo
Air Song inciso per l’etichetta WhyNot, come il successivo Air Raid. Quattro tracce dove Threadgill si cimenta al tenore (Untitled Tango) al baritono (Great Body Of The Riddle Or Where Were The Dodge Boys When My Clay Started To Slide) all’alto (Dance Of The Beast) e al flauto (la misteriosa e meditativa
Air Song), convincendo sempre, anche come fine compositore (le quattro tracce sono firmate solo da lui). Impressionante il sostegno ritmico (Dance Of The Beast) che è al tempo stesso raffinato solismo da parte di Hopkins (e talvolta lo si ascolta anche in solo, come per qualche minuto in
Untitled Tango), corposo, inesauribile e sostanzioso tanto all’archetto quanto al pizzicato. McCall, a sua volta, è fine cesellatore, accurato nei dettagli, maestro nel diffondere suoni talvolta impalpabili (sempre in
Dance of the Beast in netto contrasto con il ruggente solismo di Threadgill), o energici (ad esempio in (Great Body Of The Riddle Or…
dove si ritaglia anche un solo) con egual misura. Un grande esordio. |
titolo Air Song
di Air
etichetta WhyNot
distributore import
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A Loose Kite In A Gentle Wind Floating With Only My Will For An Anchor
di Keith Tippett Septet Ristampa preziosa. Nel corso degli anni Ottanta Tippett, approntò solo in questa occasione una organico di discrete dimensioni.
La formazione ripresa live a Exeter il 25 ottobre del 1984, comprendeva, oltre Keith Tippett al piano, Larry Stabbins, al tenore e al soprano, Elton Dean al saxello e al contralto, Mark Charig (cornetta e flicorno tenore), Nick Evans al trombone Paul Rogers al contrabbasso e Tony Levin alla batteria e alle percussioni. Il titolo in formato big size, che prende a prestito una frase da
I Know Why the Caged Bird Sings, romanzo di Maya Angelou, è anche quello della suite in quattro parti che occupava gran parte del doppio album, ora ristampato su un unico cd. Il tema è una specie di prorompente marcetta bandistica che apre, spunta qua e là nella prima parte e poi chiude le danze nella quarta parte. La suite è strutturata in modo da alternare e/o sovrapporre sezioni scritte e parti improvvisate, dando modo ai solisti (fior di musicisti) di mettersi tutti in bell’evidenza, senza alterare l’equilibrio generale. Si ha così modo di ammirare il compianto Dean nella prima parte in un duetto con il soprano di Stabbins e soprattutto nel secondo movimento dove sfodera un assolo tra i più vibranti della sua discografia, quando si sfocia in una pastosissima ballad dopo una lunga meditazione collettiva. Pregevole sempre nel primo movimento (circa a metà) il trio Tippett, Charig (lirico come sempre alla cornetta) e Levin, a cui poi si affianca autorevolmente Evans. Nel terzo occupa la scena il tenore di Stabbins, facendosi via via sempre più prepotente e, sempre nella terza parte, riluce in chiusura uno scoppiettante Evans. Completa l’album
Dedicated to Mingus, scritta da Tippett nel 1979 quando il grande jazzista scomparve. Reiterazione di frammenti tematici di
Goodbye Pork Pye Hat su cui si staglia, ovviamente, un solo per contrabbasso, compito ottimamente assolto da Rogers. |
titolo A Loose Kite In A Gentle Wind Floating With Only My Will For An Anchor
di Keith Tippett Septet
etichetta Ogun
distributore Ird
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