Da un’Isola all’altra, slittando verso il fantastico | di Enrica Picarelli | |
Quindi l’Isola è il principio e il phenomenon della sua nomadologia: non l’effetto di uno sdoppiamento ma un vettore che segna “dimensioni o piuttosto di direzioni in movimento [e][n]on ha inizio né fine, ma sempre un centro, dal quale cresce e deborda” (Deleuze e Guattari, 2006, p. 57). Il suo perimetro frastagliato delimita uno spazio assoluto lungo il quale elementi umani, animali, artificiali e naturali si avvicinano fino a creare strani compromessi. Sull’Isola niente è immobile, ma non sempre il cambiamento è l’effetto di uno spostamento. Si può restare distesi a dormire e svegliarsi diversi, come succede a Charlie in “Fire+Water” (2x12, 26/01/2006 in USA). In questo e in altri episodi i sopravvissuti vivono strane esperienze sensoriali durante le quali vedono e sentono cose inspiegabili. Kate ritrova il cavallo nero che le ha permesso di sfuggire a una condanna per omicidio, Jack rivede suo padre, morto prima dell’incidente, Hugo incontra l’amico immaginario Dave, mentre Charlie salva il piccolo Aaron dai flutti e poi incontra sua madre, vestita da angelo, sulla spiaggia dell’Isola. Anche in questo caso, come per Mont Saint-Michel, non sono le distanze a cambiare la geografia. I rapporti tra le parti e, all’interno delle parti, le possibilità che essi si dispieghino a partire da quello che già esiste, si lasciano attraversare da un flusso di potenza che arriva a inclinare diversamente lo spazio e il tempo. L’arco topografico delimitato dalle oscillazioni del pendolo di Eloise segnala i limiti della misurazione metrica di fronte ai piegamenti di una superficie astratta. Gli stati alterati vissuti da Jack, Charlie e gli altri, il ritorno impossibile al passato prima dell’incidente, i viaggi nel tempo e nello spazio dell’Isola, l’eterna giovinezza di Richard Alpert che non invecchia nemmeno di un giorno, sono punti di una “topologia differenziale” in cui convivono un numero infinito di variabili in ricombinazione continua. Alpert, ricordiamolo, è uno dei protagonisti di Lost che vive stabilmente sull’Isola da molto tempo prima dell’incidente. Egli è stato visto in diversi periodi storici, ma non è mai invecchiato. In questa dimensione molteplice, o in questa moltiplicazione infinita di dimensioni verosimili, “alcune parti dello spazio non cambiano per niente, altre lo fanno lentamente mentre altre ancora si trasformano rapidamente” (de Landa in Buchanan e Gregg, 2005, p. 84, T.d.A.). Si direbbe che, come scrive Gabriele Frasca, “la storia […] prima che la storiografia la fissi buttandola giù per sempre dalla sua onda, parrebbe avere come lo spazio hilbertiano un numero sbalorditivo di dimensioni, e il passato […] è come se fosse entangled col presente” (Frasca, 2007, pp.16-17). Manuel de Landa, artista messicano, chiama “zone di intensità” quegli ecosistemi soggetti a variazioni locali di stadio, temperatura e gradiente che producono la differenziazione naturale. Per de Landa questa diversificazione non è ancora un fenomeno materiale ma il requisito necessario a produrre la varietà delle forme di vita e delle esperienze umane. Come principio virtuale e attuale, le zone di intensità creano infatti “uno spazio di possibilità” a partire da cui si snodano un insieme di curve possibili (de Landa in Buchanan e Gregg, 2005, p. 83, T.d.A.). | ||
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