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Se per realtà virtuale
s’intende quella branca dell'informatica tesa a costruire una macchina che
simuli stimoli sensoriali, visivi e sonori, in modo da dare all'utente la
sensazione di essere realmente in uno spazio differente da quello fisico in cui
si trova, allora anche qui, lo scrittore americano ha anticipato la realtà. Se
è vero che i primi studi sulla realtà virtuale risalgono alla metà degli anni
’70, è solo negli anni ’90 che questo nuovo tipo di tecnologia ha trovato
applicazioni anche pratiche, dalla medicina all’industria dei videogiochi. Per la prima volta nella storia della letteratura il
rapporto con la macchina non è visto in un’accezione negativa, ineluttabile,
da evitare. Il cyberpunk delinea una nuova relazione con la tecnologia, che
permette, difatti, la dilatazione delle capacità sensoriali dell'uomo e
finalmente il superamento dei suoi limiti. L’elemento che differenzia la virtual reality da
una rappresentazione, ad esempio un film proiettato su uno schermo
cinematografico o un quadro, è il coinvolgimento diretto del corpo e
dell’azione del soggetto dell’esperienza. Quando entriamo in un mondo
virtuale, siamo presenti in esso con il nostro corpo e le nostre azioni:
possiamo muoverci, spostare lo sguardo, interagire ed esplorare il mondo
virtuale nel quale ci ritroviamo completamente immersi, implicati. La sensazione
di immersione nel mondo virtuale è prodotta dal coinvolgimento multisensoriale
e totale, e dall’inclusione del nostro punto di vista all’interno dello
spazio generato dal computer. Gibson dischiudeva così la
strada a un nutrito gruppo di scrittori, che il critico americano Gardner Dozois
battezzò cyberpunk. Bruce Sterling, Rudy Rucker, Lewis Shiner, John Shirley,
Pat Cardigan, Tom Maddox, Marc Laidlaw, James Patrick Kelly, Greg Bear e Paul Di
Filippo per la verità preferivano definirsi Mirrorshades Movement, e
proprio Mirrorshades, ossia Occhiali a specchio, era il titolo
dell’antologia del 1986 che in qualche modo gettava le fondamenta del
movimento e di fatto ne diventava anche il manifesto. L’insieme di racconti, curati
da Bruce Sterling, considerato a sua volta l’ideologo del movimento
letterario, costituiscono una vera e propria enciclopedia del cyberpunk. Tutti
questi autori condividono gli incubi metropolitani di un futuro non troppo
lontano amalgamati con le nuove tecnologie informatiche e la cultura pop. L’antologia si apre proprio con
un racconto di William Gibson, Il Continuum di Gernsback, pubblicato per
la prima volta nel 1981, un omaggio indiretto alla fantascienza, genere
letterario a cui gli autori dei racconti sentono in qualche modo di appartenere,
e al suo progenitore, Hugo Gernsback che creò la prima rivista e il genere
letterario. Ma non è certo alla science fiction classica che gli autori
posano il loro sguardo, quella per intenderci dell’esplorazione spaziale.
Sterling, nell’introduzione alla raccolta, è molto chiaro sugli scrittori che
hanno influenzato maggiormente il loro lavoro: “I cyberpunk coltivano una
predilezione particolare per la fantascienza più visionaria: l’inventività
spumeggiante di Philip José Farmer; il brio di John Varley; i giochi sulla
realtà di Philip K. Dick; l’aereo e pimpante beatnik tecnologico di Alfred
Bester. E un omaggio speciale a un autore che è stato capace più di ogni altro
di integrare tecnologia e letteratura: Thomas Pynchon”. A questi autori
bisogna aggiungere almeno James Graham Ballard, Samuel Delany e William S.
Burroughs, esponente di spicco della Beat generation.
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