Mercier e Camier, due cognomi a zonzo | di Erika Dagnino | |
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Intanto, l’ideale riflettore puntato su Mercier e Camier, primo piano in senso strutturale piuttosto che narrativo, sorta di dettaglio ideale e ideale di un dettaglio, sembra sottolineare il fatto che la realtà è decostruita e non costruita; che la realtà sembra decostruire piuttosto che costruire. Permane sempre una sensazione molto sottile, difficile da descrivere, dove si danno per scontate le nozioni realistiche e le azioni quotidiane attraverso la cui riconoscibilità scatta facilmente l’identificazione. È sempre come se, in una a-storia in cui succede tutto ma non succede niente, ci fosse uno sfuggente ma chiaramente percettibile effetto totale, straniato-straniante, composto di nulla ma anche di materiali spiccatamente particolareggiati e realistici, ancora una volta tutt’altro che irriconoscibili. Citazioni ironiche, frasi di buon senso, quasi proverbiali – 1. La mancanza di denaro è un male. Ma può diventare un bene. 2. Ciò che è perduto è perduto. 3. La bicicletta è un gran bene. Ma utilizzata male può diventare molto pericolosa. (ibidem, pag.93) – si surrealizzano verso un costante lievitare in una dimensione altra – quella di quest’opera – che, seppur non ben definita, li ingloba derealizzandoli. Compreso quel formalismo dialogico – …le presento le mie scuse… lei non deve prenderlo nel senso sbagliato…Le rinnovo le mie scuse…e le dico addio. (ibidem, pag.83) – che fa da contraltare alla pseudoarroganza, presente a volte tra loro:
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immagini: interventi su un murales di Alex Martinez |
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— Beckett S.,
Mercier e Camier, traduzione di Luigi Buffarini, Sugar Editore, Milano, 1971 |
— Beckett S.,
Mercier et Camier, Les Éditions de Minuit, Paris, 1970 |
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