I maghi del marketing, il brand Harry Potter e i cloni del successo |
di Roberto Paura | |
Edgar Morin, nel suo fondamentale studio sull’industria culturale (1963), ritiene che si possa parlare di opera d’arte e non di prodotto culturale quando a vincere in questo braccio di ferro tra ruolo creativo dell’autore e interesse lucrativo dell’industria culturale è il primo contendente. Non raramente, osserva Morin, avviene che un autore parlando del proprio romanzo o un regista parlando del proprio film non lo riconosca come suo, ripudiando le scelte imposte dall’industria culturale: “Allora viene meno la soddisfazione più grande dell’artista, che è quella di identificarsi con la propria opera, cioè di giustificarsi attraverso di essa, di fondarvi la propria trascendenza. È un fenomeno di alienazione, non senza analogia con quello dell’operaio dell’industria, ma in condizioni soggettive e oggettive particolari, e con questa differenza essenziale: lui, l’autore, è super-pagato”. Per J.K. Rowling il problema non si è posto: i romanzi da lei scritti sono stati accettati senza tagli dagli editori e i film sono stati realizzati dietro la sua stretta supervisione garantita per contratto. Per la Gunelius, il ruolo della Rowling come “custode del brand” ha fatto sì che opera d’arte e prodotto culturale siano riusciti a convivere. | ||
Diverso
è ciò che è avvenuto con la saga
cinematografica di Star Wars. Come si sa, George
Lucas alla metà degli anni Settanta riuscì a
imporre il suo film dopo molte fatiche e rinunciò a buona
parte del suo compenso per favorirne la riuscita. In cambio,
però, ottenne percentuali altissime sui guadagni del
merchandising abbinato, per un valore all’epoca stimato
intorno al miliardo di dollari. La trilogia prequel di Star
Wars uscita tra il 1999 e il 2006 non fu tanto voluta da
Lucas per raccontare una storia, ma per incrementare i suoi guadagni. E
ancora oggi, nonostante a più riprese il regista abbia
dichiarato di voler dedicarsi a film
“sperimentali”, egli non riesce a staccarsi dal
brand che cerca di capitalizzare il più possibile con film e
serie d’animazione, videogiochi e serie televisive. In un
saggio sul merchandising di Star Wars
(Corbò, Aghemo 1999) si può leggere
l’intero impressionante catalogo della Kenner che tra il 1978
e il 1984 produsse le action-figures e i giocattoli legati al brand.
Spulciando oggi un report di una società di marketing
realizzato per il lancio della serie animata The Clone Wars,
si rimane impressionati da come il prodotto sia considerato solo come
elemento commercializzabile: “I tempi sono maturi per portare
anche in Italia Star Wars in una dimensione di mass
market”, si legge. E si continua con
l’elenco di tutti i prodotti oggetto di merchandising: i giocattoli Hasbro
e Lego, i videogames dell’Activision, le
carte da gioco di Wizard of the Coast, i gadget
degli Happy Meal di McDonald’s, della
Kellog’s e così via. | ||
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— Gunelius S., Harry Potter. The Story of a Global Business Phenomenon, 2008, trad. it. Harry Potter. Come creare un business da favola, a cura di Paola Dublini, Egea, Milano, 2008. — Riccardo Corbò e Enrico Aghemo, Il
merchandise di Star Wars, in Massimo Benvegnù |
— Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialektik der
Aufklärung, 1947, trad. it. Dialettica
dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1997.
— Morin E., L'industrie culturelle, 1962,
trad. it. L’industria culturale. Saggio sulla
cultura di massa, |
— Umberto Eco, Elogio del Montecristo, in Id., Sugli specchi e altri saggi. Il segno, la rappresentazione, l’illusione, l’immagine, Bompiani, Milano, 1985. |
— Columbus C., Harry Potter e la Pietra Filosofale, Usa, 2001, Warner Home Video. — Lucas G., Guerre Stellari, USA, 1977, 20th Century Fox International. — Spielberg S., Jurassic Park, USA, 1993, Columbia Tristar. |
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