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conversazioni ]
Stefano Pastor, musica libera contro l‘omologazione di Marco Maiocco |
Il
free jazz nasce da un’irrefrenabile esigenza di
libertà e dal
desiderio di rompere con un paesaggio sonoro troppo famigliare e
soffocante per inseguire ed esplorare l’ignoto o il suo
possibile. Ma
anche il free jazz spesso vive di regole, anche rigide, e
progettualità. Può essere una contraddizione o si
tratta di
imprescindibili elementi di nobilitazione? Come sempre avviene, anche il passaggio alle forme del free è stato graduale e oggi le musiche di improvvisazione libera sono molteplici e differenti, e anche assai lontane da quelle di partenza. Non vedo contraddizione nell’utilizzare regole e predeterminazioni accanto a spazi di maggiore libertà. Credo si tratti del punto di forza di questa musica, e cioè la capacità di riformulare tutto, persino il proprio linguaggio, come è avvenuto nella contaminazione con le avanguardie di matrice euro-colta. Il jazz in generale ha sempre mostrato questa straordinaria capacità, ma con il free si libera finalmente del pesante limite dell’armonia tradizionale, assumendo caratteristiche che lo rendono potenzialmente immortale, proprio per l’assenza di limiti riguardo ai materiali assumibili. Oggi l’unico limite alla creatività free è un mercato globale, aggressivo come mai, che produce prodotti culturali vuoti e “rassicuranti”, impedendo di fatto alle persone di poter scegliere quale musica ascoltare attraverso un’omologazione preoccupante, che riflette l’appiattimento oppressivo in atto a tutti i livelli. Perché credi sia necessario ancora oggi dedicare la propria vita ad un modo di fare musica che ha quasi raggiunto il mezzo secolo d’età? Non credi si tratti di un linguaggio ormai storicizzato, come il be-bop per esempio? E se così non è, quali sono ancora le possibilità, le vie da percorrere per un ulteriore rinnovamento alla ricerca di nuova libertà? Il movimento free rappresentò un ulteriore e definitivo atto di rottura rispetto ad una situazione di sfruttamento e discriminazione del popolo afro-americano. Più volte Archie Shepp identifica la diffusione del free a livello mondiale con la propagazione di un messaggio universale di liberazione di ogni popolo oppresso. |
La mia musica non perde mai di vista il linguaggio free, e afro-americano in generale, proprio perché in esso, e nei contenuti che gli sono propri, sussiste la motivazione fondamentale della mia produzione musicale. Oriento la mia musica al free perché ritengo che quella istanza di libertà e giustizia non si debba esaurire. Vi è grande bisogno oggi di dissenso perché siamo di fronte ad un tiranno gentile (ndt. Il mostro mite per dirla alla Raffaele Simone), un sistema in mano a pochi che limita e controlla, dando l’illusione del benessere, e insinuando così nelle coscienze un senso di gratitudine e fiducia tale da renderle prive di anticorpi. Privare i popoli delle proprie peculiarità culturali significa togliere loro dignità. La musica, e il jazz in particolare, può essere uno strumento straordinario per mettere a confronto (e far incontrare) culture differenti ed accorciare distanze in un modo equo e non disumano. Le vie possibili sono l’uso continuo della contaminazione e l’incessante, responsabile rielaborazione di tutte quelle esperienze passate che sono riuscite a riflettere sul rapporto inevitabilmente dialettico tra tradizioni e avanguardie. Lo scopo è quello di consegnare al futuro l’anello della continuità nell’innovazione. Possibilità praticamente infinite, a patto che si riescano a mantenere vivi quegli spazi, vitali in ogni società sana, attraverso i quali artisti e intellettuali possono dialogare con la società civile. |
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