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quanti gradi brucia la speranza? Fahrenheit 451 di D |
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Da
subito scoppia la scintilla della contraddizione, quella che, secondo una frase
celebre, “muove il mondo”. Il protagonista è affascinato dallo spirito libero
della giovane donna ma non lo comprende. Almeno non lo fa proprio fino a quando
altre tristi circostanze non lo costringeranno a riflettere sulla sua
condizione di essere non libero in una società che lo scrittore tratteggia come
tiranneggiata dalla tecnologia. Oggi
noi sappiamo che i progressi scientifici, e le loro applicazioni, convivono con
la cultura umanistica e la carta stampata, e che anzi, forse, in un certo senso
ci hanno reso più liberi e più uguali. Come
scriveva Alexis de Tocqueville,[3] nel
1835, nell’opera che lo ha reso celebre, La democrazia in America: “Se
si scorrono le pagine della nostra storia, si può dire che non si incontra un
solo avvenimento di particolare importanza che in questi ultimi settecento anni
non si sia risolto in favore dell’uguaglianza sociale.” Naturalmente
tra queste parole e la nostra realtà c’è di mezzo il Novecento, un secolo
capace, con i suoi orrori, di cancellare ogni ottimismo sulle ”magnifiche sorti
e progressive”. Ed è proprio alle tirannie del secolo breve che molta parte
della fantascienza americana contemporanea a quella di Bradbury, pensiamo a
Philip K. Dick e alla sua Svastica sul sole,[4]
deve le sue ossessioni oniriche e i paesaggi immaginifici della mente. Sul
mondo fantastico dell’autore incombono così fame e un’altra guerra – non
dimentichiamo che Bradbury, nato nel 1920, ha vissuto il Secondo conflitto
mondiale – che, nella parte conclusiva del romanzo, darà vita a una descrizione
dalla grande forza emotiva e simbolica del bombardamento sulla città. E delle
sue conseguenze funeste non solo per le
persone che vi abitano, ma per tutta l’umanità che non ha saputo fare
tesoro del ricordo dei morti del passato per scongiurare altri eccidi in
futuro. A noi
che siamo bombardati tutti i giorni da notizie di guerre tra le più atroci, di
genocidi e massacri da ogni parte del mondo, come sembra adesso ingenuo
l’appello di Bradbury alla pace e alla buona volontà dell’uomo contro le
carneficine. A quanto pare, i peggiori istinti ci sono connaturati. Limitato
appare, di fronte alle nostre conquiste scientifiche, l’universo tecnologico
creato dall’autore. Che, in sintesi, è composto da “conchiglie” auricolari per
ascoltare la radio, da intere pareti tv al posto del piccolo schermo, e dal
cane-robot Segugio Meccanico che fiuta gli odori, è capace di riconoscere le
persone e di ucciderle con il suo pungiglione alla procaina, una sostanza
letale. E
quando Montag e il suo mentore Faber, uno degli ispiratori della ribellione del
protagonista contro il potere, si danno appuntamento nella più lontana città di
St. Louis, dove entrambi vogliono riparare dopo la fuga dai militi incendiari,
promettono di cercarsi tramite fermoposta. Quando oggi lo si farebbe per e-mail
o per sms. Ma prevedere l’avvento di internet a quei tempi era una capacità ovviamente impossibile e il fascino che ancora esercita su di noi il romanzo di Bradbury si deve all’universo fantastico che ha saputo creare attingendo ai suoi fantasmi inconsci. Come
nei migliori romanzi mainstream, l’autore individua psicologie, inventa
dialoghi, tratteggia descrizioni con l’abilità di un grande maestro della
parola e del suo potere evocativo, a partire da piccoli spunti per arrivare a
scoprire verità universali, raccontate dalla letteratura di tutti i tempi. Così i libri acquistano il valore simbolico di difensori dell’umanità, le ragazze semplici e pure incarnano i valori eterni della bellezza e della poesia, le mogli alienate diventano archetipi della donna cattiva, l’uomo che si vuole riscattare è l’individuo solo di fronte alla crudeltà del potere e alla spersonalizzazione cui questo lo conduce. E gli uomini-libro del finale imparano ciascuno un volume a memoria per trasmetterlo alle generazioni future.
Fahrenheit
451 ci rivela così, se mai ce ne
fosse ancora bisogno, che la fantascienza è ovunque tranne che nella
fantascienza. E che la scrittura esprime la sua intera potenzialità proprio
quando ambisce, in un autore di talento, a raccontarci l’odissea dello spirito
verso l’acquisizione di una maggiore capacità critica e indipendenza.
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