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Il culto del suono. In memoria di Karlheinz Stockhausen
di Filippo Morelli

stockhausen

In un epoca liquida come quella in cui viviamo, mobile per sua natura, il suono si propaga con incessante continuità. Laddove altre arti in cui la fissità di intenti diviene condizione indispensabile per uno sviluppo significativo, la musica ha saputo trovare sviluppo nel fungere da culla ad una epoca dominata dalla confusione di idee, di intenti e quant’altro. Chi ha buona memoria, ricorderà che qualcuno diversi anni or sono cantava: “Confusion will be my epitaph1”. La musica, arte dionisiaca per eccellenza, deve forse a questa sua qualità la capacità di convivere così bene con la liquidità dei nostri tempi. La durata di una composizione è componente variabile, essa può dilatarsi e ritrarsi, assumendo sempre significati nuovi e diversi. Come potremmo dire, infatti, se è più valida l’opera di Richard Wagner nel suo riflettere in maniera vorticosa e ampia nello sviluppo della sua tetralogia, o se sono più intensi gli aforismi chopiniani che in meno di due o tre minuti ci procurano emozioni intensissime? Ma se dovessimo individuare la componente musicale che le ha permesso di avere in sé questa qualità cangiante ma anche inesauribile, dovremmo occuparci del timbro o meglio del suono in senso assoluto. Infatti, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, ma già dalla fine dell’Ottocento, la nostra arte ha iniziato a svilupparsi coltivando in maniera determinante l’aspetto puramente sonoro di fronte anche ad una saturazione della struttura tonale.
Alcuni tra i geni della prima metà del Novecento, da Claude Debussy a Igor Stravinsky a Arnold Schoenberg, hanno coltivato con grande attenzione il rinnovamento sonoro. Anche se è probabilmente agli inizi degli anni Cinquanta, che la ricerca musicale inizia a coltivare il suono come elemento fondante. Pioniere di questa ricerca è Karlheinz Stockhausen, scomparso il 5 dicembre dello scorso anno all’età di settantanove anni. Autore di oltre trecento opere, egli trova nel suono la capacità di superare gli impantanamenti strutturali che molto spesso caratterizzano la musica nella seconda metà del secolo breve. Nel secondo dopoguerra farà parte del cosiddetto gruppo di Darmstadt, di cui tra gli altri va annotata la presenza di Pierre Boulez, Luciano Berio, Luigi Nono, Henry Pousser, Bruno Maderna. Insomma la vera crema della ricerca musicale di quegli anni. La scuola, che si definì post-weberniana, era impegnata nell’evoluzione del linguaggio musicale, portando avanti la lezione di colui che era ritenuto il musicista più sperimentale, Anton Webern, appunto, figura emblematica della famosa triade viennese comprendente Schoenberg, Alban Berg e l’ermetico Webern. Gli studi di Stockhausen sono da sempre focalizzati sulla ricerca timbrica, infatti già nel 1953 egli afferma ”…il timbro non è una maschera o un costume, ma è forma.”. La sua ricerca2 sarà catalizzata sulla propagazione e la visualizzazione dei suoni. Tale ricerca parte inizialmente dallo studio dei suoni elettronici per poi riapprodare nel corso del tempo anche agli strumenti tradizionali usati però sempre con una spazialità cosmica. Al contrario di molti compositori suoi contemporanei Karlheinz comprende che nella musica, ma forse potremmo dire nell’arte più in generale, l’aspetto medianico e conoscitivo deve convivere con l’aspetto matematico e razionale. Infatti è l’unione tra razionale e irrazionale l’aspetto costruttivo principale nella composizione artistica, l’uno non può vivere senza l’altro. Stockhausen conscio di ciò raccoglie mirabilmente l’eco del Gesang der Junglinge (1956), o di Telemusik (1960), oppure degli Hymnen (19673) per rianellarli in avvolgenti suoni elettronici. Nel Cantico delle creature (Gesang der Junglinge) le voci di bambini vengono mescolate a suoni elettronici. L’alternanza di suoni e voci produce un risultato sonoro sconvolgente, come se si fosse aperta una porta su un mondo in cui il rapporto tra voce e suono si muovesse in un continuo rimbalzo dotato di una spazialità cosmica. L’effetto che produce sull’ascoltatore allo stesso modo risulta netto e forte a tal punto che, per anni, o si diventa dei fan dell’opera, o la si denigra senza tregua, di certo il suo ascolto non genera l’indifferenza. In particolare, le voci di bambini risvegliano echi ancestrali di un mondo perduto, in qualche modo sembra anche di avvicinarsi ai desideri wagneriani fatti di creazioni talmente indicibili da essere quasi indescrivibili… Allo stesso modo anche in Telemusik, altro lavoro fondamentale nell’opera di Stockhausen, i suoni emessi dallo strumento video-trasmittente sembrano già evocare tutti i poteri dionisiaci del mezzo di comunicazione allora agli albori. Come scrisse in un successivo saggio nel 1973: “La possibilità di telefonare in Africa per ordinare una cassetta di cui successivamente miscelo delle parti con suoni elettronici prodotti a Tokyo, è una situazione senza precedenti che rende possibile stabilire relazioni finora totalmente sconosciute”. Telemusik4 è stata composta tra gennaio e aprile 1966 nello studio di musica elettronica di Tokyo. Stockhausen stesso racconta la genesi dell’opera, narrando di notti insonni e visioni di suoni provenienti dalle più svariate parti del globo terrestre. Da tali visioni l’idea di comporre una Telemusik, cioè una musica come una gigantesca antenna capace di riunire i misteriosi visitatori, provenienti dall’impero giapponese o dalle isole di Bali o dal Sahara o dalla Spagna, dall’Ungheria, dalla Cina... La Telemusik, però, non è un collage come afferma lo stesso autore, ma è la possibilità concreta di creare una nuova spazialità di suono. Il risultato finisce per eccitare creativamente, e non a caso, i musicisti più importanti di altri generi musicali da Miles Davis alla musica Cosmica tedesca, da Klaus Schultze ai Tangerine Dream ai Kosmische Kouriere, ai Cluster, a Brian Eno e Robert Fripp e altri ancora. Stockhausen è diventato compositore imprescindibile per le nuove leve che si sono affacciate nel mondo della musica dagli anni Sessanta fino ai giorno nostri e per capirlo dobbiamo ricorrere alle parole di Paul Valery: “onore agli artisti che avanzano nell’arbitrio e lasciano dietro di se la necessità5”. Egli è forse il primo è più eclatante caso di trasversalità musicale, la cui opera inizia a divenire fonte di ispirazione per musicisti che operano in altre aree, cioè jazz e rock-pop. Tale condizione gli permette di scendere da una visione troppo cattedratica della musica e di affrontare più concretamente i problemi in maniera più diretta. È infatti significativo che gli alfieri della musica rock-elettronica tedesca, come quelli sopra citati, vedano in lui una sorta di punto di partenza soprattutto nell’utilizzo del suono elettronico che intende definire una realtà dello spazio sonoro che verrà definito  “cosmico”. Nella sua orbita rientrano anche formazioni che operano sì in ambito elettronico, ma su versanti più space age ed exotica come i raffinati Stock Hausen & Walkman, il cui nome è tutto un programma e il loro album Organ Transplants Vol.16 è un piccolo gioiello di citazionismo. Anche gruppi come i Future Sound Of London o i Coil nel loro esprimere una musica legata alla dimensione del flusso-sonoro gli debbono sicuramente molto dal punto di vista poetico. Infine, celeberrima è l’inclusione dell’artista tra i personaggi che popolano la copertina del beatlesiano Sergent Pepper’s Lonely Hearts Club Band, opera che prese forma proprio in virtù dell’impiego in modo organico dello studio di registrazione come strumento. Qualcosa di più, quindi, del semplice omaggio, quello dei Beatles. Quello di Stockhausen è un suono che diviene in molti casi visibile. Nell’ultimo concerto tenuto in Italia, a Roma al Parco della musica, nel presentare la sua prima composizione egli predispone tutto in modo tale che i suoni si muovano lungo i quattro lati della sala, divenendo una vera proiezione sonora. Il tutto poi arricchito, alla maniera del Gesang der Junglinge, con l’immissione di alcuni archetipi vocali che danno una ulteriore aura di mistero a questa che definiamo proiezione sonora. Ma è forse la presenza di qualcosa di archetipico ed eterno nella musica del compositore di Colonia che gli dà una dimensione superlativa  ed è ciò che lo innalza rispetto ai suoi pur geniali contemporanei. Infatti la musica di Stockhausen possiede quel requisito di a-temporalità che rende la sua musica così inaspettata così misteriosa, tale da renderla così infinita. Verrebbe da dire così infinita come solo le grandi creazioni musicali ed artistiche sanno essere. In conclusione vorremo augurare a Stockhausen, come lui stesso ad inizio concerto aveva fatto agli spettatori del suo concerto romano : buon viaggio nello spazio infinito;  buon viaggio a te nello spazio infinito Karlheinz...

 


 

:: note ::

1. King Crimson, Epitaph, dall’album In the Court Of The Crimson King, Island, 1969.
 

2. 
K. Stockhausen, “ Arbeisbericht 1952/53”, in Texte, Colonia 1963, pag.36, citato in Heike Staff - La musica contemporanea - ( pag. 95)- Jaca Book, Milano, 1992.
 

3. 
La discografia completa di Stockhausen è consultabile su http://www.stockhausen.org/
 

4. 
Beyond Global Village Polyphony, Oltre la polifonia del villaggio globale, citato in David Toop Oceano di suono, Costa & Nolan, Ancona-Milano, 1999.
 

5. 
P. Valery, Cahier 1929 - 30 ah 29, XIV, 353. In P. V. Cahiers II, ed. Gallimard 1974, pag. 955., citato in Francesco Venezia - La Tour D'ombres- ( pag. 107) - Fiorentino editrice, Napoli, 1978.
 

6. 
Stock, Hausen & Walkman, Organ Transplants Vol.1. Hot Air, 1996.