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di Dario De Notaris |
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“Quis custodiet ipsos custodes?”. La
citazione appartiene a Giovenale, scrittore della Roma Antica, che nella sua VI Satira disquisiva sui vizi delle
donne e di come queste fossero abbastanza furbe da riuscire ad
ingannare
eventuali protezioni poste dai rispettivi mariti, al fine di non farle uscire
di casa. Con il passare dei secoli la citazione è passata a ben altri ambiti,
anche meno faceti, ponendosi come una delle domande fondamentali in tema di
sorveglianza. L’etimologia di quest’ultimo termine non è difficile da
comprendere, anche se l’italiano lo ha acquisito attraverso il francese e non
direttamente dal latino: sorvegliare vuol dire letteralmente “vegliare sopra” e
quindi vigilare. Il significato
“pratico” assume però connotazioni molto più incisive di quanto l’etimologia
possa suggerire: “sorvegliare” porta con sé la necessità di garantire sicurezza su un bene, che sia
esso un oggetto o una persona.
La sorveglianza non nasce certo con
Giovenale e, in fin dei conti, anche l’uomo primitivo afferrava la necessità di
dotarsi di armi nonché del fuoco per garantire la propria difesa e quella del
suo gruppo. Da lì la sorveglianza si è evoluta in diverse direzioni: si sono
alzate mura attorno al bene da proteggere, quale il villaggio o la cittadella,
oppure si sono scavati fossi attorno ad esse, selezionando l’accesso con ponti
levatoi. Ma evidentemente non basta e sulle mura sono state costruite delle
torrette di sorveglianza, per l’appunto, nelle quali erano posti uomini armati
– prima di arco e frecce, poi di fucili – atti a controllare a vista il
territorio e pronti ad intimare un “chi va là” in caso di rumori sospetti. In
campo sociologico sia Jeremy Bentham che Michel Foucault
[1],
avevano proposto riflessioni su come garantire una sorveglianza totale nei
luoghi chiusi: l’idea di una torretta centrale attorno alla quale erano poste
le celle in maniera circocentrica, apparve essere una buona soluzione per gli
edifici da costruire. Al contrario era di difficile implementazione in luoghi
già edificati. Il tema della sorveglianza procede quindi
a braccetto, lo include in sé, con quello della sicurezza. “Sorvegliare”
comporta il garantire sicurezza; da qui il dubbio di Giovenale era abbastanza
lecito: chi assicura che coloro che sono posti a sorvegliare eseguano per bene
il loro lavoro? Chi controlla su di loro? La questione è ciclica e senza facile
soluzione, dacché pur ponendo altre persone a controllare i controllori si
proporrebbe nuovamente lo stesso dubbio sui nuovi responsabili. Nel momento in
cui l’uomo può non essere affidabile, la tecnica provvede a coprire le sue
incertezze: arrivano i binocoli per sorvegliare a maggiori distanze, nonché
congegni rumorosi che entrano in funzione se qualcuno si avvicina al settore
sorvegliato; ancora, strumentazioni più recenti, il binocolo aumenta il suo
raggio d’azione attraverso le videocamere che consentono di tenere sotto
controllo più aree e a maggiori distanze. La sorveglianza pone in essere, inoltre,
la forte divisione tra due sfere: ciò/chi deve essere sorvegliato e ciò/chi dal
quale deve essere messo al sicuro; ovvero – allargando le sfere – ingroup e outgroup. Nella sorveglianza c’è sempre un qualcuno che deve essere difeso dall’esterno: prima era l’abitante
della caverna, poi il re, poi una nazione; la sorveglianza implica dunque dei
confini, invalicabili completamente oppure dietro autorizzazione. Sulla base di
ciò, i confini – in una dimensione geopolitica e storica – implicano ulteriori
effetti. Si può decidere chi far entrare nel proprio villaggio e a quali
condizioni; oppure decidere chi cacciare dal proprio villaggio; in altri
momenti si può decidere di allargare i confini del proprio villaggio, con o
senza l’approvazione dei villaggi vicini. In tali situazioni entra in gioco il
potere, di una persona o di un gruppo di persone, che può trovare una soluzione
di comune accordo oppure con la forza. Ma i confini non sono necessariamente
fisici e territoriali, quanto anche culturali e razziali; in tali casi, la difesa
– la sorveglianza del territorio – diviene una questione molto più forte. Per
garantire sicurezza ai propri beni, fisici, culturali e ideologici, si sono
combattute numerose battaglie, guerre, crociate. Un giorno era la sicurezza del
re, un altro quella di Dio. La sorveglianza è un modus vivendi che va a braccetto con quello dell’essere liberi:
siamo liberi di fare quello che vogliamo, purché non si faccia del male ad
altri. Nella realtà sappiamo che tale libertà non è poi così “libera” e che le
costrizioni, culturali e legislative, sono molto più ferree del previsto.
Eppure dobbiamo sorvegliare, controllare continuamente, tenere sott’occhio la
situazione.
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