C’è tutta una questione di spazi urbani che vi
sottende, un’amministrazione fisica del quotidiano, si
potrebbe a questo punto sostenere. È così che le
basi cadenzate dell’East coast style ricordano
quell’immagine notturna dei fari di un’auto mentre
illuminano la striscia bianca intermittente al centro di una strada.
Giovani inviperiti alle prese con il conteggio delle proprie cicatrici,
nella affannosa ricerca del proprio spazio, in una rivendicazione opaca
e fraintendibile perché satura di rancore. Nel
frattempo a Detroit, e sono ancora gli anni Ottanta, la scansione dei
ritmi della fabbrica impone uno stile fatto di un costante
tambureggiare dove è il tempo quotidiano, e non lo spazio
come per l’hip hop, a dettare tendenzialmente le linee
musicali e le battute del loop di un genere
incentrato sulle note della ciclica produzione industriale, della
catena di montaggio, in un gioco di automatismi e movimenti regolari e
standardizzati come quelli che scandiscono la vita degli operai della
General Motors. Il tempo ed il disagio per la techno, lo
spazio ed il rancore per l’hip hop. E il rancore, quasi a
dire che la musica spesso nasce dal malessere, è lo stesso
sentimento che sottende al grunge ed ai suoi graffianti e per nulla
raffinati suoni. Seattle ha fatto scuola, ha proposto alle generazioni
americane degli anni Novanta una solida alternativa all’heavy
metal ed alle sue varianti dalla matrice squisitamente europea. Il
grunge è un genere che comunemente, perché
indiscutibilmente, si incarna nella figura di Kurt Cobain, un dannato
della musica come lo è stato Jim Morrison, ma forse un
dannato un tantino più svogliato e pigro. Tanto svogliato da
essere sopraffatto dalla sua rabbia, nella rapida e mediatica
esplosione dei proiettili del suo fucile. Tuttavia,
ovviamente, dato che nulla va perduto, tutto questo sopravvive ancora.
Sopravvive nelle gang di New York che scelgono il loro colore e
gesticolano la loro difficoltà nella comunicazione.
Sopravvive nei club cittadini dove il jazz è diventato una
cosa per ricchi ed acculturati wasp con la pipa tra le labbra ed il
cappello di feltro. Sopravvive nei calzoni bassi che raccolgono
l’acqua piovana tra i gruppetti di timidi ragazzini dai
capelli lunghi. Ma fortunatamente, per quanto è concesso, si
è in grado di ritrovare una tradizione che si rigenera, e
che, come una famelica bestia affamata di spazio, invade altri luoghi,
li contamina e li colonizza trasportando con sé il fertile
lavoro delle cose passate. Così alle vecchie
città si sostituiscono altre e nuove patrie musicali.
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