VISIONI / UNDER THE SKIN


di Jonathan Glazer / BiM Distribuzione, 2014


 

Umana, poco umana o troppo umana?

di Antonio Iannotta

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Nero pece. Al centro del quadro, un minuscolo punto luminoso. Stacco. Il puntino diventa una luce a tutto schermo. La musica è una terrificante miscela sonora acusmatica. La luce potrebbe essere qualunque cosa. Alla fine si direbbe un pianeta. Stacco. Il pianeta luminoso si mette in asse con altri satelliti di una galassia che scopriamo essere la nostra. Oltre alla musica udiamo una serie di suoni vocalici e consonantici che sembrerebbero costituire un codice. Attraverso un'altra breve serie di stacchi l'immagine luminosa, poi pianeta, poi non si sa che, diventa un occhio. Un bellissimo occhio verdastro. Stacco, più improvviso e violento degli altri. La musica tace, o meglio si confonde con i suoni della natura. Tacciono i suoni verbali. Su uno sfondo bianco compare il titolo del film.

Se c'è del tocco kubrickiano nell'ultimo film di Jonathan Glazer, già regista degli interessanti Sexy Beast (2000) e Birth (2004), è proprio in questa prima straordinaria sequenza.

Il regista britannico ha impiegato nove anni per dare vita al suo nuovo lavoro. Il risultato, per quanto controverso (non pochi i fischi rimediati allo scorso Festival di Venezia), ha dei notevoli punti di interesse, a partire da una certa capacità di ipnotizzare lo spettatore grazie ad un immaginario che getta in uno stato di confusione e stupore continuo chi vi si interconnette.

Protagonista assoluta del film è un’algida (ed erotica) Scarlett Johansson nel ruolo di una creatura aliena senza nome che si aggira come uno spettro portatore di morte in una plumbea Scozia. L'alieno appare all’inizio della sequenza poc’anzi compendiata nudo e intento a sottrarre il corpo ad una donna morta di cui assume le sembianze. L'operazione di sottrazione del corpo avviene al contrario del modello filmico e romanzesco da cui trae ispirazione, L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers) del 1956, per la regia di Don Siegel, tratto dal romanzo di Jack Finney dell’anno prima, The Body Snatchers. Da non dimenticare i (quasi) remake e (“finti”) sequel successivi, ad opera di Philip Kaufman (1978), Abel Ferrara (1993) e Oliver Hirschbiegel (2007): il film di Glazer si inscrive a suo modo infatti in questa genealogia, e lo fa in una modalità peculiare. Lì l’alieno prendeva il posto dell’umano sostituendovisi nel passaggio dal sonno alla (nuova) veglia; qui il processo va dal corpo morto a quello rigenerato (pieno di vita e sensualità) di Johansson. In entrambi i casi, in specie nel film sugli ultracorpi, regna sovrana l'assenza di emozioni da parte degli extraterrestri; nel caso di Under the Skin il film cambia proprio quando Johansson comincia a provarne, di emozioni, subendo delle spaventose crisi di rigetto. Un'altra differenza risiede nelle modalità di "trasformazione": qui non c'è l'orrorifica apertura di un bocciolo da un'altra galassia, ma è sufficiente indossare gli abiti di una morta. Formidabile è appunto la scena della svestizione del corpo del cadavere e della successiva vestizione dell'aliena Scarlett. Quando la nuova “donna” guarda dall'alto il corpo sottratto della giovane deceduta a questa cade una lacrima dal viso esangue. Il cortocircuito emotivo-empatico è servito.

Le premesse dell’ambizioso film di Glazer, ispirato vagamente al romanzo di Michel Faber del 2000, sono davvero notevoli. Peccato non vengano svolte fino in fondo, però. Già autore di videoclip di culto per artisti celebri e band famosissime, come Blur, Jamiroquai e Radiohead, Glazer gioca infatti la sua partita più sulle sue capacità di mettere insieme architetture visive e sonore perturbanti che per altro. A soffrirne è una narrazione non priva di difficoltà.

Per fare un eccellente film di fantascienza la solidità narrativa non è certo necessaria, basti pensare a quanto agisca produttivamente ancora oggi un capolavoro ambiguo come 2001: Odissea nello spazio. Ma qui siamo anni luce lontani dal film di Stanley Kubrick, e non solo da quello. Under the Skin sfrutta la sua estetica per far percepire allo spettatore il nostro mondo con occhi alieni, questo di certo uno dei suoi meriti. David Lynch, Kubrick appunto, e David Cronenberg lo fanno in modo diverso e in maniera più perturbante, in senso squisitamente freudiano: far percepire cioè allo spettatore qualcosa che ben conosce con occhio inedito è esattamente quello che intende Sigmund Freud per, potremmo dire, “non-più-domestico”. L’humus è noto e l’ambiente da cui trae ispirazione e modalità è questo. Quello che non funziona è l’incapacità a generare una spinta che possa andare davvero oltre la triade summenzionata. Si badi bene: il film ha meriti notevoli, ma se vuoi giocare la partita con i primi della classe, l'ambizione non basta.

Tra gli aspetti più interessanti si segnala tutto il tessuto sonoro del film. La colonna audio e rumoristica dell’esordiente (al cinema) Mica Levi contiene brani e sonorità da sci-fi anni Cinquanta rimodulati in chiave contemporanea. Il film di Glazer è pur sempre un film di fantascienza, anche se di una fantascienza tutta inner space. Se il compito è quello di sedurre la nostra razza – ma qui si usa il concetto di task come ipotesi, nulla ci è dato sapere sul perché questa razza aliena stia entrando in contatto con noi, a differenza di quanto avveniva con gli ultracorpi, dove tutto era più chiaro e più inquietante – Johansson in questo, pur usando un armamentario da trito cliché (fatto di pelliccia, calze a rete e rossetto) è indubitabilmente perfetta, a partire dalla sua voce (il riferimento al recente Her è fin troppo scontato: cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 49). Gran parte dell’atmosfera onirica e inquietante del film infatti la si deve allo score che agisce in continua sovrapposizione tra il cosiddetto reale nelle scene girate a Glasgow e gli ambienti di finzione, a metà tra horror e fantascienza, con stilemi da postmoderno e retro magari ingenuo, à la Angelo Badalamenti (non a caso il compositore preferito di Lynch), che Mica Levi addomestica con assoluta consapevolezza, nonostante i suoi 26 anni. Ottenendo un risultato davvero notevole.

La macchina da presa segue la diva nel suo peregrinare: senza che noi si sappia esattamente come, l’aliena fa salire sul suo van una serie di uomini per condurli in un ambiente onirico dove rapidissimamente si passa da premesse smaccatamente sessuali a un’alquanto rapida privazione dell'essenza vitale dei malcapitati. Ancora sul lato del cosiddetto reale, Glazer fa lavorare la sua attrice con persone qualunque, non del mestiere, spesso inconsapevoli all’inizio di far parte di un film, con effetti prodigiosi in quanto a realismo, a partire dall’uso di una lingua dall’accento difficile da digerire, come è di fatto quello scozzese. Assistiamo così a un ciclo di incontri che configurano il personaggio di Scarlett come un incrocio oscillante tra una femme fatale e l’ennesima re-incarnazione di un vampiro.

Ecco che però avviene l’inaspettato. In uno dei rari dialoghi del film, l'aliena sta seducendo un ragazzo dalla faccia visibilmente deformata da neurofibromatosi (un ragazzo realmente affetto da questa terribile malattia). Per chiunque, al di là del facile politically correct, un vero e proprio freak. Il ragazzo dichiara di non essere mai stato con una donna e di non avere nessuna esperienza in tal senso. Non abbiamo motivi particolari che ci inducano a capire perché, fatto si è che Johansson ha un improvviso scatto di empatia, indotta da quel viso non regolare, così come fuori dagli schemi erano state le parole che i due si erano scambiati. L'aliena si scopre qualcosa dentro, una volontà di conoscenza dell’altro dovuta chissà a cosa, a curiosità, magari, o a un genuino improvviso desiderio di integrazione con l'altra razza, la nostra. Finora invece il mondo rappresentato nel film sembrava essere visto e udito da occhi e orecchie completamente altri.

In questo senso, si segnala una sequenza emblematica. Johansson, attraversando di fretta e furia una città scozzese all’ora di punta, scivola e cade. Si rialza, e va per la sua strada. L'inquadratura è filmata da una seconda e poi da una terza altezza. Mostra una serie di passanti anonimi che attraversano inconsapevoli il piano di ripresa della camera. L’effetto che ne deriva è una sorta di incertezza su quello che potrebbe accadere da quel momento in poi nel film. E nella vita di questo misterioso alieno.

Under the Skin ci dice qualcosa di familiare e allo stesso tempo di perturbante (eccolo ancora il “non-più-domestico”), ribaltando la prospettiva: non siamo ancora pronti ad incontrare l’Altro. Per quanto in questa difficoltà costitutiva probabilmente risieda la nostra essenza di esseri umani. In questo senso il film di Glazer dimostra anche una natura profondamente dickiana. Philip K. Dick amava infatti ripetere come una delle due domande chiave della sua interrogazione del mondo vertesse su “cosa sia umano” (l’altra questione riguardava “cosa sia reale”).

Cosa c'è di profondamente vero dentro di noi? Che cosa ci rende umani? Cosa ci differenzia da altre forme di vita? Cosa c'è davvero sotto la nostra pelle? Solo sangue, ossa, nervi, tendini e muscoli? La risposta di Glazer è precisa: è l'empatia a renderci umani, al di là di appartenenze di specie. È umana l'aliena Johansson nel momento in cui riconosce il malato come un suo pari, ovvero un diverso. Non è certo umano il guardiacaccia che la trova nei boschi alla fine del film e che tenta di violentarla. Quando questi scopre che la donna è qualcosa di diverso, le dà letteralmente fuoco. Non esattamente la stessa reazione che l'alieno ha avuto prima. Sotto la pelle può esserci allora qualsiasi cosa: sta a noi decidere cosa, per essere davvero un qualcuno.

 


 

LETTURE

Luca Bandirali, Enrico Terrone, Nell'occhio, nel cielo. Teoria e storia del cinema di fantascienza, Lindau, Torino, 2009.
Philip K. Dick, Mutazioni. Scritti inediti, filosofici, autobiografici e letterari, Feltrinelli, Milano, 1997.
Jack Finney, L’invasione degli ultracorpi, Marcos y Marcos, Milano, 2005.
Scott A. Lukas, John Marmysz, a cura, Fear, cultural anxiety, and transformation: horror, science fiction, and fantasy films remade,
  “Lexington Books, Lanham (Md), 2009.