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La più recente delle curiosità in merito a questo fenomeno
è che va molto di moda inserire sui vlog i filmati delle proprie vacanze. Si
tratta di un fatto non certamente nuovo: fin dall’apparire delle prime
telecamere, ed ancora prima delle cineprese con pellicola super8, ognuno poteva
riprendere le proprie vacanze e i momenti più belli della propria vita. Ma
poteva sembrare, in qualche modo fantascientifico, che tali momenti personali e
privati finissero per essere condivisi con sconosciuti e liberamente fatti
circolare su un mercato globale, grazie alla rete. Il nuovo millennio, dunque, ci ha consegnato una
tecnologia che permette ad ognuno di (ri)creare un proprio immaginario
personale che, potrebbe prendere il posto dell’immaginario collettivo
faticosamente costruito dalla parola scritta dei romanzi, dalle vignette del
fumetto, dalla pellicola dei film, dalle immagini a 25 fotogrammi della TV. Del resto, i moderni telefoni cellulari ormai hanno la possibilità sia di effettuare fotografie sia video. Quello che una volta era un gadget fantascientifico dell’agente segreto James Bond – una macchina fotografica nascosta nell’astuccio di un apparente portasigarette – è ormai un accessorio ad appannaggio di tutti. E poi, basta puntare e schiacciare. Sorvegliati, spiati o protagonisti di Truman Show? Questo proliferare d’immagini pone, ovviamente, enormi questioni in tema di privacy, di libertà individuali. Per un verso il diffondersi delle tecnologie legate alla sorveglianza e al controllo ha raggiunto un sviluppo inimmaginabile solo qualche anno fa; dall’altro verso, l’uso di tale tecnologia ha modificato sempre più lo stesso concetto di sorveglianza e di privacy. Molti studiosi avvertono i pericoli di tale fenomeni. Scrive, ad esempio Stefano Rodotà: “Bisogna, quindi, definire le condizioni necessarie per evitare che la società della sorveglianza si risolva nel controllo autoritario, nella discriminazione, in vecchie e nuove stratificazioni sociali produttive di esclusione, nel dominio pieno di una logica di mercato che cerca una ulteriore legittimazione proprio nella tecnologia. Questo esige processi sociali, soluzioni istituzionali capaci di tener fermo il quadro della democrazia e dei diritti di libertà. È vano confidare nella sola autodifesa dei singoli: le speranze non possono essere affidate alle «strategie da bracconiere» che ciascuno di noi può cercar di praticare. L'impresa può apparire disperata. Non i catastrofisti, non gli apocalittici avversari delle tecnologie, ma i loro convinti apologeti hanno certificato, ben prima della svolta dell'11 settembre, la morte della privacy e, con essa, l'avvento di una società della sorveglianza in cui scompare la speranza del rispetto delle libertà e della dignità della persona”[5]. La videosorveglianza nei luoghi pubblici – dalle banche alle fermate della metropolitana, dagli uffici postali ai supermercati, fino agli alberghi -, il rilevamento della traccia elettronica lasciata dall’utilizzo di bancomat e carte di credito, fidelity card delle insegne distributive e dell’iscrizione a quel sito Internet per ottenere determinate informazioni sono vere e proprie forme di controllo che producono una gran massa di dati che finiscono in altrettante banche dati. Se una volta, però, tali dati erano rilevabili e usati solo da forze di polizia e organismi similari, oggi sono i signori del marketing a tracciare - con queste informazioni e le nuove tecnologie della comunicazione - il profilo di ciascun cittadino, o meglio di ciascun consumatore. Ognuno di noi, insomma, è intrappolato in una rete tecnologica che traccia il nostro profilo di consumatore e si diventa così facili bersagli per manipolazioni e pressioni di vario genere. E a questo fenomeno che fa riferimento David Lyon, il quale sottolinea con forza che tutto ciò non può che generare anche un profondo problema di democrazia[6]. [5] Stefano Rodotà, Tecnopolitica, Editori Laterza, Bari 2004 [6]
David Lyon, La società sorvegliata. Tecnologie di
controllo della vita quotidiana, op. cit.
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