Star Trek, lassù qualcuno ci racconta
di
Lamberto Pastore

 



L’equipaggio multirazziale e l’esistenza di una Federazione dei Pianeti Uniti, che impone ai suoi affiliati la regola della Prima Direttiva (“mai interferire con le culture inferiori”), si rivelano abili espedienti per tratteggiare un’Utopia irraggiungibile e l’esigenza di fornire risposte certe alla continua ricerca di una precisa identità da parte del popolo americano.

Sistemato “altrove” (al cinema) il vecchio equipaggio e la loro nave gloriosa, Star Trek: The Next Generation (1987-1994) solca la stessa filosofia della serie classica, ma si rifà il look considerato l’arco di tempo intercorso.

Una nuova Enterprise solca gli spazi siderali. L’astronave ospita non solo l’equipaggio, ma anche le relative famiglie (bambini compresi). L’obiettivo delle missioni resta sempre quello: esplorare nuove civiltà e incontrare nuove forme di vita fino a spingersi là dove nessun uomo è mai giunto. Al comando della nave spaziale c’è il Capitano Jean–Luc Picard (Patrick Stewart) ispirato al noto esploratore Jacques Cousteau, cui si affianca il Comandante William Riker (Jonathan Frakes). Gli altri membri dell’equipaggio sono: il Tenente androide Data (Brent Spiner), l’Ufficiale klingon Worf (Michael Dorn); il Tenente Tasha Yar (Denise Crosby); il Consigliere Deanna Troi (Marina Sirtis); il Timoniere Geordi La Forge (LeVar Burton); la Dottoressa Beverly Crusher (Gates McFadden) e suo figlio Wesley (Wil Wheaton).

Tra gli spin–off della serie classica questa è quella che forse mantiene più affinità con l’Universo creato da Roddenberry. Gli effetti speciali sono post–Star Wars, ma le storie contengono ancora quel misto di avventura e filosofia, azione e contenuti sociali. I problemi che attanagliano gli americani negli anni 90 si chiamano terrorismo, ecologia, sette religiose e, per restare all’altezza dei tempi, i Klingon — da sempre paragonati ai nemici Sovietici — sono ora alleati della Federazione dei Pianeti Uniti.

La terza serie di Star Trek vede i protagonisti non più su un’astronave, a zonzo per l’universo, ma su “Deep Space Nine”, una base spaziale ai confini della galassia, in orbita intorno al pineta Bajor che da poco è stato liberato dai Cardassiani (i cattivi di turno). La Federazione invia un drappello di uomini che insieme ai bajoriani ha il compito di riattivare la stazione spaziale e vigilare lo spazio circostante. Ma le minacce sono tante anche a causa della scoperta di un tunnel che permette di raggiungere l’altra estremità della galassia in poco tempo. Al comando di “Deep Space Nine” e del suo variegato equipaggio c’è l’afroamericano Benjamin Sisko (interpretato da Avery Brooks). Lo affiancano il primo ufficiale Kyra Nerys (Nana Visitor), il dottor Julian Bashir (Siddig El Fadil), il capo della sicurezza Odo (Renè Auberjonois), il tenente Jazdia Dax (Terry Farrell), il barista/mercante Quark (Armin Shimerman) ed il quattordicenne Jake Sisko (Cirroc Lofton), figlio del comandante.

Prodotta da Rick Berman — già subentrato a Roddenberry nella realizzazione di The Next Generation — e Michael Pillar, la terza serie ispirata a Star Trek è ben realizzata, ma l’eliminazione del “viaggio” rende gli episodi privi di quel mordente che la serie classica e TNG ci avevano abituati: un fattore che spesso ricade proprio sul ritmo delle storie.

 

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