Nel paese dei ciechi
di Herbert George Wells
Pubblicato da Herbert G. Wells nel 1911, il racconto Il paese dei ciechi è piuttosto noto, ma poco letto – e poco pubblicato – rispetto ai romanzi principali dello scrittore inglese. Pure, ha una sua notevole importanza come riflessione narrativa su alcuni dei temi che diventeranno cruciali per il Novecento, e che proprio nel periodo in cui fu scritto arrivavano a maturare. Il racconto narra di Nunes, un montanaro che, dopo essere disastrosamente precipitato da una montagna, scopre di trovarsi nel leggendario e irraggiungibile paese dei ciechi, sulle Ande. Preso dalla euforia della sua presunta condizione di superiorità, già immagina di diventare il dittatore della comunità in cui è capitato. I fatti lo smentiranno, verrà considerato un folle che vaneggia di cose inesistenti, e, quando si innamorerà di una ragazza del villaggio, dovrà fuggire, rinunciando all’amore pur di non rinunciare alla vista: gli anziani del villaggio hanno deciso che il motivo della sua follia è proprio in quelle strane malformazioni che ha fra il naso e la fronte (gli occhi), e che se vuole sposarsi deve farsele estirpare… Insomma uno scontro irrimediabile fra due visioni (!) del mondo completamente incompatibili. Il paese dei ciechi è quindi prima di tutto un inno che Wells – da buon fabiano – dedica al relativismo culturale, e a quanto sia variabile la nostra interpretazione del mondo e della verità. |
di Herbert George Wells
titolo
Nel paese dei ciechi
editore Adelphi, Milano, 2008
pagine 60
prezzo € 5,50
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Ma, oltre ad essere
l’affermazione di principi laici di fondo, la vera importanza di
questa breve parabola è in un altro aspetto: mostra in contro
luce l’emergere, magari ancora inconsapevole, di ben altre
tematiche. Gli anni a cavallo fra il XIX e il XX secolo videro una
notevole accelerazione di processi – in particolare connessi allo
sviluppo delle tecnologie di base, delle comunicazioni,
dell’organizzazione del lavoro, della vita associata – che
agirono profondamente sulla costruzione di un mondo “a misura
d’uomo”, e sulla stessa percezione della struttura dello
spazio e del tempo. Cambiarono, insomma, i meccanismi alla base della
stessa “costruzione sociale della realtà”, dei
dispositivi che ci permettono di dare senso al mondo: di negoziare i
significati, e di assegnarli alle cose. Nello stesso tempo, il contatto
con le culture “altre” si approfondiva, e usciva dalla pura
dimensione della colonizzazione e della rapina dei paesi extraeuropei.
Il rapporto con l’Altro, insomma, imponeva una
redifinizione del suo statuto. Il confronto messo in scena dallo
scrittore britannico – fra un uomo che presuntuosamente si
percepisce “normale” e una società che lui vede come
fisiologicamente inferiore – mette in gioco tutta questa
sfera di temi. Nunes si confronta con una società che ha avuto
(da almeno 15 generazioni, così scrive Wells) l’avventura
di vivere in un mondo completamente diverso dal suo, perché lo sperimenta
in modo irrimediabilmente diverso. Per cui ha costruito un suo modo di
oggettivarlo e interiorizzarlo. Ha costruito una realtà
alternativa alla nostra – un mondo a propria misura, e
quindi un’originale tecnologia, un originale universo simbolico,
profondamente incompatibile con quello dell’imprevisto ospite. Le
cui armi sono spuntate, nel suo tentativo di prendere il controllo
della situazione, come si era illuso di fare. Un monito, insomma, dello
scrittore, che nel 1895, mentre nasceva il cinema, dava alle stampe La macchina del tempo,
il romanzo di fondazione della science fiction, che per primo propone
la possibilità che tempo e spazio non siano così
continui, lineari, uniformi, come si immaginava, e che in Il paese dei ciechi mette in dubbio la certezza che la nostra percezione del reale sia l’unica possibile.
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Adolfo Fattori |
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