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[ conversazioni ]
Trevor Watts, un re del free sempre alla scoperta di nuovi regni musicali di Claudio Bonomi |
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Sei
d’accordo
che il jazz non debba avere di necessità un accento
americano per essere originale e innovativo?
Sì, ma senza le radici di questa musica non saremmo dove siamo oggi, per cui non mi piacciono gli europei quando
fanno gli antimericani tanto per nutrire il loro ego. Perché
non possiamo semplicemente fare il nostro verso, senza preoccuparci che
abbia o non abbia l’accento americano? Ci sono europei che si
scaldano davvero contro una musica che abbia questo accento americano,
se per caso la loro musica non ce l’ha. Credo che in fondo
nascondano un complesso d’inferiorità. Non importa
che cos’è, se suona bene è bello. Siamo
tutti influenzati da qualcosa, visto che non viviamo isolati e la
musica non appartiene a questo o a quello.
Diresti che, a questo punto della tua carriera, stai ancora imparando? È verissimo, ed è per questo
che
è emozionante e, entro certi limiti, è ancora
sempre una battaglia. Ma è magnifico sentire di aver
conquistato giusto quel pizzico di conoscenza in più
rispetto a un momento prima. Io credo nell’apprendimento
perpetuo e sono sempre ottimista riguardo alla musica, anche se alle
volte le scelte di certi critici o di certi impresari mi lasciano
perplesso, anche se alla fine conta tutto poco, perché
è lo studio della musica che nutre la mia anima.
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Cosa
pensi
dell’elettronica usata nel jazz? Molti hanno sperimentato
quest’unione e hanno sviluppato una pionieristica
integrazione di jazz, elettronica, musica spontanea. È un
approccio che t’interessa?
Parliamo di elettronica, jazz e musica spontanea.
Beh, doveva
succedere. Ma, come in ogni cosa, non c’è nulla di
radicale, una volta che si consideri che ogni cosa viene fuori da
qualcos’altra. Intendo dire che i primi semi di una cosa
simile potrei sostenere che si trovavano in gruppi come Amalgam,
perché se provi ad ascoltare il modo in cui Keith Rowe
tratta il suono in quella musica, e parliamo del 1979, per esempio in Ongoing
Situation, beh, i principî sono già
lì. O pensa a Jimi Hendrix nel rock, ai passi avanti che gli
ha fatto fare.
Alla fine qui si tratta solo di tecnologie nuove, più sofisticate. Come in ogni altra cosa, più che gli ingredienti per sé conta come li si mette insieme. Ci sono piatti che contengono gli ingredienti migliori ma non sono buoni: dipende dal cuoco. Per finire, puoi dire qualcosa dei tuoi prossimi progetti o dischi? Qualche riedizione in vista? È appena uscito un disco del 1989 della
Trevor
Watts Drum Orchestra, Drum Energy, per
l’etichetta Hi4HeadRecs, HFHCD 006. È ripreso live
a Londra. Poi, Nick Dart della Hi4Head pubblicherà un duo del 1999, un pezzo di musica improvvisata da un altro duo, Peter Knight al violino e io. Il titolo sarà Reunion. Peter è famoso come volinista “folk” e soprattutto per il suo lavoro con il gruppo folk/rock Steleeye Span. Ma lo si sente anche nella Drum Orchestra e in alcuni dischi della Moiré Music. Infine, c’è una registrazione del 1985 che la FMR sta per pubblicare, il gruppo Moiré originale con dieci elementi. La prima volta l’aveva pubblicato la ARC, l’etichetta di mia proprietà, ancora in vinile. Oltre a Peter Knight vi suonano Veryan Weston al piano, Lol Coxhill al soprano e contiene degli ottimi duetti del percussionista africano Nana Tsiboe e di Liam Genockey. Progetti: ora che abbiamo sciolto il duo con Jamie, mi trovo in un momento in cui mi domando: “e ora?”. E quindi sono emozionato. Nuovi regni da scoprire. Intanto, ogni giorno lavoro sulla musica. |
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Traduzione dall‘inglese di Marco Bertoli | ||||||
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