Le meditazioni meridiane di Albert Camus |
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di Angela Durini |
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...Pour le noyè la mort c’est la mer
Et pour la mer le noyè c’est peut-être un peu de sa vie.
Jacques Prévert, Le noyè.
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Il
pensiero meridiano nasce con i presocratici, conosce una nuova
stagione nel rinascimento con il naturalismo di Bernardino Telesio, Giordano
Bruno e Tommaso Campanella: è, dunque, un pensiero di tradizione mediterranea. E figlio del Mediterraneo fu
Albert Camus la cui infanzia si svolse nei quartieri poveri di Algeri. In particolare,
ne L'uomo in rivolta, Camus dedica un
ampio capitolo conclusivo a Il pensiero
meridiano, inteso come il pensiero del
mezzodì e della luce, contro un'Europa settentrionale dominata dallo
storicismo tedesco, dal pensiero della mezzanotte, delle tenebre. Il pensiero
meridiano diviene una possibile alternativa alla decadenza, alla crisi della
modernità e alle ombre, appunto, di quest’ultima.
Rivoluzione/morale/rivolta, la
triade sulla quale poggiano i caratteri meridiani. L'Europa e la rivoluzione si
sarebbero allontanate dalla bellezza, dal dubbio e dalla morale. Di qui la
tragedia dell'umanità contemporanea e il suo nichilismo, tutto racchiuso in
queste parole di Camus, scrittore di prosa per Jean-Paul Sartre e non
romanziere: “.. l'omicidio cieco e furioso diviene un'oasi e il criminale
imbecille sembra rinfrescante accanto ai nostri intelligentissimi carnefici”[2].
E dapprima la lotta contro Dio e di qui Sisifo, colui che ha
osato sfidare gli Dei. Come Sisifo, Camus si abbandona tragicamente a quell’inutile
lavoro di spingere un masso fino alla sommità, per poi vederlo rotolare di
nuovo in basso, e ricominciare ancora, realizzando l’assurdità dell’esistenza.
Si delinea, in seguito, il passaggio dalla lotta contro Dio alla lotta contro
gli uomini: ecco la parabola del destino dello spirito europeo. Di qui la
necessità della rivolta. Forte la suggestione di una dimensione tardo-romantica
o post-romantica, eco del prometeico titanismo ribelle. E il nostro pensiero
corre al pessimismo agonistico di Giacomo Leopardi, nonché alla grande lezione
di Friedrich Wilhelm Nietzsche. “Dio è morto”, e da qui la rivolta
di Camus, contro la solitudine, verso la scoperta della fraternità. Ed oltre la
finitudine, nella finitudine, Camus sembra perseguire uno stato fusionale col
finito verso l’infinito, il Moksha della filosofia indù, unione del sé col
mondo. Afferma che “il mondo resta il nostro primo e ultimo amore”, fedele,
perciò, alla terra. Ed è straniamento
nell’inversione di valori che si compie, che assolutizza il mondo. L'illusione,
paradossalmente, trascende il nulla, quel nulla che precede l’Assoluto. Il nichilismo, la nuova religione, non già extramondana : la
mondanità è eros, oltre la morte. Ed
è ebbrezza di debolezza, e l’infinito, l’assoluto, solo nell’approccio poetico
alla vita. E in quell’illusione l’eco del
poeta di Recanati. Sebbene Camus trascenda il pessimismo di Leopardi nel suo
lento perseguire quel balcone davanti al mondo[3]
che è l’accettazione dell’esistenza, l’aver goduto della bellezza della natura,
pur coscienti della sua ambiguità, tragicità, appunto, lancia un urlo, forse
disperato, circa l’estraneità dell’uomo a se stesso. Vicino a Nietzsche anche
in questo, nel cogliere quel filo invisibile che attraversa l’esistenza e che
collega Eros a Thanatos, celebrando l’ambiguità della vita umana. Camus è
ottimista nella misura in cui intende l’idea di natura umana come capace di
frenare la corsa sempre più irresistibile della Storia, artefice della
reificazione dell’uomo. E l’umanità scopre la fratellanza nella colpa,
nell’ebbrezza di dismisura. La natura umana è parte di una natura più grande,
non matrigna: è parte del mondo. Ed Eros ritorna in Camus, in qualità di
dimensione immaginifica: nel terzo millennio, nel regno della razionalità,
l’irragionevole, la dismisura, la hybris,
si insinuano. In tal senso lo spirito di complessità ed ambiguità della
modernità è prodromo del postmoderno. Beninteso, il pensiero meridiano è
il tentativo di associare particolari forme di pensiero a determinate aree
territoriali, e, nel panorama intellettuale europeo, si pensi a chi, come
Massimo Cacciari o Carl Schmitt, ha prospettato una qualche forma di
geofilosofia. Lungi da qualsivoglia visione distopica, però, fiduciosi e
controcorrente nel pensare che la cultura non sfugga alla topologia, non
possiamo non sottolineare la centralità de La
Mer, il Mediterraneo.[4]
Il mare, l’acqua, da sempre elemento fondativo, archetipo, poetico, dunque, di
per sé. Elemento, inoltre, accogliente, femmina nell’abbraccio di culture
diverse: il Mediterraneo si limita a separare le terre e non fissa distanze
come gli oceani. Franco Cassano[5], che del
pensiero meridiano si è occupato, associa geofilosoficamente,
appunto, elementi, quali terra, mare e Mediterraneo, a sistemi di pensiero
riconducibili a personaggi assai diversi, quali Martin Heidegger, Nietzsche e
Ulisse. In particolare, il pensiero di Heidegger si oppone al mare, esalta il
valore del popolo tedesco circondato dalla terra. Il pensiero di Nietzsche, al
contrario, esalta il mare, la partenza senza ritorno, senza nostos.
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(1) [2] |