Craig Thompson: vita di Nessuno | di Claudia Di Cresce | |
Entrambe le opere si configurano innanzitutto come storie di crescita, e il distacco, la separazione, sono una componente naturale di ogni percorso di crescita. Un altro elemento palpabile in entrambe le storie è la solitudine, declinata con poesia e malinconia in ogni canale espressivo: compare tra le parole dei protagonisti, i ricordi del passato, le pieghe dei paesaggi, perfino nel tratto del disegno. Alla fine si è soli, si cresce restando da soli, ci suggerisce Thompson, e questo non è altro che l’ordine naturale delle cose. Tutta la storia di Blankets, poi, è costruita anche intorno all’amore: al racconto di un innamoramento adolescenziale illogico e totalizzante, l’esperienza più comune eppure più singolare del mondo, nella quale ogni lettore può facilmente identificarsi pur sapendo che ognuna di queste storie è unica e irripetibile. Un altro concetto-chiave in Blankets, ossessivamente presente in tutto il romanzo, è senz’altro la religione. La morale cristiana pervade la vita del giovane Craig, cresciuto in una comunità fondamentalista che fa del cristianesimo evangelico il perno dell’educazione dei giovani. Questo tipo di religione però, agli occhi di Craig, non è mai espressione di trascendenza, di senso del divino, e non fornisce risposte valide: è per l’appunto una presenza ossessiva e ingombrante, che fin da bambino gli parla esclusivamente di paura e di colpa, di regole e limitazioni. In tutta la storia c’è un continuo dialogo tra il retroterra religioso di Craig e le sue nuove scoperte, le nuove consapevolezze che nascono dalla sua storia d’amore, come la presa di coscienza del proprio corpo e della propria sessualità, dei propri desideri e delle proprie ambizioni. Una dialettica che porterà, anch’essa, al superamento di antiche paure e alla nascita di un nuovo Craig, libero dal peso di una morale che non gli è mai appartenuta. Il dialogo tra il presente e il passato è continuo in entrambe le opere: si tratta di una delle caratteristiche distintive dello stile di Thompson. Come in Blankets è fortissima la presenza dell’infanzia, con il continuo richiamo ad aneddoti della vita di un Craig bambino, già perseguitato dal senso di solitudine e di estraneità e carico di domande e di insicurezze, allo stesso modo in Goodbye Chunky Rice veniamo continuamente trasportati nei ricordi dei vari personaggi, che ci aprono dolorosi squarci sulle loro tante storie di perdita e di distacco. Un movimento continuo enfatizzato dallo stile vibrante e dinamico di Thompson, dove il tratto è fortemente emotivo e le pagine sono composte a volte come affreschi a sé stanti, altre come bianchi momenti di silenzio, altre ancora come struggenti canti di nostalgia, come incubi o splendidi sogni. | ||
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