LETTURE / MR. MERCEDES
di Stephen King / Sperling & Kupfer, Milano, 2014 / pp. 480, € 19,90
Un thriller senza confini
di Francesca Fichera
Ciò che si crede di conoscere non finisce mai di stupire. Tanto perché può cambiare quanto perché, entro i confini delle sue costanti, offre molteplici livelli di lettura. Riuscire a coglierli ed esplorarli tutti è impresa difficile (ma non impossibile), che presuppone l’esistenza di diversi punti di contatto fra l’esperienza di chi produce e quella di chi consuma. Nel caso dei libri, in particolare di quelli di Stephen King, la rinuncia a una comprensione completa e approfondita degli ambiti rappresentati non priva di vigore e di senso l’esperienza di lettura; d’altra parte, la piena riuscita di tale comprensione ha il potere di aggiungere forza ai significati, donando maggiore intensità all’insieme proprio a partire dal grado – per così dire – più superficiale dell’esperienza del lettore: l’intrattenimento.
Mr. Mercedes, come del resto l’opera omnia del “Re del Brivido”, si colloca alla perfezione entro questa cornice esperienziale. Al contrario, però, della maggior parte dei suoi scritti, sceglie di non avvalersi degli stilemi più classici del genere horror che hanno reso King, all’interno del vario e complesso panorama dell’industria culturale, precisamente e istantaneamente riconoscibile. Come i precedenti Colorado Kid (2005) e Joyland (2013), il più recente romanzo kinghiano, primo capitolo di una trilogia, si inserisce idealmente nel bacino narrativo del thriller, con un assassino – per l’appunto, il signor Mercedes del titolo – e un tormentato detective – Bill Hodges – sulle sue tracce. La crudeltà del mondo viene svestita delle spoglie metaforiche di mostri, fantasmi e piccole cittadine colme di perversioni e maledizioni: in Mr. Mercedes causa e frutti della paura sono reali proprio perché possibili e, soprattutto, assolutamente casuali. La furia dell’umanissimo mostro a bordo di un’auto di lusso si scatena in una mattina qualsiasi, durante uno dei tanti assalti al collocamento da parte dei (troppi) disoccupati costretti alla fame e alla pena dall’imperante crisi economica. Prima che la Mercedes, governata da una forza oscura in carne e ossa, spunti dalla nebbia a portare il buio investendo e martoriando i loro corpi, il punto di vista – narrativo, emotivo – è tutto delle vittime. Poi sarà quello del detective Hodges e dopo ancora, anche e specialmente, del killer della Mercedes, risoluto a entrare in contatto diretto, a mostrarsi, proprio con chi sta indagando sul suo conto. E al punto da consentire un processo, di più frequente riscontro nel settore audiovisivo che in quello letterario, di graduale e terribile familiarizzazione con l’autore del crimine; di incontro ravvicinato con l’orrore, il terrore e la creatura mostruosa – ma di sembianze umane – che li ha provocati.
L’occhio del King narratore ha assunto, nel tempo, il modo di muoversi caratteristico di ciò che sempre guarda (ed è guardato) nelle nostre case: la televisione. La maniera in cui è presentata la tragedia iniziale di Mr. Mercedes appare la stessa che guiderebbe il live di un inviato speciale presso una qualunque manifestazione violenta: un primo, disordinato piano sul posto caldo, tra i volti dei probabili futuri caduti, che si oscura, interrompendo di netto le comunicazioni, non appena la violenza raggiunge il suo picco ed esplode. I dati – il numero dei morti e dei feriti, l’entità dei danni a persone e cose, l’eventuale identikit dei colpevoli – sono rimandati a una successiva raccolta, accompagnata da quell’esposizione morbosamente soppesata dei dettagli macabri, tipica di chi “rallenta per guardare l’incidente” (Abruzzese, 2000), che richiama con forza la struttura del materiale mediatico relativo all’Undici Settembre americano, protagonista di un incessante ciclo di analisi e riproposizioni.
Tuttavia, ciò che è interessante notare non è tanto la prospettiva televisiva e spettacolare entro cui King inquadra i diversi ambienti narrativi – un espediente peraltro non eccezionalmente originale, se solo si pensa, volendo limitarsi alla sua opera, alla morte in diretta protagonista de L’uomo in fuga (2003), nonché a quella in soggettiva del racconto Un volto tra la folla (2014). La particolarità dello scrittore americano, che contribuisce con decisione a far salire di grado il livello d’intrattenimento offerto dalle sue creazioni, sta nel suo saper mettere a nudo i meccanismi di dialogo intermediale da cui trae ispirazione. In poche parole: Stephen King parla di e come i media perché vi si immerge quotidianamente; per giunta, non facendone mistero ma, anzi, divertendosi a di-mostrarlo, tanto in maniera conscia quanto inconscia, attraverso una fittissima, fluida e sfuggente rete di citazioni. Da serie tv come Dexter (2006 – 2013) a film di culto come La moglie di Frankenstein (1935), i nomi tirati fuori dal bagaglio dello Stephen King spettatore cascano a pioggia, arricchiti da descrizioni e richiami così precisi – relativi a personaggi e a singole scene, laddove non agli interpreti – da mettere a dura prova anche lo studioso di linguaggi mediatici più esperto e aggiornato. D’altra parte, Mr. Mercedes non rappresenta, come s’accennava, un caso isolato: è soltanto, e significativamente, un esempio di come questa pratica narrativa sia stata messa in atto da King in modo più massiccio che in precedenza, soprattutto dal momento in cui ha scelto di sviluppare una linea decisiva della narrazione, e cioè il botta-e-risposta fra il killer e il detective Hodges protagonista, nella doppia virtualità di una chat forum segreta su Internet. Si è così confermato letteralmente al passo con i tempi, sebbene la rete di riferimenti, inter- e intra-mediali, abbia sempre svolto il ruolo di cifra peculiare del suo modo di scrivere, effetto benefico di una continua e multiforme irruzione delle conoscenze, delle passioni e, perché no, anche dei fanatismi dell’autore del Maine al di là dei confini narrativi delle sue opere.
Ci si rende conto che comprenderli a pieno sarebbe possibile solo nel caso – improbabile a verificarsi – in cui le esperienze dei due contendenti della pagina, del lettore e del narratore, fossero perfettamente sovrapponibili. Poiché così non è e non può essere, l’unica soluzione sta nel lanciarsi in una progressiva scoperta (o riscoperta) dell’universo mediatico citato, commentato e riprodotto da King, onde cogliere al meglio l’ulteriore aspetto ludico, giocoso, che la lettura dei suoi libri è in grado di offrire: sul piano dell’ironia, quid che dà un tocco in più alla narrazione, come su quello della ricerca, parallelo al percorso di lettura. Un modo divertente per testare in prima persona la portata del fenomeno di assottigliamento dei confini tra i media, per immergersi in un fluido a sua volta immerso in altri fluidi, per entrare nel vivo del gioco di rimandi ed afferrarne i nessi. E finire col ritrovare la profondità “nascosta in superficie” (von Hofmannsthal,1980), grazie a uno scrittore che ha valicato i contorni dei generi per crearne, e diventarne, di nuovi.
LETTURE
— Alberto Abruzzese, Davide Borrelli, L’industria culturale. Tracce e immagini di un privilegio, Carocci, Roma, 2000.
— Stephen King, Colorado Kid, Sperling & Kupfer, Milano, 2005.
— Stephen King, Joyland, Sperling & Kupfer, Milano, 2013.
— Stephen King, L’uomo in fuga, Sperling & Kupfer, Milano, 2003.
— Stephen King, ‘O Nan Stewart, Un volto tra la folla, Sperling & Kupfer, Milano, 2014.
— Hugo Von Hofmannsthal, Il libro degli amici, Adelphi, Milano, 1980.
VISIONI
— AA. VV., Dexter, Stagioni 1-8, Paramount, 2010-2014 (home video).
— James Whale, La moglie di Frankenstein, Cineteca, 2010 (home video).