Video dunque sono sicuro |
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In particolare sono da segnalare alcuni volumi pubblicati dal nostro Governo e che - come sempre quando si tratta di pubblicazioni interessanti – sono circolate solo negli ambienti ufficiali o promozionali e non messe in vendita al largo pubblico. La prima è del 2004, a cura del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, e sulle prime può apparire non attinente al nostro tema: Crimes & Computers (Delitti e Computers)[5] tenta di proporre un quadro sul fenomeno della pirateria informatica nel nostro Paese e delle attività che lo Stato – attraverso la Guardia di Finanza – mette in campo per difendere il diritto d’autore. È qui che troviamo il nesso con la sorveglianza: chi garantisce che le nostre “opere”, di intelletto o materiali, siano protette?
Lasciando al lettore il piacere di approfondire il tema con il
volume citato, quello che interessa riprendere in questa sede è il come negli ultimi
anni siano state proposte e promosse, a livello nazionale ed europeo, decreti
legislativi atti a garantire la sicurezza del diritto d’autore. Per quanto
riguarda il file sharing, la
cosiddetta pirateria informatica, leggi anche recenti hanno provato a garantire
questa sicurezza, limitando però la libertà del singolo individuo: l’obbligo
per i Provider (coloro che forniscono le connessioni internet) di registrare i
movimenti dei propri clienti è evidentemente una forte limitazione alla
“privatezza” dell’individuo. E allora si è provati a passare ad un altro
livello di disquisizione: dove finisce la libertà dell’individuo? Pene più
severe a chi diffonde illegalmente materiale protetto da copyright ottenendo un
guadagno economico, pene più lievi per chi invece scarica a proprio consumo.
Nell’era del net-sharing, della
condivisione disinteressata, appare strano che non possa esserci una mano
invisibile che imponga guadagni economici. Invece è così. Il Garante per la Protezione dei Dati
Personali dal canto suo ha proposto un Codice
in Materia di Protezione dei Dati Personali[6]
che sin dai primi articoli sottolinea come “chiunque ha diritto alla protezione
dei dati personali che lo riguardano” (art. 1) e che “il trattamento dei dati
personali è disciplinato assicurando un elevato livello di tutela dei diritti e
delle libertà…” (art. 2 comma 2). In altre occasioni, i dati personali
hanno mostrato il fianco alla loro utilità nelle attività produttive e di come
questi siano un campo di battaglia tra i produttori e i consumatori. È apparso
inoltre chiaro come l’individuo assuma la connotazione giuridica di
“interessato” e di come sia legittimato a richiedere l’accesso ai propri dati
acquisiti da terzi “… trattandosi di dati idonei a fornire, anche in chiave valutativa,
elementi di conoscenza, diretta e indiretta, sull’interessato e sugli eventuali
suoi rapporti con altre persone”[7]
Ciò che è ancor più interessante è che la responsabilità della tutela dei dati
personali da parte di colui che li detiene è paragonata a quella del rapporto
medico-paziente. Scrivere della sicurezza vuol dire quindi
tenere a mente il suo opposto ovvero l’insicurezza; in quella che più
volte è stata ribattezzata come la Società del Rischio[8], i cittadini del mondo sono
contraddistinti da una perenne sfiducia nel prossimo e nelle Istituzioni.
Diffidenza è la parola chiave e nasce forse nel momento in cui l’uomo da membro del villaggio diventa cittadino
di uno Stato. L’aumento della libertà – di pensiero, di espressione e di
movimento – ha portato con sé una forte dipendenza da coloro che sono posti a
garantire queste libertà. Ma i custodi sempre più spesso hanno iniziato a dare
conto solo ai propri interessi piuttosto che a quelli della collettività: il
senso di responsabilità diviene sempre più una merce di scambio, da vendere al
migliore offerente. Il dubbio di Giovenale assume una forma
diversa: come scegliere i propri custodi?
Sulla base di quale requisito? Un tempo ci si affidava ai mercenari, personaggi
visti sempre dal punto di vista negativo di coloro che erano disposti a
compiere determinate azioni senza alcun problema, dietro lauti pagamenti. Oggi
vi sono i servizi di sicurezza privati, costituiti pur sempre da persone. Come
fidarsi di persone che dovrebbero garantire i nostri interessi ma che poi
scopriamo avere legami con la malavita, oppure che portano al fallimento
aziende nelle quali lavorano milioni di persone e che hanno altrettanti
azionisti? Come fidarsi del Presidente di una Nazione che ha legami con
Organizzazioni petrolifere e che decide di dichiarare guerra a paesi del Medio
Oriente – dove sono presenti ingenti pozzi petroliferi – dietro la motivazione
di una guerra preventiva? La domanda
principale è dunque: di chi fidarsi? Se
l’uomo non è affidabile, allora usiamo le tecnologie? Eppure anche qui dovremmo
fidarci delle “Tre Leggi della Robotica” tracciate da Isaac Asimov? E se
succedesse invece quanto immaginato dallo stesso Autore e riproposto al grande
pubblico attraverso il film I Robot
(Alex Proyas, USA, 2004)? Spesso libertà ed uguaglianza sono inversamente
proporzionali: garantire libertà vuol dire aumentare le diseguaglianze e
viceversa. Provando ad arrivare a una conclusione,
abbiamo visto come diversi sono gli strumenti tecnici atti a proteggerci e di
come, allo stesso tempo, comportino una limitazione al nostro vivere libero. Le
videocamere di sorveglianza sono il male minore: nella migliore delle ipotesi
non funzioneranno. La questione è che sono uno strumento in più di controllo
locale; se pensiamo alle “videocamere” satellitari ci si rende conto di quanto
esse siano piccole e di come siano ridicole le questioni di privacy che
discutiamo giorno per giorno (si veda in proposito il film Nemico Pubblico, Tony Scott, USA, 1998). L’umanità ha escogitato un paio di modi
per controllarsi: il primo è quello sociale, il controllo di tutti su tutti, il
che si può semplificare con la signora Anna che abita nel nostro palazzo
(scusandoci con le signore “Anna” ma, assieme alle signore “Maria”, sono
vittime di una strana statistica di “osservatrici privilegiate”) che sa vita,
morte e miracoli di tutto il quartiere; le signore Anna sono ovunque, in ogni
dove: nel condominio a far finta di pulire il pianerottolo, oppure in strada
dietro un angolo a fumarsi una sigaretta in compagnia del fruttivendolo. Poi
c’è il controllo di polizia, la punizione e la possibilità di scusarsi pagando
il conto (in denaro o in tempo presso una prigione). Infine, le tecniche di sorveglianza hanno
raggiunto ormai la dimensione “video”, che – recuperando il termine latino –
indica appunto l’ io vedo: le telecamere servono a garantire
controllo su chi entra e chi esce dalla propria zona (un modo diverso per
capire chi è ingroup e chi è outgroup); garantire protezione sui
propri interessi, legali e non legali; dopotutto le telecamere sono installate
anche nelle zone protette dalla camorra per sapere quando entra la polizia o
qualche altro intruso (ma le telecamere non dovevano servire per proteggersi
dai criminali? In questo caso i criminali chi sono?). E allora, abbandonando la domanda del
“Quis custodiet ipsos custodes?”, perché difficilmente sapremo mai con esattezza
quali informazioni che ci riguardano sono registrate e dove (e da chi)[9],
resta da chiedersi solo quale sarà il prossimo strumento di controllo. E la
risposta è pronta: chip sottopelle e/o markers sul DNA, già in uso sugli
animali, ad esempio, il che consente di tenerli sotto controllo anche su lunghe
distanza[10];
sapere dove sono, in primo luogo ma – chissà – sapere anche cosa hanno mangiato
oggi… Knock Knock Neo… (“Matrix”,
Wachowski Bros. 1999).
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