Griffin, disgustosi, cinici e demenziali
di Claudia Di Cresce |
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All’interno di entrambe vengono
aperti continuamente siparietti comici, piccoli sketch che possono avere la
forma di flashback (introdotti sempre da qualche personaggio che esclama: “come
quella volta che…”) oppure presentarsi come momenti di pura surrealtà,
richiamati da un dettaglio della storia ma del tutto estranei ad essa. All’interno degli sketch compaiono
celebrità del mondo dello spettacolo, personaggi fantastici, e molto spesso gli
stessi membri della famiglia Griffin che interagiscono con personaggi famosi o
compiono esperienze improbabili (come il piccolo Stewie che in uno degli
episodi ricorda di essersi esibito a Woodstock): si tratta di scene prive di
utilità narrativa, improntate al più assoluto nonsense. Praticamente tutte le serie
animate per adulti a partire da I Simpson
sono divenute delle serie cult[1],
caratterizzate da pratiche di consumo che vanno oltre la semplice fruizione.
Intorno a queste serie nascono fan club, fanzine e webzine, cresce la vendita
di merchandising, si radunano adepti che collezionano gli episodi e frequentano
le fiere di fumetto e cartoon per aggiudicarsi delle rarità. La trasformazione di queste serie
in cult si radica in due distinti processi. Da un lato, c’è il fenomeno del
culto del brutto: un testo fortemente trasgressivo, magari isolato e denigrato
dalla corrente mainstream, può
generare negli adepti identificazione ed appagare esigenze di differenziazione
dalla massa, guadagnandosi in questo modo il proprio status cult
tramite l’accumulo di una forte carica trasgressiva. L’uso di un’estetica del brutto o del
demenziale, una scelta che non teme di mostrare ciò che è disgustoso,
disturbante o privo di senso, contribuisce ad accrescere la carica trasgressiva
dei testi e conseguentemente la loro potenzialità cultuale. Vi è poi un secondo fattore: si
tratta di una caratteristica a cui Umberto Eco[2]
fa riferimento con l’espressione “collage intertestuale”. Per
comprenderla va tenuto presente che il sistema culturale è composto da una
serie di realizzazioni testuali prodotte secondo operazioni separate e
apparentemente autonome, il cui senso effettivo, però, dipende da come queste,
a un livello meno immediatamente visibile, si legano tra loro dando vita ad un
reticolo di rimandi, allusioni, associazioni, trasformazioni, complementarità e
integrazioni. I
prodotti dell’immaginario sono legati tra di loro in una “rete di senso” da
“fili invisibili”: questo fa sì che essi interagiscano attivando richiami
reciproci al momento della fruizione. Come
risultato delle connessioni tra le componenti della rete e della loro reciproca
attivazione, un nodo può surriscaldarsi semanticamente a tal punto da divenire
qualcosa di altro da sé, subendo un processo definito “surrinterpretazione” o
“deriva semantica”. Questo processo porta alla trasformazione di un oggetto culturale
in un cult. Un
prodotto culturale, nel nostro caso un cartoon, assume una forte potenzialità cultuale, dunque, nel momento in cui
contiene numerosi richiami ad altri nodi della rete, ed è capace di attivare le
connessioni naturalmente presenti tra questi nodi, innescando processi di
surriscaldamento semantico. Cartoon
ricco di citazioni, I Griffin costituisce
un perfetto esempio di “collage intertestuale”: raccoglie elementi, richiami,
frame intertestuali e topos narrativi
che provengono dai diversi punti della rete, favorendo il processo di
surriscaldamento semantico e la conseguente trasfigurazione cultuale. I Griffin, strutturato in modo da
rimandare continuamente al altri nodi del sistema culturale, è naturalmente
predisposto a diventare un cartoon di culto, e offre in ogni episodio la
possibilità allo spettatore di fare un altro giro nell’enorme megastore dell’immaginario
contemporaneo.
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