Guardando poi al campo d’azione si visualizzano
mezzi di trasporto, luoghi e situazioni che presuppongono un mondo; i
personaggi si trovano in un ambiente, vivono in un contesto collettivo,
ma nonostante con questo si trovino ad interagire se ne distaccano
ancora di più proprio attraverso la stessa interazione.
Assoluta solitudine, persino dell’uno rispetto
all’altro, quindi, in un mondo che nel frattempo va avanti da
sé, avendo una sua esistenza, magari più
incolore, nell’ulteriore sottolineatura della loro radicale
estraneità. Al senso della differenza si affianca
il senso della fuga: apparendo anche come un girare intorno a se
stessi, o forse una serie di false partenze con false mete, il viaggio
di Mercier e Camier è un vagare che comprende in se stesso,
in un incessante, circolare conferma, anche i presupposti di
allontanamento, di fuga, di distacco. Esiste un senso centrifugo
rispetto alla base, da o verso un punto di partenza. Senza
psicologizzare – i personaggi volutamente sono vagabondi a n
dimensioni – individuando una motivazione generica, forse una
diffusa insoddisfazione, o di non-contatto, essa si identifica come
trampolino di lancio per un ipotetico tentativo di sganciamento, di
abbandono. In ogni caso una partenza per sfuggire/distaccarsi da
qualcosa, che in questo caso sembra identificarsi con il perimetro
della città. Ma, al bando di ogni conforto, con un senso di
espansione della stessa partenza il viaggio permane nella condizione
interiore. Muoversi eventualmente sul posto poi, in realtà
non è soltanto precisamente segnare il passo, ma anche una
sorta di percorso, pellegrinaggio entro cui si sposta sempre il senso
della meta: la meta sfugge continuamente. In tutt’altra
realtà e fatte salve le ovvie, ciclopiche, differenze,
avvertiamo il castello di Kafka come presenza incombente, mai
raggiungibile: si va al di là di una meta che non appartiene
nemmeno più alla consapevolezza di chi si sposta.
Comportando sì una zona spaziale, ma che indica un partire
senza mai (rag)giungere.
In ogni caso –
anche se l’ignoto potrebbe forse qui prefigurare quanto
verrà visto pur mancando una dichiarata intenzione di ‘partire per’
o addirittura la partenza mancare
del rapporto, non in termini naturalistici, di io/dove/perché/come – quello di Mercier e Camier
è e rimane un viaggio sufficientemente lecito –
dal punto di vista della liceità dell’assunto
– e lecitamente contrapponibile a quello tradizionale, al
viaggio ottocentesco che porta a una dimensione di un esperire ben
definito. Non siamo di fronte a due giovani ricchi rampolli inglesi che
intraprendono viaggi di impianto conoscitivo impostati
sull’accrescimento dell’esperienza vitale e di
quella culturale.
Fu un viaggio di nessuna difficoltà
materiale, senza mari o frontiere da superare,
attraverso regioni poco accidentate anche se deserte per collocazione
geografica. Restarono a casa loro Mercier e Camier, ebbero questa
inestimabile occasione. Non dovettero cimentarsi, con maggiore o minor
fortuna, con modi di vita stranieri, con una lingua, un codice, un
clima e una cucina bizzarri, in ambienti che avessero, dal punto di
vista della somiglianza, un sia pur minimo rapporto con quello a cui
l’infanzia prima e l’età matura poi li
avevano abituati. (ibidem, pag.7).
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