William Gibson e il libro dei profeti virtuali: Mirrorshades
di Carmine Treanni

 

 

Se per realtà virtuale s’intende quella branca dell'informatica tesa a costruire una macchina che simuli stimoli sensoriali, visivi e sonori, in modo da dare all'utente la sensazione di essere realmente in uno spazio differente da quello fisico in cui si trova, allora anche qui, lo scrittore americano ha anticipato la realtà. Se è vero che i primi studi sulla realtà virtuale risalgono alla metà degli anni ’70, è solo negli anni ’90 che questo nuovo tipo di tecnologia ha trovato applicazioni anche pratiche, dalla medicina all’industria dei videogiochi.

Per la prima volta nella storia della letteratura il rapporto con la macchina non è visto in un’accezione negativa, ineluttabile, da evitare. Il cyberpunk delinea una nuova relazione con la tecnologia, che permette, difatti, la dilatazione delle capacità sensoriali dell'uomo e finalmente il superamento dei suoi limiti.

L’elemento che differenzia la virtual reality da una rappresentazione, ad esempio un film proiettato su uno schermo cinematografico o un quadro, è il coinvolgimento diretto del corpo e dell’azione del soggetto dell’esperienza. Quando entriamo in un mondo virtuale, siamo presenti in esso con il nostro corpo e le nostre azioni: possiamo muoverci, spostare lo sguardo, interagire ed esplorare il mondo virtuale nel quale ci ritroviamo completamente immersi, implicati. La sensazione di immersione nel mondo virtuale è prodotta dal coinvolgimento multisensoriale e totale, e dall’inclusione del nostro punto di vista all’interno dello spazio generato dal computer.

Gibson dischiudeva così la strada a un nutrito gruppo di scrittori, che il critico americano Gardner Dozois battezzò cyberpunk. Bruce Sterling, Rudy Rucker, Lewis Shiner, John Shirley, Pat Cardigan, Tom Maddox, Marc Laidlaw, James Patrick Kelly, Greg Bear e Paul Di Filippo per la verità preferivano definirsi Mirrorshades Movement, e proprio Mirrorshades, ossia Occhiali a specchio, era il titolo dell’antologia del 1986 che in qualche modo gettava le fondamenta del movimento e di fatto ne diventava anche il manifesto.

L’insieme di racconti, curati da Bruce Sterling, considerato a sua volta l’ideologo del movimento letterario, costituiscono una vera e propria enciclopedia del cyberpunk. Tutti questi autori condividono gli incubi metropolitani di un futuro non troppo lontano amalgamati con le nuove tecnologie informatiche e la cultura pop.

L’antologia si apre proprio con un racconto di William Gibson, Il Continuum di Gernsback, pubblicato per la prima volta nel 1981, un omaggio indiretto alla fantascienza, genere letterario a cui gli autori dei racconti sentono in qualche modo di appartenere, e al suo progenitore, Hugo Gernsback che creò la prima rivista e il genere letterario. Ma non è certo alla science fiction classica che gli autori posano il loro sguardo, quella per intenderci dell’esplorazione spaziale. Sterling, nell’introduzione alla raccolta, è molto chiaro sugli scrittori che hanno influenzato maggiormente il loro lavoro: “I cyberpunk coltivano una predilezione particolare per la fantascienza più visionaria: l’inventività spumeggiante di Philip José Farmer; il brio di John Varley; i giochi sulla realtà di Philip K. Dick; l’aereo e pimpante beatnik tecnologico di Alfred Bester. E un omaggio speciale a un autore che è stato capace più di ogni altro di integrare tecnologia e letteratura: Thomas Pynchon”. A questi autori bisogna aggiungere almeno James Graham Ballard, Samuel Delany e William S. Burroughs, esponente di spicco della Beat generation.


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