Memoria 3.0: dalla pagina web al database totale di Dario De Notaris

 


Se, seguendo le teorie di Marshall McLuhan, le tecnologie sono estensioni del nostro corpo, nonché amplificazioni dei nostri sensi, in questo caso abbiamo una tecnologia che non è più relativa ad un senso particolare, ma ad un organo, il più importante del nostro corpo: il cervello. La possibilità di demandare la nostra memoria ad un elemento esterno al nostro corpo, riporta alla mente le riflessioni di Locke[6] sul concetto di persona e di io. Locke proponeva l’esempio del mignolo: se lo perdiamo e continuiamo ad avere coscienza di noi, nonché il corpo continua a vivere, quell’estensione del nostro corpo non è depositaria della nostra coscienza/consapevolezza. Nel momento in cui però, riflettiamo oggi, tutto il nostro bagaglio di conoscenze, presenti e passate, è trasportabile in un elemento esterno al nostro corpo (si pensi ad esempio ad una periferica di memorizzazione mignolo-USB), allora l’interrogativo che dobbiamo porci è nuovamente dove risieda l’io. Si pensi anche al racconto di Sydney Shoemaker[7], sul caso del signor Brownson, ovvero il trapianto di cervello del signor Brown nel corpo del signor Johnson. Il nuovo soggetto è identificabile, in quanto riconosciuto dagli altri, come il signor Johnson ma questo essere non sa chi siano le persone che lo salutano. Il corpo di Johnson possiede la memoria e le coscienze di Brown. Riportando l’esempio ai giorni nostri, se abbiamo la possibilità di trasferire la nostra conoscenza su un dispositivo esterno, chi siamo noi? Dov’è il nostro io? Mettiamo che si abbia su di un dispositivo la memoria del Sig. Brown; mettiamo anche che questo dispositivo sia in grado di riconoscere i volti delle persone che incontro (nei fatti esiste); ebbene, io saprò immediatamente tutte le informazioni che Brown aveva delle persone che incontro. La memoria altrui si muove con me e, per estensione, la mia stessa memoria si muove indipendentemente da me. È come la musica digitale che oggi si muove senza alcun supporto fisico e materiale determinato. La nostra memoria, come un mp3, è solo un file, un insieme di bit, di informazioni. Platone e Socrate discutevano della scrittura come strumento di comunicazione della conoscenza senza la presenza fisica dell’emittente: oggi la riflessione resta valida con le ovvie aggiunte. Non è più una situazione di trasmissione della parola orale ma di tutto il patrimonio mentale di una persona (questo trasferimento della memoria è riscontrabile anche nella cinematografia nel pluri-citato Matrix).

Eppure, questa testimonianza digitale porta a riflettere  su un altro aspetto che collega le tecnologie digitali alla memoria. Come ricorda Lev Manovich[8], il digitale permette di ricreare oggetti reali al computer. Si pensi ai numerosi film di fantascienza (ma di recente anche di altri generi) nei quali persone, cose, animali, piante vengono ricreate al computer e poi montate in relazione ad attori e ambienti naturali. L’analista russo sottolinea inoltre come sia necessario “peggiorare” l’aspetto di questi elementi ricreati affinché, all’occhio umano, appaiano il più naturali possibili, con le imperfezioni che siamo abituati a vedere nel mondo circostante. Il digitale è troppo perfetto e si deve adeguare al naturale.

Questa possibilità di creare oggetti che appaiano del tutto reali implica evidentemente un cambiamento nella gestione della memoria. Spesso si parla di falsificazione, ovvero l’inserire elementi che non appartengono al contesto nel quale sono inseriti: per intenderci, si pensi alla famosa foto scattata il giorno della liberazione di Berlino. Un soldato russo, ritratto con una bandiera in mano, che sventola sul panorama della città tedesca, ancora in fiamme. Negli ultimi anni sono stati espressi dubbi sulla veridicità di questa foto e, dopo diverse analisi, tecniche e storiche, si è scoperto essere un falso: il soldato era effettivamente a Berlino con una bandiera, ma la foto (orologi scomparsi e i fumi sullo sfondo) sono stati aggiunti in fase di sviluppo della foto. Ancora, era stato il fotografo a portare la bandiera al soldato e dirgli di mettersi in posa. Questo episodio testimonia come siano state consegnate alla memoria storica e collettiva, dei falsi, degli eventi che non si sono veramente verificati. È su questa scia che si dubita ancora dei filmati sul primo atterraggio sulla Luna da parte degli Americani. Ed oggi con il digitale è possibile modificare perfettamente un’immagine senza lasciare traccia: è possibile creare dei fotomontaggi più che perfetti, reali. E dunque, il pericolo è ancora più grave: cosa verrà consegnato alla nostra memoria futura? Potremmo essere testimoni passivi di eventi che non si sono mai verificati. Si ricorda un po’ quanto viene rappresentato in film come Blade Runner, dove nell’automa viene registrato un passato non suo – ma lui è convinto di esserne invece padrone; e come non ricordare il pluri-citato e analizzato Matrix, con una realtà del tutto artificiale, eppure reale per chi la vive (dacché il reale è tutto ciò che viene percepito dall’essere umano).


[6] Locke J. (1951) Saggio sull’intelligenza umana, Laterza Roma-Bari

[7] Shoemaker S. (1963) Self-Knowledge and Self-Identity, Cornell University Press, Ithaca (N.Y.)

[8] Manovich L., Il linguaggio dei nuovi media, Olivares 2005, Segrate

 

 

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