Contro il giorno
di Thomas Pynchon
Atteso con ansia da alcuni, con fastidio da altri, è finalmente stato pubblicato in italiano l’ultimo (o dovremmo dire il penultimo, visto che ad agosto è uscito negli Stati Uniti un’altra sua fatica, Inherent Vice – che pure aspettiamo…) romanzo di quello sciamano della scrittura e della sensibilità postmoderne che è Thomas Pynchon. Ammesso naturalmente che Pynchon esista davvero, e non sia invece – come qualcuno sospetta – un nom de plume addirittura di Jerome D. Salinger. O, forse, il suo giovane Holden incarnato… Il motivo degli opposti giudizi sullo scrittore è semplice: la radicale rielaborazione cui Pynchon sottopone la scrittura narrativa attraverso la chiave della postmodernità. Recupero e integrazione della cultura di massa (ancora i puristi non riescono a digerirla…) nel romanzo mainstream, come in L’incanto del lotto 49 (1966) ma soprattutto in Vineland (1990). Rottura delle forme classiche. Contaminazione fra i generi e gli stili. È sufficiente? Perché possiamo aggiungervi la fantasmagorica capacità di costruire trame funamboliche e inverosimili. Come ancora in L’arcobaleno della gravità (1973) e Mason & Dixon (1988). Quasi a ispirare il suo erede più logico, David Foster Wallace (che forse per ora si è salvato dalle critiche perché intanto è passato a un altro piano di esistenza…). Ma veniamo a Contro il giorno. Against the Day è un paradosso. In termini più convenienti è un’opera di logica paradossale o, semplicemente, un romanzo di Thomas Ruggles Pynchon, di Glen Glove, Long Island. Eroe della condizione postmoderna, ci ha consegnato, al volgere del millennio trascorso, l’esatta definizione, stivando sotto vuoto la regola artistica del pastiche. |
titolo Contro il giorno
di Thomas Pynchon
editore Rizzoli,
Milano
pagine 1127
prezzo € 32,00
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Lo avevamo lasciato a rifare l’abito al Tom Jones di Henry Fielding, rincorrendo la scrittura cameristica da Settecento inglese nelle avventure dell’astronomo Charles Mason e dell’agrimensore Jeremiah Dixon. Anno di grazia 1997. A dodici anni di distanza, soltanto ora, ne sospettiamo la grandezza narrativa, celata nella wilderness americana, lontana dalla rivoluzione; lì dove comunicazione e potere davano principio al moto di seduzione, come amanti da salotto. Affinché la letteratura si realizzi – parafrasando Manuel Castells – occorre che mittenti e riceventi abbiano codici condivisi, dando per scontata la capacità di partecipare al significato di un singolo messaggio e consentendo la combinazione di produzione di massa e distribuzione dei contenuti. Pynchon ha sempre negato quest’enunciato: adottando corollari a lui più consueti, trasportando il lettore su piani e incroci, confondendo il carattere e l’azione. In questa visione il potere del pieno della scrittura ha condiviso la sua opera, con risultati di tale grandezza, da farlo considerare autore tra i più importanti del secondo novecento. Ora, Against the Day sublima il magnifico tentativo imbolsito di recuperare la scienza postmoderna come ricerca delle instabilità, rischiando di apparire un’imitazione di un romanzo di Pynchon scritta da un fan dell’autore sotto l’effetto di una droga, riprendendo il tono pungente di Michiki Kakutani, esigente critica del New York Times. Per chi scrive, solo l’ultimo atto sullo stile tardo o la feroce militanza di Pynchon contro il proprio tempo. Il racconto è un labirinto che investe trent’anni, dal 1893 sino agli ultimi atti della prima guerra mondiale, il tutto tra un numero indefinito di personaggi bizzarri e di luoghi schizzati come i cartoni dei teatri di Tin Pan Alley. Sul fondo il racconto dei Traverse, il sindacalista bombarolo Webb, assassinato dagli sgherri del magnate Scarsdale Vibe e il viaggio dei quattro figli: Frank, Kit, Reef, i maschi, e Lake, la femmina che prenderà in sposo uno dei sicari del padre. A tre anni dall’uscita americana, Rizzoli provvede, con la traduzione di Massimo Bocchiola, a placare il desiderio dei lettori, ma in agosto l’America ha salutato Inherent Vice, il noir di Pynchon che prende le misure a Raymond Chandler e Dashiel Hammett. Bisognerà attendere. Ma tornando in cima: in qual guisa il paradosso? In Against the Day non ci sono mosse finali, potrebbe concludersi artificialmente, ma Pynchon non conclude, neppure in senso logico, perché ogni razionalità è, per dirla con una metafora, un vestito che compone e nasconde. | ||
Luca Caserta |
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