UNA FORMA DI POTERE INSAZIABILE: LA DIETA
di Catello Parmentola |
Si potrebbe continuare con infiniti esempi. Tutte le implicazioni considerate, non potevano alla fine non investire il cibo anche di un valore psicologico aggiunto. Schematicamente, potremmo indicare degli esempi di cibi che rimandano in tal senso ad alcuni valori, dai “cibi sicurezza”, come il latte, ai “cibi consolazione”, i dolci, ai “cibi forza”, come le bistecche, e ancora i “cibi prestigio”: il caviale, i “cibi adulti”: il vino, il caffè… Così condizionamenti e gratificazioni possono intervenire con eguale forza nell'iperalimentazione: la pubblicità, il condizionamento individuale (il bambino che mangia è un bimbo buono; quello che non mangia è cattivo: per molte mamme il bambino che si ingozza è buonissimo), ma anche disfunzioni ormonali reali. E poi gratificazioni alternative, come il bisogno di compensazione o di sicurezza affettiva; la sostituzione nevrotica, in cui l’emozione stressante si riverbera sul rapporto con il cibo, in certi casi facendo mangiare, in altri togliendo l’appetito. Come la magrezza rimanda a un gruppo di significati psicosociali fortemente connessi ad elementi positivi, così l’obesità si carica di significati psicodinamici di segno diverso: la paura di dare, il desiderio di rimanere attaccato all’infanzia (il corpo come zavorra che impedisce di conquistare l’indipendenza); l’espansione negata allo spirito e delegata quindi al corpo, occupando aggressivamente spazio, grazie a un corpo che minaccia; il desiderio inconscio di essere di peso ai genitori con un corpo che impone la propria presenza, ma anche un vuoto da riempire; o il desiderio di essere avvolti, appunto nel grasso; l’autoaffermazione, per trovare spazio vitale; o l’insicurezza: il grasso aiuta a parare/attutire i colpi. Crediamo di aver dato così un’idea della complessità che frequentiamo quando abbiamo a che fare con il nostro “rapporto con il cibo”. Dovremmo dedurne un’estrema cautela nel toccarlo/intaccarlo, poiché si toccano/intaccano gangli molto delicati e complessi della persona. Prima di rimuovere i chili vanno indagati i loro motivi, le condizioni che li giustificano, le economie profonde, le logiche che li hanno determinati. | ||
Se non sappiamo cosa significano i nostri chili in più, non sappiamo quali significati affrontare e risolvere per risolverli. Per questo c’è bisogno di tempo. Difficilmente una dieta può avere gli esiti attesi, se non si indagano prima i perché di un certo tipo di rapporto con il cibo. Da dove vengono quei chili in più? Cosa significano? Cosa compensa il cibo? Perché è stata scelta proprio quella modalità di compenso? Qual è la causa prevalente dell’iperalimentazione in quello specifico caso (condizionamento sociale, individuale, gratificazione alternativa, sostituzione nevrotica, magari una vera disfunzione ormonale…)? Una dieta troppo veloce interviene solo sui chili, senza dare tempo al corpo, all’organismo, alla persona e alla vita di riorganizzarsi/accomodarsi sul cambiamento. Durerebbe poco, poiché quei corpo-organismo-persona-vita restati gli stessi, si ridarebbero presto gli stessi, propri, loro chili. I chili in più dell’irrisolto, i chili stampella che servono a sostenerlo. Spesso, invece, nelle riflessioni accademiche e nella pratica il Soggetto non viene intercettato, né per quanto riguarda la sua motivazione, la sua mobilitazione psicologica, come prodotto di fattori endogeni e di fattori sociali, né per quanto riguarda la sua organizzazione quotidiana, la sua possibilità pratica di fare la dieta. Contano invece la vita della persona – e la sua intenzione, la sua motivazione – la sua organizzazione pratica, la sua personalità complessiva, i suoi desideri, i suoi sogni… | ||
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