In un epoca liquida come quella in cui
viviamo, mobile per sua natura, il suono si propaga con incessante
continuità. Laddove altre arti in cui la fissità
di intenti diviene condizione indispensabile per uno sviluppo
significativo, la musica ha saputo trovare sviluppo nel fungere da
culla ad una epoca dominata dalla confusione di idee, di intenti e
quant’altro. Chi ha buona memoria, ricorderà che
qualcuno diversi anni or sono cantava: “Confusion will be my
epitaph1”. La musica, arte dionisiaca per eccellenza, deve
forse a questa sua qualità la capacità di
convivere così bene con la liquidità dei nostri
tempi. La durata di una composizione è componente variabile,
essa può dilatarsi e ritrarsi, assumendo sempre significati
nuovi e diversi. Come potremmo dire, infatti, se è
più valida l’opera di Richard Wagner nel suo
riflettere in maniera vorticosa e ampia nello sviluppo della sua
tetralogia, o se sono più intensi gli aforismi chopiniani
che in meno di due o tre minuti ci procurano emozioni intensissime? Ma
se dovessimo individuare la componente musicale che le ha permesso di
avere in sé questa qualità cangiante ma anche
inesauribile, dovremmo occuparci del timbro o meglio del suono
in senso assoluto. Infatti, soprattutto a partire dal secondo
dopoguerra, ma già dalla fine dell’Ottocento, la
nostra arte ha iniziato a svilupparsi coltivando in maniera
determinante l’aspetto puramente sonoro di fronte anche ad
una saturazione della struttura tonale. Alcuni tra i geni
della prima metà del Novecento, da Claude Debussy a Igor
Stravinsky a Arnold Schoenberg, hanno coltivato con grande attenzione
il rinnovamento sonoro. Anche se è probabilmente agli inizi
degli anni Cinquanta, che la ricerca musicale inizia a coltivare il
suono come elemento fondante. Pioniere di questa ricerca è
Karlheinz Stockhausen, scomparso il 5 dicembre dello scorso anno
all’età di settantanove anni. Autore di oltre
trecento opere, egli trova nel suono la capacità di superare
gli impantanamenti strutturali che molto spesso caratterizzano la
musica nella seconda metà del secolo breve. Nel secondo
dopoguerra farà parte del cosiddetto gruppo di Darmstadt, di
cui tra gli altri va annotata la presenza di Pierre Boulez, Luciano
Berio, Luigi Nono, Henry Pousser, Bruno Maderna. Insomma la vera crema
della ricerca musicale di quegli anni. La scuola, che si
definì post-weberniana, era impegnata
nell’evoluzione del linguaggio musicale, portando avanti la
lezione di colui che era ritenuto il musicista più
sperimentale, Anton Webern, appunto, figura emblematica della famosa
triade viennese comprendente Schoenberg, Alban Berg e
l’ermetico Webern. Gli studi di Stockhausen sono da sempre
focalizzati sulla ricerca timbrica, infatti già nel 1953
egli afferma ”…il timbro non è una
maschera o un costume, ma è forma.”. La sua
ricerca2 sarà catalizzata sulla propagazione e la
visualizzazione dei suoni. Tale ricerca parte inizialmente dallo studio
dei suoni elettronici per poi riapprodare nel corso del tempo anche
agli strumenti tradizionali usati però sempre con una
spazialità cosmica. Al contrario di molti compositori suoi
contemporanei Karlheinz comprende che nella musica, ma forse potremmo
dire nell’arte più in generale,
l’aspetto medianico e conoscitivo deve convivere con
l’aspetto matematico e razionale. Infatti è
l’unione tra razionale e irrazionale l’aspetto
costruttivo principale nella composizione artistica, l’uno
non può vivere senza l’altro. Stockhausen conscio
di ciò raccoglie mirabilmente l’eco del Gesang
der Junglinge (1956), o di Telemusik
(1960), oppure degli Hymnen (19673) per rianellarli
in avvolgenti suoni elettronici. Nel Cantico delle creature
(Gesang der Junglinge) le voci di bambini vengono
mescolate a suoni elettronici. L’alternanza di suoni e voci
produce un risultato sonoro sconvolgente, come se si fosse aperta una
porta su un mondo in cui il rapporto tra voce e suono si muovesse in un
continuo rimbalzo dotato di una spazialità cosmica.
L’effetto che produce sull’ascoltatore allo stesso
modo risulta netto e forte a tal punto che, per anni, o si diventa dei
fan dell’opera, o la si denigra senza tregua, di certo il suo
ascolto non genera l’indifferenza. In particolare, le voci di
bambini risvegliano echi ancestrali di un mondo perduto, in qualche
modo sembra anche di avvicinarsi ai desideri wagneriani fatti di
creazioni talmente indicibili da essere quasi
indescrivibili… Allo stesso modo anche in Telemusik,
altro lavoro fondamentale nell’opera di Stockhausen, i suoni
emessi dallo strumento video-trasmittente sembrano già
evocare tutti i poteri dionisiaci del mezzo di comunicazione allora
agli albori. Come scrisse in un successivo saggio nel 1973:
“La possibilità di telefonare in Africa per
ordinare una cassetta di cui successivamente miscelo delle parti con
suoni elettronici prodotti a Tokyo, è una situazione senza
precedenti che rende possibile stabilire relazioni finora totalmente
sconosciute”. Telemusik4 è
stata composta tra gennaio e aprile 1966 nello studio di musica
elettronica di Tokyo. Stockhausen stesso racconta la genesi
dell’opera, narrando di notti insonni e visioni di suoni
provenienti dalle più svariate parti del globo terrestre. Da
tali visioni l’idea di comporre una Telemusik,
cioè una musica come una gigantesca antenna capace di
riunire i misteriosi visitatori, provenienti dall’impero
giapponese o dalle isole di Bali o dal Sahara o dalla Spagna,
dall’Ungheria, dalla Cina... La Telemusik,
però, non è un collage come afferma lo stesso
autore, ma è la possibilità concreta di creare
una nuova spazialità di suono. Il risultato finisce per
eccitare creativamente, e non a caso, i musicisti più
importanti di altri generi musicali da Miles Davis alla musica Cosmica
tedesca, da Klaus Schultze ai Tangerine Dream ai Kosmische Kouriere, ai
Cluster, a Brian Eno e Robert Fripp e altri ancora. Stockhausen
è diventato compositore imprescindibile per le nuove leve
che si sono affacciate nel mondo della musica dagli anni Sessanta fino
ai giorno nostri e per capirlo dobbiamo ricorrere alle parole di Paul
Valery: “onore agli artisti che avanzano
nell’arbitrio e lasciano dietro di se la
necessità5”. Egli è forse il primo
è più eclatante caso di trasversalità
musicale, la cui opera inizia a divenire fonte di ispirazione per
musicisti che operano in altre aree, cioè jazz e rock-pop.
Tale condizione gli permette di scendere da una visione troppo
cattedratica della musica e di affrontare più concretamente
i problemi in maniera più diretta. È infatti
significativo che gli alfieri della musica rock-elettronica tedesca,
come quelli sopra citati, vedano in lui una sorta di punto di partenza
soprattutto nell’utilizzo del suono elettronico che intende
definire una realtà dello spazio sonoro che verrà
definito “cosmico”. Nella sua orbita
rientrano anche formazioni che operano sì in ambito
elettronico, ma su versanti più space age ed exotica come i
raffinati Stock Hausen & Walkman, il cui nome è
tutto un programma e il loro album Organ Transplants Vol.16
è un piccolo gioiello di citazionismo. Anche gruppi come i
Future Sound Of London o i Coil nel loro esprimere una musica legata
alla dimensione del flusso-sonoro gli debbono sicuramente molto dal
punto di vista poetico. Infine, celeberrima è
l’inclusione dell’artista tra i personaggi che
popolano la copertina del beatlesiano Sergent
Pepper’s Lonely Hearts Club Band, opera che prese
forma proprio in virtù dell’impiego in modo
organico dello studio di registrazione come strumento. Qualcosa di
più, quindi, del semplice omaggio, quello dei Beatles.
Quello di Stockhausen è un suono che diviene in molti casi
visibile. Nell’ultimo concerto tenuto in Italia, a Roma al Parco
della musica, nel presentare la sua prima composizione egli
predispone tutto in modo tale che i suoni si muovano lungo i quattro
lati della sala, divenendo una vera proiezione sonora.
Il tutto poi arricchito, alla maniera del Gesang der Junglinge,
con l’immissione di alcuni archetipi vocali che danno una
ulteriore aura di mistero a questa che definiamo proiezione
sonora. Ma è forse la presenza di qualcosa di
archetipico ed eterno nella musica del compositore di Colonia che gli
dà una dimensione superlativa ed è
ciò che lo innalza rispetto ai suoi pur geniali
contemporanei. Infatti la musica di Stockhausen possiede quel requisito
di a-temporalità che rende la sua musica così
inaspettata così misteriosa, tale da renderla
così infinita. Verrebbe da dire così infinita
come solo le grandi creazioni musicali ed artistiche sanno essere. In
conclusione vorremo augurare a Stockhausen, come lui stesso ad inizio
concerto aveva fatto agli spettatori del suo concerto romano : buon
viaggio nello spazio infinito; buon viaggio a te
nello spazio infinito Karlheinz...
:: note ::
1. King Crimson, Epitaph,
dall’album In the Court Of The Crimson King,
Island, 1969.
2. K. Stockhausen, “ Arbeisbericht 1952/53”, in Texte, Colonia 1963, pag.36, citato in Heike
Staff - La musica contemporanea - ( pag. 95)- Jaca
Book, Milano, 1992.
3. La discografia completa di Stockhausen è consultabile su http://www.stockhausen.org/
4. Beyond Global Village Polyphony, Oltre la polifonia del villaggio globale, citato in David Toop Oceano di suono, Costa & Nolan, Ancona-Milano, 1999.
5. P. Valery, Cahier
1929 - 30 ah 29, XIV, 353. In P. V. Cahiers II,
ed. Gallimard 1974, pag. 955., citato in Francesco Venezia - La Tour D'ombres- ( pag. 107) - Fiorentino editrice, Napoli, 1978.
6. Stock, Hausen & Walkman, Organ Transplants Vol.1. Hot Air, 1996.
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