Nulla
può rendere conto della visione della realtà di una data cultura
quanto la sua percezione del tempo e dello spazio. Sulla base di
questa ipotesi scienze e discipline diverse tra loro, anche se
contigue, come ad esempio la storia della cultura, la sociologia
della conoscenza e la sociologia dell’arte, continuano ormai da
tempo ad interrogarsi sulle modalità con le quali l’uomo
percepisce ed organizza socialmente categorie universali
dell’esistenza quali, appunto, il tempo e lo spazio e su come
tutto ciò sia essenziale alla costruzione dell’identità.
Dichiaratamente
erede del lascito intellettuale di tale filone è il recentissimo
Memorie dal futuro. Spazio, tempo, identità nella science fiction
di Adolfo Fattori, nel quale l’Autore ripercorre la storia della
narrativa e del cinema di fantascienza, considerati oggetti
privilegiati nei quali cogliere lo “spirito spazio-temporale”
del XX secolo. Non a caso il libro si apre con la seguente
citazione:«…il tempo, lo spazio, l’identità, i tre pilastri
della fantascienza» tratta dal pensiero di una delle icone della
cultura cyberpunk, J. G. Ballard.
Ma
perché la fantascienza? Perché in essa risalta il ribaltamento
che le società moderne operano nei confronti di quelle arcaiche e
pre-moderne rispetto al valore attribuito alle dimensioni
temporali del passato e del futuro: laddove le seconde
identificavano col passato il “luogo” deputato a spiegare,
interpretare e legittimare la realtà del loro presente, le prime
insisteranno su valori quali la libertà e l’autodeterminazione
dei popoli e dell’Uomo, l’emancipazione, il progresso tecnico
e civile, la felicità per il maggior numero, valori per la
realizzazione dei quali è necessario un progetto e quindi la
capacità di avere una visione prospettica dell’esistenza, una
visione, cioè, proiettata al futuro. Niente di strano dunque,
sostiene Fattori, che da questo stato di cose nasca la
fantascienza essendo questa una narrativa che pone al centro del
suo interesse le società e le tecnologie del futuro; la science
fiction è un genere, o meglio, «una particolare modalità di
lettura, di consumo, una particolare tipizzazione
dell’immaginario, che ruota – almeno in superficie – attorno
ai temi della scienza e della tecnologia, al servizio di una messa
in scena dell’avventura, che le permetta di declinare così
tutti i luoghi dell’immaginario stesso».
Ma
con l’approssimarsi di quella che l’Autore definisce tarda
modernità e che, forse, data la frattura intervenuta specialmente
nella percezione del tempo e dello spazio e nelle teorie
sull’identità, sarebbe più corretto definire postmodernità,
la corsa febbrile all’anticipazione del futuro si esaurisce
lasciando il campo ad un forte senso di spaesamento e di
disorientamento cognitivo che inciderà sensibilmente
sull’identità, intrappolandola in un presente sempre meno
comprensibile e rendendola frammentata, superficiale, multipla. Se
l’uomo moderno aveva dovuto fare i conti con l’alienazione
questo non è più possibile nella postmodernità, in quanto
l’alienazione presuppone un sé centrato ed unitario al quale
l’individuo si sente estraneo, un sé che il pensiero
postmoderno ha frantumato in traiettorie isolate ed indipendenti
l’una dalle altre. È per questo che l’individuo contemporaneo
non soffre più di alienazione, bensì di schizofrenia. La
fantascienza di questo periodo si trova ad essere specchio e
riflesso di tale stato di cose:«le storie e i personaggi che
mette in scena – nel cinema come nei romanzi – ruotano tutti
intorno alle interrogazioni sull’identità e sulla natura della
realtà», navigando e sfruttando quella «dimensione vasta come
lo spazio ed eterna come l’infinito, che sta nella terra di
mezzo tra la luce e l’ombra, tra la scienza e la superstizione,
tra il fondo delle paure umane e il sommo della sua conoscenza»,
che è la dimensione dell’immaginazione.
Come
si può notare, Fattori tocca temi di straordinaria profondità e
importanza per la teoria sociologica attuale e lo fa senza mai
annoiare grazie alle frequenti citazioni ed incursioni in campo
cinematografico e in quello della narrativa; di quest’ultimo
delinea anche in via preliminare una breve storia che parte da
quegli autori che Egli considera i pionieri del genere, come Verne,
Salgari e Wells presi quali esempio della coscienza di un tempo
che cambia; passa per i classici Anderson, Asimov, Heinlein, Van
Vogt, Williamson, ecc.; e giunge sino ai più recenti Ballard e
Dick e al già citato genere cyberpunk considerato non come
un’invasione del genere fantascientifico, bensì come una sua «moderna
riforma». Un metodo che forse talvolta pecca di sistematicità e
linearità, ma che, d’altro canto, potrebbe conquistare il
favore di un intellettuale del calibro di Jacques Derrida, per il
quale il senso di un testo è disseminato, fatto, cioè, proprio
di concatenazioni e rimandi.
Inoltre,
l’Autore, nella convinzione che non sia possibile misurare
appieno lo sviluppo e il prosperare dell’immaginario
fantascientifico se non cogliendolo nei suoi intrecci con altre
sfere del sistema sociale, getta un occhio attento
all’evoluzione dei mass media (radio, cinema, TV e anche
fumetto), alle trasformazioni dell’organizzazione sociale e alle
mutanti condizioni di vita nelle moderne metropoli, consentendosi
l’azzeccato ardire di accostare un media event come lo sbarco
dell’uomo sulla luna del 1969 ed un road movie dello stesso
anno, Easy Rider. Azzeccato perché questi due “oggetti” hanno
in comune il porsi come origine simbolica dell’attuale
appiattimento temporale sul presente: il primo rappresentando la
fine del futuro avvenuta tramite il suo compimento; il secondo
realizzando nel viaggio senza meta, nella fuga senza fine, la
rottura con una tradizione traditrice nella quale i protagonisti
non possono e non vogliono più riconoscersi.
In
definitiva, il libro di Fattori risulta sicuramente ricco e ben
articolato sul piano orizzontale, cioè quello delle citazioni e
dei riferimenti, senza che, per questo, l’Autore abbia dovuto
sacrificare troppo il piano verticale, quello cioè della
profondità delle analisi da Lui condotte.
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