Ai Confini della Realtà c'è il cult | |
di Giuseppe Cozzolino | |
Luogo:
Italia, una qualunque grande città della penisola. Il
fondale è visibilmente posticcio, ma mette comunque i brividi osservare quella
volta di tenebre decorata di stelle. L’uomo che si presenta ai vostro occhi
veste in modo impeccabile (anche se con quel giacca/cravatta scuri si potrebbe
pensare che è appena tornato da un funerale), ma i gesti ed il modo di parlare
ne fanno “uno straniero in terra straniera”. Completamente alieno al mondo e
a qualunque persona abbiate mai incontrato prima. Nelle
vostre orecchie la sua voce si apre rapidamente la strada fino al cervello,
tranquilla e minacciosa all’insieme. “C’è
una quinta dimensione oltre a quella che l’uomo già conosce, è senza limiti
come l’infinito e senza tempo come l’eternità. È la regione intermedia tra
la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro
baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere. È la regione
dell’immaginazione, una regione che si trova… AI CONFINI DELLA REALTÀ!” La
voce lascia il posto ad un motivetto insignificante ma ossessivo, che non
scorderemo mai più. Poi sarà la volta della storia vera e propria, la prima di
innumerevoli fiabe stregate che per diversi anni a venire popoleranno i nostri
“incubi migliori”: robot dalle sembianze femminili che accudiscono umani
imprigionati nello spazio, ipocondriaci che stipulano bizzarri patti col
Demonio, individui che ritornano nei luoghi (e nel tempo) della propria infanzia
e via fantasticando… Prima di Millennium e di X-Files, prima di Twin Peaks e di qualunque altra cosa, c’era lei: Twlight Zone, la Zona del Crepuscolo. Non è possibile immaginare cosa avrebbero fatto registi come Steven Spielberg o George Lucas, scrittori come Stephen King e nemmeno “creativi” alla Chris Carter, senza la magia ispiratrice di questo classico tra i classici. Dal 1959 al 1964 le frequenze della Columbia Broadcasting System ospitarono il palcoscenico dello show più eccentrico ed avvincente della storia della televisione americana. Il suo artefice, l’uomo vestito in maniera elegante e funerea, si chiamava Rod Serling. Twlight… fu anche il prototipo su cui costruire tante successive serie “antologiche” (prive cioè di protagonisti ed ambientazioni fisse) e per quei cosiddetti omnibus-movie (gli horror a episodi della Amicus, ad esempio) che stazionarono a lungo in tutta la produzione fantastica degli anni 60-70. Uno show che, al di là dei pur interessanti effetti speciali, si affidava a solidi scrittori per solide storie. Tre i “deus ex machina” più noti: lo stesso Rod Serling, Richard Matheson e Charles Beaumont.
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