Movements in Colours
di Andy Sheppard Andy Sheppard non aveva mai messo la sua firma da primus inter pares in un album Ecm, lo fa adesso, per presentare questo
Movements in Colours che già nel titolo evidenzia il desiderio dell’artista di immaginare una musica che sia fatta a pennellate. La track list nasce dal fascino degli impressionisti, o da quello di Mirò, confessa Sheppard, e a dir proprio tuta la verità, si vede, o meglio si sente. Perché le otto tracce dell’ultimo album di Sheppard sono intense situazioni paesaggistiche, a spasso tra impressioni che abbracciano l’Europa intera e oltre, come d’altronde fa la sua musica. Infatti, quando le percussioni (affidate a Kuljit Bhamra) e le chitarre (quella di Eivind Aarset e, in particolare, quelle acustiche di John Parricelli) ricordano le sponde calde del Mediterraneo, il sax di Sheppard si ritrova nella scia quasi glaciale del Nord, a metà strada tra i profondi riverberi garbarekiani e la delicatezza più comune della tradizione brit. Ma, e qui sta la maggior conquista dell’artista britannico, nessuna delle impressioni prende il sopravvento mettendosi in piedi a soggiogare il resto. Perché questo
Movements in Colours è pur sempre Jazz, e come tale non può correre il rischio (altrove spesso decisamente concreto) di diventare quella worldmusic d’avanguardia che strizza troppo spesso l’occhio alle facilonerie della new age e della stravaganza etnica. Per cui s’apprezzi un disco che non eccede nella forma, che fa da eco alla solida combriccola dell’etichetta bavarese, e che sa spaziare in giro per l’Europa e per le sponde d’Africa e del Medio Oriente, ma senza mai (e sia detto, mai) perdere la bussola. |
titolo Movements in Colours
di Andy Sheppard
etichetta ECM
distributore Ducale
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Against the day
di Land of Kush A volte si sentono dire termini come contaminazione, meticciato, ibridazione. Ed ecco che si descrive una situazione in cui più tradizioni musicali (e non) si fondono in un’opera unica.
Against the day dell’ensemble Land of Kush, non si può accontentare di essere liquidato con una di queste misere definizioni. Prendete un compositore di origini magrebine e portatelo in Canada, precisamente alla corte dell’etichetta Constellation. Allora, credeteci, accadranno degli eventi decisamente strani ed immensi. Più di trenta musicisti, a spasso tra le più svariate esperienze della musica contemporanea, a seguire l’oud di Sam -Osama- Shalabi in un’epica battaglia fatta di accenti incomparabili eppure tanto vicini da sembrare fratelli dello stesso padre. E così si sentiranno gli ottoni giocare al free jazz, le chitarre fare il verso alle psichedelie più
seventies ammantate della trascendenza d’India, ed ancora le voci cantare alla maniera delle periferie del Nord o dei deserti del Sud America, o addirittura (come nella seconda parte di
Bilocations) sfiorare le celestiali onde dell’empireo come succedeva dietro ad un altare nella cattolica Europa del seicento. Mentre intorno flauti, archi e percussioni parlano la lingua araba dell’Africa mediterranea e del Medio Oriente, a dipingere quadri illuminati di quella splendida luce
di giacinto e d’oro come quella che regna tra i labirinti delle Mille e una notte. E qua e là, inserti lievemente distorti di una garbata vena elettronica.
Against the day è uno dei dischi più compositi che ultimamente può capitare di ascoltare. Ispirato all’omonimo romanzo di Thomas Pynchon, è uno sguardo sulla meraviglia di un’estasi orgiastica che si trova dappertutto, basta cercarla e non aver paura di sfiorarla, anche ad occhi chiusi, al pari di una testa che gira vorticosa come un mappamondo (o come un derviscio) fin quasi a perdere l’equilibrio conosciuto ed a toccare le volute celesti. E questo nonostante la conclusione del disco, la cupa
Rue du départ che, necessariamente, chiude gli innumerevoli cerchi aperti dalle quelle volute celesti che tendono alla trascendenza. |
titolo Against the day
di Land of Kush
etichetta Constellation
distributore Goodfellas
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Music/Sangam
di Don Cherry & Latif Khan In sanscrito, Sangam significa “luogo d’incontro”. Don Cherry e il percussionista indiano Latif Khan si incontrarono nel giugno del 1978 a Parigi. Non si erano mai visti primi d’allora. In un giorno registrarono queste cinque tracce, che tre anni dopo vennero pubblicate dall’etichetta Europa. Il disco fu tirato in poche copie e presto finì a far parte della famiglia degli oggetti irrangiungibili. Oggi torna disponibile grazie nastri originali tirati fuori da chissà quale cassetto dall’allora produttore Martin Messonnier. Ritorna così al suo posto un altro tassello di quel mosaico realizzato nel tempo da Don Cherry. Un disegno musicale coloratissimo come le stoffe che che realizzava sua moglie, l’artista lappone Moki, tessuti multicolori che addobbavano i palchi dei concerti, ridondanti di strumenti provenienti dai quattro angoli della Terra, segno dell’ormai esteso raggio d’azione di Cherry (in origine trombettista). Non a caso il primo atto di questa vicenda è l’album
Mu (1969), con il percussionista Ed Blackwell, dedicato al mitico omonimo continente. Sono mille e una cultura quelle che si incontrano nel girovagare di Don Cherry da quando sul finire dei Sessanta espande il suo bagaglio jazz – prima bop, ma poi soprattutto free – incontrando l’elettronica di Jon Appleton, la new wave jazz-funk dei Rip Rig and Panic, l’Africa del camerunese Manu Dibango e quella dei sudafricani Abdullah Ibrahim (Dollar Brand) e Johnny Mbizo Dyani, e ancora compositori contemporanei come Krysztof Penderecki, Terry Riley e perfino (due settimane prima della sua tragica fine) Jimi Hendrix, e altri ancora. Nell’arco di un decennio Don Cherry sognò e realizzò un folklore immaginario che proseguì negli anni Ottanta con il trio Codona (con Colin Walcott e Nana Vasconcelos) e si concluse con il testamento sonoro
Multikulti (ancora un titolo eloquente). Music/Sangam appartiene a questo atlante sonoro. Vi si dispiega tutta la poesia di Cherry, dall’emozionante apertura di
Untitled/Inspiration from Home con un nugolo di strumenti sovraincisi, sorta di blues reiterativo per approdare alla conclusiva
Sangam, dove Cherry all’harmonium sostiene discreto il volo percussivo di Khan che conduce a un autentico stato di trance. |
titolo Music/Sangam
di Don Cherry & Latif Khan
etichetta Heavenly
Sweetness
distributore Goodfellas
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