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Ho rimodellato Eymerich, partendo dai lati più negativi della mia personalità, rendendoli in qualche modo puri. Questa è stata l’operazione che ho compiuto e che mi ha portato a legarmi particolarmente a questo personaggio, ma anche credo a farlo sentire vero dai lettori: da un lato sgradevole e feroce, e dall’altro terribilmente affascinante, perché un idealista. Il suo personaggio, può essere definito un eroe seriale? Non so se sia giusto definire Eymerich seriale. Se nella struttura tipica dei telefilm, ci si ritrovava di fronte ad una situazione di verifica alla fine dell’episodio, nei romanzi di Eymerich, nell’ordine in cui sono stati scritti da me, si nota che il personaggio non è sempre identico a se stesso. Nei primi tre romanzi, il personaggio è più coerente, ma l’Inquisitore de Il Castello di Eymerich e di Mater Terribilis, non è esattamente quello dei primi tre romanzi. C’è un evoluzione, un progressivo turbamento, che rende il personaggio addirittura più umano. Ne Il Corpo e sangue di Eymerich, l’Inquisitore dimostra sicuramente più sensibilità, il che però non gli impedisce di compiere un massacro. Qual è per lei il romanzo più significativo del ciclo di Eymerich? Picatrix, la scala per l’inferno è stato tra i romanzi forse meno noti del ciclo, ma credo tra i più significativi, perché racconta di un cambiamento vissuto da Eymerich. In quel romanzo, ad un certo punto, l’Inquisitore si trova praticamente solo. Il significato di quella scena è lo smarrimento dell’Io, la parte più profonda del personaggio. Una situazione che lo porta ad essere un uomo disperato e, quindi, consapevole di essere condannato ad una eterna solitudine. Nei romanzi di Eymerich si nota anche la sua passione per l’esoterismo.. Assolutamente. Quando io cito un romanzo di magia, non è un caso, ma significa che io posseggo ed ho studiato quel libro. Attenzione, però, io parlo di esoterismo e non di occultismo, che sono due cose completamente diverse. Io parlo di una filosofia che tento di esporre in chiave cifrata nei miei romanzi. Mater Terribilis potrebbe essere considerato, in qualche modo, un percorso iniziatici. Credo in questo tipo di cultura, nella sua modernità e nel aver tessuto un rapporto con l’evoluzione del pensiero scientifico. Lei è uno degli autori più tradotti, ha vinto molti premi, soprattutto all’estero, si sente di aver aperto nuove strade, anche agli altri autori italiani di fantascienza? Credo oggettivamente di aver svolto questo ruolo. Ho utilizzato le posizioni che acquisivo all’estero per far conoscere anche altri autori italiani. Penso all’antologia di racconti italiani apparsa in Francia, la prima dopo molti anni, o ai romanzi di altri di cui ho promosso la pubblicazione. È curiosa la reazione, molte delle quali negative, che è seguita a queste operazioni editoriali: mi si accusava di scegliere e di promuovere romanzi solo di miei amici, di trascurare questo o quell’autore. Come se io avessi il potere di far pubblicare qualcosa come venti o trenta romanzi. Per un lungo periodo, in Francia, la fantascienza italiana ha, comunque, acquisito una posizione di rilievo, dando vita anche a saggi e riflessioni critiche. Però è importante che siano gli stessi autori italiani ad approfittare di queste opportunità, promovendosi a loro volta su altri mercati esteri.
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