2. I rischi della
modernità e della
postmodernità. La società
postmoderna è stata definita dal sociologo Ulrich Beck come
la “società
del rischio”6.
Questo rischio non deriva solo dallo sviluppo
di nuove
armi, ma anche dall’organizzazione della vita quotidiana
contemporanea.
La crescita economica della modernità ha infatti i suoi
inevitabili
costi: grandi danni ambientali provocati dall’inquinamento,
catastrofi
ecologiche prodotte dalle perdite di centrali nucleari, crescita
dell’effetto serra e cambiamento climatico, danni per la
salute
individuale provocati da mezzi quotidiani usati indiscriminatamente
(come i fertilizzanti), e che conducono a paure generalizzate riguardo
tutti i nuovi ritrovati tecnologici, dal cellulare al microonde
passando per gli ogm. Sono questi gli elementi che caratterizzano la
società del rischio di cui gli individui che ne fanno parte
sono
pienamente consapevoli. Questa consapevolezza di un rischio costante
col quale si convive viene elaborata a livello individuale e di massa
attraverso il diffondersi di teorie su rischi segreti che i poteri
forti tendono a nascondere: è l’emergere del
complottismo. Si ha sempre
paura di ciò che non si conosce, e la società del
rischio oggi non
conosce quasi nulla: ignora in gran parte come gli aerei si alzino in
cielo, non potendo quindi controllarne la stabilità in volo;
ignora la
meccanica quantistica e ne teme gli azzardati esperimenti con
acceleratori di particelle grandi come città7;
ignora la
fisica nucleare
e ha orrore delle centrali atomiche e delle fughe radioattive che
potrebbero avvenire in qualsiasi momento per la disattenzione di un
tecnico. L’uomo della società del rischio si
affida a “sistemi esperti”
per la propria sopravvivenza: al pilota dell’aereo sul quale
sale, al
tecnico della centrale da cui riceve l’elettricità
di casa, al medico
che gli trapianta un organo nuovo, ai politici e ai decision-maker
che
prendono al suo posto decisioni strategiche, dall’imposizione
di una
nuova tassa alla fattibilità di un conflitto atomico.
L’uomo, in ogni
epoca storica, ignorava e temeva. Oggi l’uomo della
società del rischio
continua a ignorare e ad avere paura ma, poiché viviamo in
una realtà
globalizzata, la paura non è più individuale, ma
di massa.
3. Paure popolari e racconti di
massa. La
cultura popolare, a
sua volta, ha saccheggiato indiscriminatamente dalla riserva
inesauribile delle paure di massa. Nel 1964 Stanley Kubrick firmava Il
dottor Stranamore,
il capolavoro del complottismo riguardante armi di distruzioni di
massa. La sindrome del giorno dopo, che ha ossessionato americani,
europei e sovietici nel corso della Guerra fredda, veniva qui
rielaborata in forma ironicamente dissacrante, attraverso
l’ordigno
“Fine del Mondo”, madre di tutte le bombe atomiche.
All’epoca il film
fece scandalo, ma non sarebbe mai stato nemmeno girato in anni
precedenti: gli anni Cinquanta furono quelli in cui la sindrome del
giorno dopo ossessionò quotidianamente le coscienze delle
masse. Film
come L’ultima spiaggia (1959), basato
sulla storia di Nevil Shute, colpirono fortemente
l’immaginazione collettiva; romanzi come Il mondo
che Jones creò di Philip Dick (1954) o Un
cantico per Leibowitz
di Walter Miller jr. (1959) per primi estrapolarono in forma narrativa
la paura di massa verso le armi atomiche. Ma non solo le bombe venivano
individuate come la causa dell’apocalisse: ne Il
giorno dei Trifidi
di John Wyndham (1951), la minaccia di organismi vegetali carnivori
è
prodotta da una sorta di manipolazione genetica compiuta
dall’uomo. In Io sono leggenda
di Matheson (1954), l’umanità è
sterminata e i sopravvissuti affetti da
un morbo ‘vampiresco’ a causa probabilmente di una
guerra
batteriologica. |