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SCRITTURE DI SOGNI: KEPLER’S TRAUM*
di Paolo Rosa

kepleroL'uomo contemporaneo crede

a ciò che legge nei giornali, 

ma non a ciò che è scritto negli astri 

Ernst Junger


Ogni giorno attraverso i Meteosat, i rilevatori geostazionari, i satelliti militari, buona parte cioè delle migliaia di oggetti di piccole e grandi dimensioni che ruotano intorno alla Terra, osserviamo, controlliamo, analizziamo la superficie del nostro pianeta ed esploriamo il vuoto dell'universo. C'è una vera e propria popolazione di mostriciattoli vedenti che vive sopra le nostre teste e trasmette segnali. Quando questi dati arrivano sugli schermi e formano le immagini digitalizzate della Terra, quasi pittorici "paesaggi", ci sembra di poter dominare la forma e il senso delle cose. Questa gigantesca e plurima telecamera sembra consentirci il controllo del pianeta. Ma allo stesso tempo, questo nuovo e palpitante mappamondo ci risveglia un'inquietudine legata alla nostra microscopica presenza, alla finitezza della nostra unica casa, la Terra, e alla artificializzazione che su di essa abbiamo operato. Questa visione mobile e dai colori sintetici rappresenta adeguatamente I'avvenuto dominio sui confini di un mondo materiale in cui, peraltro, dobbiamo ancora imparare a vivere e convivere tra le mille differenze; ma questa stessa immagine definisce anche un territorio immateriale che nel contempo abbiamo generato, fatto di reti, di connessioni, di artificialità che ancora dobbiamo conoscere ed esperire. 
Queste riflessioni, che erano certamente eredità delle esperienze fatte nel ciclo Osservazioni sulla natura, si aggregano in modo spontaneo e in forma nuova intorno ad una proposta suggestiva. L'edizione 1990 del Festival Ars Electronica di Linz era interamente dedicata alla figura di Keplero. I promotori ci chiesero di elaborare, insieme al compositore Giorgio Battistelli, un'opera di teatro musicale ispirata a questo tema. A disposizione avevamo la possibilità di collaborare con un'orchestra e dei cantanti e di mettere in scena il tutto nello spazio di un attrezzato auditorium. Il testo di riferimento scelto era assai particolare e simile a un episodio di fantascienza ante litteram: Somnium, del 1609.
Questo testo nasce da una breve dissertazione che Keplero aveva scritto nel 1593 per poter accedere all'Università di Tubinga. La tesi non fu nemmeno discussa perché ritenuta di impostazione fortemente copernicana, visione contraria a quella accademica e ufficiale dell'Università. Solo qualche anno più tardi I'astronomo riprese a lavorare al suo scritto arricchendolo di particolari e definendolo nella sua forma finale che prende il nome di Somnium, ovvero opera postuma sulla geografia lunare. Lo scienziato, nel breve racconto e in una forma apparentemente fantastica - "Accadde che una certa notte, mentre, a letto, dormivo sodo, dopo aver osservato le stelle e la Luna, nel sonno mi parve di leggere attentamente un libro recato dalle fate, il cui senso era questo [...]"- immagina di osservare la Terra dalla Luna. 
Non ci poteva sfuggire questa corrispondenza.
Per Keplero, questo ribaltamento immaginifico non era solo un artificio per caratterizzare I'aspetto narrativo dello scritto, ma soprattutto fu una necessità per mascherare il senso delle sue osservazioni, che di certo contrastavano con la visione ufficiale dell'universo di quell'epoca. Egli struttura infatti un racconto fantastico, con qualche risvolto autobiografico, frutto apparente di un delirio onirico e perciò inattendibile. Ma per svelare la sua visione, l'autore crea una rete di annotazioni, la cui lunghezza complessiva supera più di tre volte quella del racconto. In queste 223 note egli sviluppa il suo modello copernicano, chiarisce i riferimenti ed estende le sue considerazioni. Il testo sembra funzionare così come una sequenza di parole chiave, allusive,  utilizzate più che per articolare una vicenda, per rimandare a dei concetti. Un insieme di parole magiche che costituiscono una formula e che aprono a dei significati nuovissimi.
Non ci poteva sfuggire, dicevamo, questa corrispondenza tra I'immaginazione di Keplero e gli occhi dei mostriciattoli vedenti nel descrivere "la Terra vista dalla Luna" (un pensiero vola anche verso Pasolini). Non potevamo prescindere dal fatto che oggi quello sguardo rovesciato è diventato praticabile non solo con I'immaginazione. L'attuale tecnologia ha reso I'immagine della Terra parte del nostro quotidiano. I satelliti sono diventati le nostre protesi oculari, il punto di vista estremo su cui rimbalza il nostro autoritratto collettivo in ogni momento. Nel progettare Kepler's Traum non potevamo quindi non essere tentati dal prolungare il racconto delle immagini sino alla nostra contemporaneità, anzi sino all'istante stesso che lo spettacolo sarebbe andato in scena. 
L'immagine in diretta della Terra, trasmessa in collegamento Meteosat, durante lo svolgimento dello spettacolo diviene, di fatto, il momento centrale, il cuore della messa in scena dell'opera. Sulla scena ruotano su due differenti orbite due videoproiettori che imprimono le loro informazioni, i loro frammenti di racconto su un grande e semicircolare schermo che avvolge gran parte del palcoscenico. Uno schermo che si svolge come quel grande lenzuolo nel quale si trova avviluppato Keplero, tornando alla realtà, alla fine del suo sogno. Tra questi elementi giostrano le presenze  dei cantanti interpreti e dell'orchestra stessa, che non è collocata,  secondo tradizione, a margine dello spettacolo ma entra nello stesso grazie alla dislocazione delle diverse sezioni sul palcoscenico. Un attore, travestito da orchestrale, con quel tocco di ironia che si addice ad un demone, manovra e illustra questo "planetario" svelandoci una sua "maschera" dell'universo.
Lo spettacolo è diviso in sei quadri:

Introduzione: "Accadde che una certa notte, [...] dopo aver osservato le stelle e la Luna [...]" è un'apertura orchestrale sull'osservazione delle stelle prima del sogno. 

Formule magiche: all'inizio del sogno appaiono su due schermi sincronizzati le immagini di Castel del Monte, una costruzione ottagonale misteriosa e ricca di implicazioni astronomiche e geometriche, che raccontano, commentate dai due cantanti la parte più autobiografica del Somnium. Attraverso alcune formule magiche, Fiolxhilde e Duracoto invocano il demone. 

Verso la Luna: il demone, apparso, illustra le immagini di Levhana (la Luna) e le difficoltà del viaggio che dovranno affrontare per poterla raggiungere. Poi, con I'aiuto di un radar, accompagna Fiolxilde e Duracoto. 

Lo sguardo: il demone ci descrive le caratteristiche di Levhana senza tralasciare riferimenti precisi all'osservazione della Terra, soprattutto attraverso il contrasto tra le immagini della sua iconografia digitale e quelle più naturali.

II satellite: il duetto "Girate e girate"; appaiono in diretta le immagini della Terra viste dal satellite Meteosat. 

Il ritorno: mentre il demone continua a narrare lo strano mondo osservato e gli strani esseri che lo abitano, si prepara il viaggio di ritorno. Intanto il computer trasmette nuove immagini sempre più irriconoscibili sino a che "[...] il vento, levatosi con il rumore della pioggia, mi interruppe il sonno [...] e tornando in me, mi ritrovai con il capo avviluppato dal cuscino e il corpo dalle coperte".

Nella musica, nelle immagini, nel testo abbiamo cercato un rapporto di convivenza tra I'aspetto realistico e quello magico, in uno spirito che del resto non era estraneo all'esperienza di Keplero. 
Il più formidabile investigatore del cielo di tutti i tempi era al pari un astrologo molto quotato e per di più era cresciuto al fianco di una madre processata per stregoneria, che egli stesso difese. Come quasi tutti gli scienziati delle origini anch'egli ha tenuto i piedi in due staffe intrecciando il sapere più logico e apparentemente realistico con quello alchemico. 
Questo rapporto di convivenza tra i due aspetti, cosi combattuto da tutta la cultura positivista, ora ci pare riemergere, certo non più nelle forme antiche, ma intrecciato a quella che dovrebbe essere la summa dell'evoluzione del pensiero razionale, quel mondo tecnologico, cioè, che si espande dalle dimensioni iperreali dei video a quelle simulate dei computer, dalle lontananze degli explorer alle visitazioni delle particelle subatomiche; tutto quel mondo virtuale che non cogliamo più coi nostri sensi fisici,come già ci suggeriva la fisica "visionaria", ma che ormai pare evidente esistere. C'è qualcosa di magico in questi strumenti, soprattutto c'è qualcosa di magico nel modo in cui ci rapportiamo ad essi. Ma al di sotto della superficie di questa nuova cosmologia si evidenziano misteri altrettanto inquietanti di quelli che si riscontrano negli universi magici e mitici. 

 


 * Testo parzialmente ripreso da Studio Azzurro: percorsi tra video cinema e teatro, (a cura di) Valentina Valentini, Electa, Milano, 1995.


:: visioni ::

Studio Azzurro: Tracce, sguardi e altri pensieri, libro+2 Dvd, a cura di Bruno Di Marino, Feltrinelli, Milano, 2007.