L'uomo
contemporaneo crede
a ciò che legge nei
giornali,
ma non a ciò che
è scritto negli astri Ernst
Junger
Ogni giorno attraverso i
Meteosat, i rilevatori geostazionari, i
satelliti militari, buona parte cioè delle migliaia di
oggetti di
piccole e grandi dimensioni che ruotano intorno alla Terra, osserviamo,
controlliamo, analizziamo la superficie del nostro pianeta ed
esploriamo il vuoto dell'universo. C'è una vera e propria
popolazione
di mostriciattoli vedenti che vive sopra le nostre teste e trasmette
segnali. Quando questi dati arrivano sugli schermi e formano le
immagini digitalizzate della Terra, quasi pittorici "paesaggi", ci
sembra di poter dominare la forma e il senso delle cose. Questa
gigantesca e plurima telecamera sembra consentirci il controllo del
pianeta. Ma allo stesso tempo, questo nuovo e palpitante mappamondo ci
risveglia un'inquietudine legata alla nostra microscopica presenza,
alla finitezza della nostra unica casa, la Terra, e alla
artificializzazione che su di essa abbiamo operato. Questa visione
mobile e dai colori sintetici rappresenta adeguatamente I'avvenuto
dominio sui confini di un mondo materiale in cui, peraltro, dobbiamo
ancora imparare a vivere e convivere tra le mille differenze; ma questa
stessa immagine definisce anche un territorio immateriale che nel
contempo abbiamo generato, fatto di reti, di connessioni, di
artificialità che ancora dobbiamo conoscere ed
esperire. Queste
riflessioni, che erano certamente eredità delle esperienze
fatte nel
ciclo Osservazioni sulla natura, si aggregano in modo spontaneo e in
forma nuova intorno ad una proposta suggestiva. L'edizione 1990 del Festival
Ars Electronica
di Linz era interamente dedicata alla figura di Keplero. I promotori ci
chiesero di elaborare, insieme al compositore Giorgio Battistelli,
un'opera di teatro musicale ispirata a questo tema. A disposizione
avevamo la possibilità di collaborare con un'orchestra e dei
cantanti e
di mettere in scena il tutto nello spazio di un attrezzato auditorium.
Il testo di riferimento scelto era assai particolare e simile a un
episodio di fantascienza ante litteram: Somnium,
del 1609. Questo
testo nasce da una breve dissertazione che Keplero aveva scritto nel
1593 per poter accedere all'Università di Tubinga. La tesi
non fu
nemmeno discussa perché ritenuta di impostazione fortemente
copernicana, visione contraria a quella accademica e ufficiale
dell'Università. Solo qualche anno più tardi
I'astronomo riprese a
lavorare al suo scritto arricchendolo di particolari e definendolo
nella sua forma finale che prende il nome di Somnium,
ovvero
opera postuma sulla geografia lunare. Lo scienziato, nel breve racconto
e in una forma apparentemente fantastica - "Accadde che una certa
notte, mentre, a letto, dormivo sodo, dopo aver osservato le stelle e
la Luna, nel sonno mi parve di leggere attentamente un libro recato
dalle fate, il cui senso era questo [...]"- immagina di osservare la
Terra dalla Luna. Non ci poteva sfuggire questa
corrispondenza. Per
Keplero, questo ribaltamento immaginifico non era solo un artificio per
caratterizzare I'aspetto narrativo dello scritto, ma soprattutto fu una
necessità per mascherare il senso delle sue osservazioni,
che di certo
contrastavano con la visione ufficiale dell'universo di quell'epoca.
Egli struttura infatti un racconto fantastico, con qualche risvolto
autobiografico, frutto apparente di un delirio onirico e
perciò
inattendibile. Ma per svelare la sua visione, l'autore crea una rete di
annotazioni, la cui lunghezza complessiva supera più di tre
volte
quella del racconto. In queste 223 note egli sviluppa il suo modello
copernicano, chiarisce i riferimenti ed estende le sue considerazioni.
Il testo sembra funzionare così come una sequenza di parole
chiave,
allusive, utilizzate più che per articolare una
vicenda, per rimandare
a dei concetti. Un insieme di parole magiche che costituiscono una
formula e che aprono a dei significati nuovissimi. Non ci
poteva
sfuggire, dicevamo, questa corrispondenza tra I'immaginazione di
Keplero e gli occhi dei mostriciattoli vedenti nel descrivere "la Terra
vista dalla Luna" (un pensiero vola anche verso Pasolini). Non potevamo
prescindere dal fatto che oggi quello sguardo rovesciato è
diventato
praticabile non solo con I'immaginazione. L'attuale tecnologia ha reso
I'immagine della Terra parte del nostro quotidiano. I satelliti sono
diventati le nostre protesi oculari, il punto di vista estremo su cui
rimbalza il nostro autoritratto collettivo in ogni momento. Nel
progettare Kepler's Traum non potevamo quindi non essere tentati dal
prolungare il racconto delle immagini sino alla nostra
contemporaneità,
anzi sino all'istante stesso che lo spettacolo sarebbe andato in
scena. L'immagine
in diretta della Terra, trasmessa in collegamento Meteosat, durante lo
svolgimento dello spettacolo diviene, di fatto, il momento centrale, il
cuore della messa in scena dell'opera. Sulla scena ruotano su due
differenti orbite due videoproiettori che imprimono le loro
informazioni, i loro frammenti di racconto su un grande e semicircolare
schermo che avvolge gran parte del palcoscenico. Uno schermo che si
svolge come quel grande lenzuolo nel quale si trova avviluppato
Keplero, tornando alla realtà, alla fine del suo sogno. Tra
questi
elementi giostrano le presenze dei cantanti interpreti e
dell'orchestra stessa, che non è collocata,
secondo tradizione, a
margine dello spettacolo ma entra nello stesso grazie alla dislocazione
delle diverse sezioni sul palcoscenico. Un attore, travestito da
orchestrale, con quel tocco di ironia che si addice ad un demone,
manovra e illustra questo "planetario" svelandoci una sua "maschera"
dell'universo. Lo spettacolo è diviso in sei
quadri:
Introduzione: "Accadde
che una certa notte, [...]
dopo aver osservato le stelle e la Luna [...]" è un'apertura
orchestrale sull'osservazione delle stelle prima del sogno. Formule
magiche:
all'inizio del sogno appaiono su due schermi sincronizzati le immagini
di Castel del Monte, una costruzione ottagonale misteriosa e ricca di
implicazioni astronomiche e geometriche, che raccontano, commentate dai
due cantanti la parte più autobiografica del Somnium.
Attraverso alcune formule magiche, Fiolxhilde e Duracoto invocano il
demone. Verso la Luna:
il demone, apparso, illustra le immagini di Levhana (la Luna) e le
difficoltà del viaggio che dovranno affrontare per poterla
raggiungere.
Poi, con I'aiuto di un radar, accompagna Fiolxilde e Duracoto. Lo
sguardo:
il demone ci descrive le caratteristiche di Levhana senza tralasciare
riferimenti precisi all'osservazione della Terra, soprattutto
attraverso il contrasto tra le immagini della sua iconografia digitale
e quelle più naturali. II
satellite: il duetto "Girate e girate"; appaiono in diretta
le immagini della Terra viste dal satellite Meteosat. Il
ritorno:
mentre il demone continua a narrare lo strano mondo osservato e gli
strani esseri che lo abitano, si prepara il viaggio di ritorno. Intanto
il computer trasmette nuove immagini sempre più
irriconoscibili sino a
che "[...] il vento, levatosi con il rumore della pioggia, mi
interruppe il sonno [...] e tornando in me, mi ritrovai con il capo
avviluppato dal cuscino e il corpo dalle coperte".
Nella musica, nelle immagini, nel testo abbiamo cercato un
rapporto
di convivenza tra I'aspetto realistico e quello magico, in uno spirito
che del resto non era estraneo all'esperienza di Keplero. Il
più
formidabile investigatore del cielo di tutti i tempi era al pari un
astrologo molto quotato e per di più era cresciuto al fianco
di una
madre processata per stregoneria, che egli stesso difese. Come quasi
tutti gli scienziati delle origini anch'egli ha tenuto i piedi in due
staffe intrecciando il sapere più logico e apparentemente
realistico
con quello alchemico. Questo rapporto di
convivenza tra i due
aspetti, cosi combattuto da tutta la cultura positivista, ora ci pare
riemergere, certo non più nelle forme antiche, ma
intrecciato a quella
che dovrebbe essere la summa dell'evoluzione del pensiero razionale,
quel mondo tecnologico, cioè, che si espande dalle
dimensioni iperreali
dei video a quelle simulate dei computer, dalle lontananze degli
explorer alle visitazioni delle particelle subatomiche; tutto quel
mondo virtuale che non cogliamo più coi nostri sensi
fisici,come già ci
suggeriva la fisica "visionaria", ma che ormai pare evidente esistere.
C'è qualcosa di magico in questi strumenti, soprattutto
c'è qualcosa di
magico nel modo in cui ci rapportiamo ad essi. Ma al di sotto della
superficie di questa nuova cosmologia si evidenziano misteri
altrettanto inquietanti di quelli che si riscontrano negli universi
magici e mitici.
* Testo parzialmente ripreso da Studio Azzurro: percorsi tra video cinema e teatro, (a cura di) Valentina Valentini, Electa, Milano, 1995.
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visioni :: Studio Azzurro:
Tracce, sguardi e altri pensieri, libro+2 Dvd, a
cura di Bruno Di Marino, Feltrinelli, Milano, 2007. |