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Simulazione ed emozione: lo strano caso dei cimiteri nel web
di
Fiorenza Gamba

simulazioneOgni città, come Laudomia, ha al suo fianco 
un’altra città i cui abitanti si chiamano con gli stessi nomi: 
è la Laudomia dei morti, il cimitero […]
E per sentirsi sicura la Laudomia viva ha bisogno di cercare 
nella Laudomia dei morti la spiegazione di se stessa, 
anche a rischio di trovarvi di più o di meno…

Italo Calvino, Le città invisibili


Tra i molti e contrapposti simboli che caratterizzano la postmodernità, la simulazione forse non è il più manifesto, ma sicuramente è quello che è penetrato in modo più stabile e pervasivo nella vita quotidiana, che ne ha mutato le grammatiche e, soprattutto, continua a modificarle a grande velocità contribuendo a realizzare l’esperienza umana come quella condizione definita da possibilità impensabili anche in tempi recenti, e che richiede per poter essere definita l’accostamento di aggettivi specificativi in grado di testimoniarne la complessità: è per questo che si parla di esperienza aumentata o anche moltiplicata, vale a dire un’esperienza tecnologicamente modificata i cui processi e fenomeni sono oramai riconosciuti come cultura della simulazione (Pecchinenda, 2003). Tuttavia, benché la simulazione faccia parte in larga misura della nostra quotidianità - che si tratti di un prelievo ad uno sportello bancomat, di un acquisto di biglietti on line o dell’uso di un navigatore satellitare – l’evocazione e, ancora di più, l’analisi del termine richiama molte critiche e non poche perplessità che si dispongono secondo due polarità distinte: la prima di ordine cognitivo-percettivo, la seconda di ordine culturale. Se si considera la simulazione in una prospettiva cognitivo-percettiva risulta evidente la necessità di riconsiderare la relazione dell’uomo con il proprio ambiente circostante conseguentemente ad una trasformazione dell’esperienza che esige di ripensare gli abituali schemi d’azione e di percezione. Le difficoltà di attribuire alla simulazione la stessa dignità e la stessa efficacia dell’esperienza sorgono per il fatto che quest’ultima si realizza attraverso la sensorialità e la corporeità, le quali sono caratteristiche precluse alla prima. Infatti, la simulazione utilizza in maniera molto limitata elementi necessari all’esperienza come il corpo e i cinque sensi, ai quali è doveroso aggiungere il senso del movimento (Berthoz, 1997). Tale “sesto senso” esplicita il legame tra la possibilità dell’azione, intesa come unità di misura dell’esperienza, e la percezione dinamica dello spazio in cui si compie, e questo legame è il risultato dell’immersione del corpo nel mondo, poiché l’individuo, seguendo la lezione fenomenologica di Merleau-Ponty - e prima ancora di Husserl - è un essere-al-mondo. Simulare, attraverso l’ineliminabile mediazione di uno schermo, privilegia l’asse sensomotorio occhio-mano, che ha il rischioso effetto di intorpidire gli altri sensi, di annullare il corpo, trasformando l’esperienza in un simulacro di se stessa, esperienza di  secondo ordine, portatrice di effetti dannosi o devianti1.

Se, invece, si considera la simulazione da un punto di vista culturale, le obiezioni sorgono quando si considera il contenuto di tale attività. Infatti, il prevalere, nell’epoca postmoderna, della simulazione sulla realtà è direttamente connesso al prevalere del gioco sulla serietà2 e, per questo stesso motivo, la simulazione è recepita a diversi livelli, non esclusi quelli “scientifici”, come attività di tipo minore associata allo svago e al gioco e i cui effetti rispetto a quelli dell’esperienza reale – seria - sono inutili, ingannevoli o decisamente nocivi.
Eppure molti sono oramai i campi di applicazione in cui la simulazione si è affermata come un elemento convertitore, attivatore e moltiplicatore di esperienza: dai simulatori di volo alla medical imaging, dall’e-learnig all’information visualization, dai laboratori scientifici ai musei e ai videogiochi. È fuori discussione che la mediazione tecnologica di uno schermo non possa riprodurre un’esperienza identica a quella reale, ma questo non significa che non ne produca affatto. Se l’esperienza è il risultato delle azioni di un soggetto, anzi, di un corpo che insieme ad altri corpi abita il mondo, è evidente come tale abitare non sia immutabile, bensì si trasformi sulla base di un processo evolutivo che produce una modificazione dell’esperienza. Come osserva Anne Sauvageot, in tale processo gli schemi percettivi sono destabilizzati e riconvertiti in modo da fare emergere nuovi rapporti con il corpo, con lo spazio e con il tempo (Sauvageot, 2003, pp. 159-178). Così, la guida di un’autovettura, l’uso del telefono – in particolare il cellulare – la fruizione della televisione, l’accesso al computer e, attraverso lo schermo, anche l’utilizzo della simulazione hanno permesso all’uomo contemporaneo di realizzare esperienze (un tempo impossibili) che hanno ridefinito in maniera continua l’organizzazione delle nostre percezioni e dei nostri sensi. Tuttavia, questa cauta apertura di credito nei confronti della simulazione è fortemente sbilanciata verso gli aspetti e le applicazioni cognitivi: vale a dire che la simulazione è legittima, giustificata, corretta, buona quando è uno strumento al servizio dei risultati della conoscenza e dello sviluppo scientifico. Una legittimità che si risolve nel proprio contrario quando la simulazione diventa lo strumento per produrre un tipo particolare di esperienza, quello legato alle emozioni. Inconciliabile con la sfera emotiva, la simulazione non è più sottoposta al vaglio di categorie conoscitive - il Vero - bensì a quello di categorie etiche – il Giusto. Ne deriva che la simulazione si trasforma in una forma di esperienza illegittima di cui vengono messi in evidenza gli aspetti negativi: dal momento che l’emozione è qualcosa di diretto, di impossibile a sottoporre a mediazione, essenzialmente qualcosa di buono, qualsiasi azione che non risponda a queste condizioni risulta artificiale o perniciosa, o peggio, prodotta sotto il segno dell’inganno volontario, quindi pericolosa.
In un solo caso questa negatività viene in parte riabilitata, ed è quello del gioco, al quale la simulazione è spesso assimilata, ma anche qui solo a certe condizioni. Infatti, come dimenticare che nella sua forma tecnologica più emblematica – il videogioco – l’unione di gioco e simulazione è spesso causa, secondo alcuni studi3, di disturbi del comportamento o di atteggiamenti asociali?

Tralasciando però questi eccessi, vale la pena di sottolineare la stretta relazione tra la cultura della simulazione e la dimensione ludica, riferita in particolare alle tecnologie informatiche. Infatti, attraverso lo schermo (di un videogioco, ma soprattutto di un computer), si possono compiere azioni virtuali i cui effetti materiali, cognitivi o affettivi sono estesi alla realtà. La virtualità che si esperisce attraverso questo processo consiste in una distanza dalla realtà che non ne implica la separazione, ma piuttosto un equilibrio paradossale. Nella fenomenologia della simulazione l’azione, che pur astrae dalle coordinate spazio-temporali della realtà, non si tramuta in irrealtà, ma,  invece, diventa deterritorializzata, capace di generare molteplici manifestazioni concrete, senza attivare un legame univoco con la realtà. Ciò implica una distanza che non recide tale legame, bensì lo riattiva e lo moltiplica. In maniera del tutto analoga, anche il gioco attiva la medesima struttura, infatti, anche il gioco è una distanza paradossale dalla realtà, la quale però si afferma come realtà del giocare, poiché ciò che è importante non è la sua apparenza, ma la sua distanza, vale a dire “una realtà con la quale riusciamo a tenere una distanza dalla realtà: un gioco appunto rispetto alla realtà comune, un allargamento e uno spazio che il gioco ci fa guadagnare rispetto ad essa” (Dal Lago, Rovatti, 1993, p.17).
La simulazione, quindi, considerata nei suoi diversi gradi e nelle sue diverse forme, è essenzialmente un gioco e diventa una forma privilegiata d’azione in cui la possibilità di agire oltre le restrizioni che la realtà fisica impone costituisce uno spazio non solo dell’esperienza ma anche dell’emozione in cui regole ritenute immutabili sono ridiscusse e rinegoziate.
Soffermiamoci allora sull’emozione, in particolare, su una forma specifica di emozione – il dolore – applicata ad un contesto definito: la morte, il lutto, e i rituali ad essi connessi. Può la simulazione essere presa in considerazione come strumento non solo adeguato, ma soprattutto giusto, legittimo per produrre un’esperienza significativa nei confronti della morte, del dolore che essa produce e della necessità di elaborarne un vissuto attraverso rituali? La presenza sul Web di siti dedicati all’elaborazione virtuale del dolore causato dalla morte indica che si tratta di una procedura praticata. Molte sono infatti le pagine che affrontano la morte da prospettive diverse o che, come i cimiteri virtuali, producono simulazioni dei rituali funebri. Ma come si originano e come si giustificano queste simulazioni che producono esperienze a forte contenuto emotivo? Quali sono le condizioni che hanno prodotto queste forme moltiplicate di esperienza?
L’improrogabile esigenza di ricerca di senso rivendicata dall’uomo postmoderno e caratterizzata dal prevalere della sensibilità, e della sfera personale su altri ambiti dell’esistenza umana, è la chiave di lettura del processo di risacralizzazione contemporaneo che coinvolge anche i rituali funebri. Si tratta di un processo, come già aveva visto Thomas Luckmann (1969), che rimodella il sacro in forma moderna secondo la costruzione personale del proprio sistema di significanza ultima, i cui temi emergono principalmente dalla “sfera privata”. Anche la risacralizzazione dei rituali funebri quindi accede a campi insoliti, normalmente considerati poco solenni e poco istituzionalizzati, che privilegiano l’impatto emotivo e il coinvolgimento personale. In particolare, il Web si rivela essere un campo fertile in cui possono esprimersi nuove forme di ritualità, personalizzate non soltanto per cogliere al meglio l’individualità del defunto, ma anche per sottolineare l’intimità e la condivisione emotiva che lega i partecipanti. Non si tratta più di cerimonie standardizzate e tradizionali, ma di celebrazioni pubbliche - accessibili a chiunque - di un’esperienza privata, come è ormai quella della morte e del lutto, che si realizza tramite pratiche e gesti privati, ma al tempo stesso condivisibili con altri, che coinvolgono un singolo individuo e i suoi congiunti. Sono, evidentemente, celebrazioni che assumono forme nuove ancora tutte da definire, come ad esempio i cimiteri virtuali. Ma l’aspetto interessante di queste forme inedite di simulazione consiste nel fatto che la possibilità di queste nuove forme di rituali funebri e l’uso degli strumenti tecnologici dei quali si servono sono strettamente legati ad una delle modalità fondamentali della ri-sacralizzazione: il gioco. Da sempre il gioco ha mostrato legami forti con la morte e con il sacro (quest’ultimo si rende accessibile grazie ad una liturgia realizzata sul piano ludico). Gioco e sacro, infatti, uniti nel compito di esplorazione del senso nascosto delle cose, trovano il proprio punto di equilibrio nella regolarità dell’azione rituale. Tuttavia, è nella postmodernità che il gioco si consolida come visione dominante di ogni ambito dell’esperienza umana, inclusa la morte e i rituali, diventando un emblema della contemporaneità. Tale aspetto risulta evidente nelle nuove forme di ritualità che si producono grazie alle potenzialità tecnologiche dei nuovi media, di cui i cimiteri virtuali rappresentano l’aspetto più curioso e insolito, ma anche più rappresentativo. Nella società contemporanea, tecnologicamente avanzata, la morte rimane un tabù e l’uomo si trova di fronte ad essa in una condizione di smarrimento, ma anche di nuove possibilità: può affrontarla o rimuoverla, oppure può giocarla. In altri termini, l’uomo può instaurare con la morte una relazione che è contemporaneamente di coinvolgimento emotivo e di necessaria distanza, di simulazione per costruire uno spazio da cui guardarla in posizione protetta e privilegiata, proprio attraverso il gioco. Il quale, libero da allusioni riduttive, mostra attraverso la sua complessità e la sua serietà, la capacità di esprimere i desideri e i bisogni primari dell’uomo, non ultimi quelli di condivisione e di solidarietà. Solo partendo dalla disposizione ludica è possibile comprendere la ri-sacralizzazione dei rituali funebri che accompagnano la morte, espressa nelle diverse manifestazioni che coinvolgono le tecnologie informatiche. Se, da un lato, ciò che rimane costante è il fatto che i rituali traducono “ad un tempo, il disadattamento degli individui alla morte e il processo sociale di adattamento che permette ai sopravvissuti di curare le loro piaghe” (Thomas, 1994, pp. 407-408, trad. ns.).
Dall’altro, invece, si osservano livelli diversi di coinvolgimento. Il livello emotivo, in cui una nuova sensibilità estetica apre il varco alla sensibilità organica nella vita sociale tramite un edonismo quotidiano che agisce “in tanto che cultura dei sentimenti” (Maffesoli, 1990; 2004), affermazione di quell‘hic et nunc postmoderno che è fondatore del sistema di orientamento secondo le coordinate dell’immediatezza e dell’esaltazione delle emozioni. Il livello spaziale, dove le riconfigurazioni del paesaggio sociale si declinano secondo la ri-destinazione e la moltiplicazione degli spazi fisici definendo uno spazio aumentato che trasforma la realtà e invade anche la virtualità, cosa che implica una necessaria ricerca di nuove forme di dire e vivere la morte capaci di accordarsi alle trasformazioni in atto. Il livello della personalizzazione, tale per cui il superamento del valore moderno dell’individualismo ha prodotto nuove forme di comunitarismo, di annullamento dell’individuo nella folla (Maffesoli, 1990), ma contemporaneamente ha riscritto in prospettiva postmoderna il concetto stesso di individuo, sottolineando l’unicità dei percorsi autoriflessivi di formazione del sé. Infatti, la possibilità di inclusioni molteplici e transitorie in tribù diverse implica sia la pluralità di ruoli contro l’unicità della funzione sia la possibilità/inevitabilità di scelta riguardo l’assunzione di tali ruoli. 
In questa prospettiva, ricorda Gilles Lipovetsky (1983, pp. 7-18 e 21), la vita è in ogni suo ambito existence à la carte. Ciò vale anche per i rituali funebri, e se la ricerca di una vita su misura risponde ad una logica del loisir, vale a dire del gioco come schema d’azione, anche i rituali funebri obbediscono a tale logica. Ecco che allora riprende il dialogo interrotto con il sacro e, in particolare, con la ritualità, attraverso giochi - i riti – che spesso si configurano come riappropriazione del sacro, della morte e, soprattutto, come ricostruzione dei rituali. 

Uno degli spazi in cui si compie la riappropriazione dell’esperienza del dolore attraverso forme rituali nuove che si avvalgono della simulazione, della mediazione di uno schermo è il Web. Si tratta di uno spazio anomico (Durkheim, 1971, 1969; Guyau, 1985), aperto e costruttivo, risultato della completezza con cui l’oggetto morte è presente nel Web e capace di incidere sul tabù della morte. In questo caso, infatti, i meccanismi di rimozione, vigili nella realtà, risultano allentati sia perché la struttura del Web favorisce i contatti e le contaminazioni: navigando è possibile intercettare l’argomento morte anche in ambiti da esso molto lontani; sia perché la condizione ludica, attivata dalle nuove tecnologie, in virtù non solo di caratteristiche tecniche ma anche grazie alle disposizioni psico-percettive che stabilisce, permette di accostarsi all’argomento in una zona franca - protetta - in cui la curiosità, l’interesse, la paura, l’immedesimazione, e non solo il coinvolgimento diretto, sono gli elementi attraverso i quali si costruisce, quasi pedagogicamente, un discorso completo sulla morte in cui trovano posto le figure dell’immaginario inconsce, sociali o personali, l’emotività, vale a dire il sentire sulla morte, la conoscenza. In questo modo si costituisce attraverso lo schermo un vero e proprio spazio della protezione, un luogo protetto dove l’esercizio dell’immaginazione si coniuga con la simulazione in un processo circolare in cui intervengono sia l’esperienza sia la conoscenza. In tale situazione l’irreversibilità della realtà si trasforma nel proprio contrario, in quella reversibilità pedagogica che nel caso della morte diventa condizione fondamentale per articolare un discorso completo e considerare la morte nella sua interezza.
Condizione primaria di questa apertura che si realizza nel Web è la costituzione di uno spazio di prossimità, cioè uno spazio capace di unire le persone in virtù di nodi emozionali comuni4. In altri termini, uno spazio che avvicina e affronta la morte come un fenomeno complesso. Infatti, grazie a collegamenti ipertestuali è possibile accedere ad approcci differenti del tema morte con livelli di approfondimento multipli. Si possono trovare, in spazi tra loro contigui e comunicanti, settori esperti che nella cosiddetta realtà sono nettamente separati, spesso in modo insormontabile. Si incrociano così, nello stesso sito, prospettive diverse: la morte vista dalla letteratura, dalla pittura, dalle tradizioni popolari o attraverso le iscrizioni e i monumenti funebri, dalla scienza, dalla sociologia, l’antropologia, la filosofia, la religione, ecc.; così come i dibattiti sull’eutanasia, sulla pena di morte, i focus group, le mailing list e le chats per il sostegno al lutto, ma anche gli indirizzi giusti per organizzare i funerali5
In questo caso la modalità globale di accesso e di fruizione che il Web supporta definisce la morte come discorso completo, impossibile da separare tanto dalla vita sociale quanto da quella privata, poiché nel Web la morte, con il suo significato e i suoi rituali, non è più rinchiusa – in una segregazione invisibile – in maniera settoriale in uno spazio familiare e/o religioso, scientifico, letterario, medico, oppure specialistico. Inoltre, proprio per la permeabilità degli spazi che si realizza nel Web, la morte non interessa più soltanto le persone  che ne sono toccate in un momento particolare della vita, ma appartiene anche alla comunità, che vi partecipa virtualmente nella sua totalità, secondo relazioni di prossimità, di vicinanza, di inclusione temporanea, ma anche di esperienza intensa e  complessa.
A questo riguardo è bene osservare che nel Web, attraverso la simulazione, si apre uno spazio per la morte che non si limita al discorso, al contrario raggiunge anche l’azione, grazie all’interattività, modalità strutturale che invita ad agire, comunicare, costruire relazioni aventi per oggetto qualsiasi argomento, anche la morte. Un chiaro esempio è dato dalla capacità di attivare attraverso il Web azioni di sostegno al lutto e di aiuto in favore dei congiunti di deceduti. Azioni che si tessono nel Web attraverso una rete di contatti e di connessioni attivate secondo le abituali modalità di accesso e che sono capaci di stabilire legami altrettanto forti di quelli che si attivano nella realtà, al punto che, in alcuni casi, tali legami si estendono anche alla realtà. È decisamente singolare vedere che un contesto originariamente ludico, superficiale, come quello della simulazione giocata attraverso lo schermo, sia essa riferita alla semplice navigazione, all’uso di strumenti standard (forum, blog, ect), o alla ricerca di prodotti specifici (siti specializzati, cimiteri virtuali), sia in grado non solo di catalizzare le emozioni – il dolore della perdita - ma soprattutto di produrre esperienze che, in questo caso specifico, recuperano il valore del rituale elaborando le emozioni – una vera e propria elaborazione del lutto. In un campo così spinoso come quello della morte la simulazione dimostra come il suo uso possa essere non solo legittimo, ma anche umanamente significativo.

Spingiamoci oltre. Entriamo in quella forma di simulazione emotivamente significativa maggiormente capace di attirare le nostre resistenze perché riproduce, almeno nel nostro immaginario, un luogo al quale cerchiamo di applicare, generalmente con successo, una rimozione totale: il cimitero.
I cimiteri virtuali sono forse al momento l’espressione più compiuta della  trasformazione dei rituali funebri e della memoria dei defunti attraverso uno spazio anomico. Infatti, si tratta di uno spazio, un sito, in cui è possibile commemorare i defunti seguendo rituali più liberi e interattivi rispetto a quelli reali. Ci sono alcune analogie con la realtà: si possono infatti deporre fiori, accendere candele, lasciare dediche, naturalmente digitali. Ma ci sono anche molte differenze: si possono condividere informazioni sui defunti, tramite foto, video, filmati, ma, soprattutto, si possono condividere emozioni e stati d’animo con altre persone, amici, familiari, congiunti; inoltre, i cimiteri virtuali accolgono i propri ospiti senza limiti di tipo spazio-temporale, in modo quasi sempre gratuito e senza richiedere abilità informatiche particolari. Che si tratti di cimiteri virtuali videogioco, che riproducono formalmente i cimiteri reali e sono dotati di animazioni grafiche definite dal movimento e dal contrasto cromatico; che si tratti, invece, di cimiteri virtuali ipertesto, che sostituiscono ai riferimenti iconici della realtà gli strumenti di navigazione, i quali permettono di dialogare con la comunità elettiva di riferimento; oppure che si tratti di cimiteri virtuali pagina personale, vere e proprie forme espressive realizzate da un soggetto portatore di valori ed emozioni che ricerca una ritualità personalizzata da condividere con altri; ognuna di queste forme di simulazione impegna, sia pur a livelli diversi, l’esperienza della morte e la sua elaborazione, mostrando caratteristiche ben precise.
Lo spazio anomico di un cimitero virtuale interrompe innanzitutto la rigidità del calendario rituale, non tanto per ragioni di principio, quanto per motivi strutturali.
In primo luogo, è da sottolineare la libertà e la facilità di accesso al sito senza vincoli di calendario né di orario: il cimitero virtuale è sempre aperto. Questa elasticità comporta una de-ufficializzazione e una de-istituzionalizzazione delle celebrazioni, la cui significatività è decisa non da un’astratta gerarchia officiante, ma da chi accede materialmente al sito. 
In secondo luogo, contrariamente al cimitero reale, non si tratta di uno spazio separato e specializzato, ma di uno spazio multifunzionale e integrato alla realtà. Infatti, il cimitero virtuale non è soltanto il luogo di celebrazioni, di riproduzione di riti funebri e della memoria, ma, soprattutto, un punto di scambio di informazioni, di condivisione del lutto, di comunicazione. In altri termini, uno spazio di prossimità tra persone, ma anche di vicinanza alla vita quotidiana, poiché l’accesso a questi nuovi strumenti di ritualità avviene senza la necessità di spostarsi in un luogo specifico, lontano dai flussi della quotidianità. Dal momento che il computer può trovarsi ormai in qualsiasi luogo (sia esso di lavoro, familiare o di svago) la quotidianità pervade anche l’ambiente virtuale e la simulazione, che di questa contiguità conserva modi e attitudini. 
Infine, altro elemento importante da osservare è la capacità da parte degli utenti di trasformare i cimiteri virtuali in vere e proprie pagine personali con procedure, regole e codici comunicativi propri. In modo tale che il rito, la memoria, non sono più pratiche generalizzate e rigidamente codificate ma, al contrario, costruite e trasformate a partire dalle necessità e dal sentire dei congiunti con il concorso attivo della comunità affettiva che condivide e comunica al proprio interno l’esperienza della morte, le emozioni e il dolore che essa suscita. In questo modo si definisce lo spazio della simulazione dei cimiteri virtuali: un’apertura che toglie la ritualità dalla segregazione, dalla meccanicità e dalla rimozione della morte, per consentirne un’appropriazione emotiva che la familiarizza, la rende partecipe del quotidiano. Quindi, lo spazio anomico, che sul Web è dedicato alla morte e più in particolare ai cimiteri virtuali, produce una ritualità che allontana la morte dalla sfera del tabù attraverso una trasformazione continua dei riti funebri in senso lato, i quali si manifestano come informazioni, scambio di messaggi, immagini, comunicazioni, condivisioni emotive del lutto: tutte forme plasmate dal doppio canale della personalizzazione e della condivisione. Vale a dire che lo spazio della simulazione dei cimiteri virtuali e dei siti dedicati alla morte non propone un rituale nuovo nelle sue forme, ma uguale per tutti una volta per tutte e orientato esclusivamente alla trascendenza. Tale spazio, invece, apre uno spazio da fare in cui prende forma un rituale on demand da scegliere ed adeguare volta per volta alle esigenze, alle condizioni, alle sensibilità in continua trasformazione, in cui si trova immerso l’uomo postmoderno orientato all’immanenza. Questi principi, queste esigenze, questi desideri relativi all’esigenza di personalizzare attraverso i rituali un momento emotivamente fondamentale come la morte sono racchiusi in una sorta di manifesto che si può leggere idealmente nelle pagine del primo cimitero virtuale realizzato sul Web, il 28 aprile 1995, dal canadese Michael Kibbee, il World Wide Cemetery6. Quando l’ingegnere Michael Kibbee decide di costruire un cimitero virtuale è convinto di realizzare uno strumento capace di sostenere il lutto, di comunicare e scambiare dolore e conforto con il maggior numero di persone possibile. 
Un punto sul quale Mike insiste è l’importanza della comunicazione per l’uomo; infatti, il desiderio di comunicare la perdita dei propri cari, è al tempo stesso forte e naturale ed esso viene sempre soddisfatto attraverso i media, siano essi stampa, radio o televisione7. Ed è proprio nell’interazione tra lutto e media che si inseriscono le straordinarie capacità di simulazione attraverso il Web che, proprio in ragione di tali caratteristiche è, secondo Kibbee, il luogo ideale dove annunciare la perdita dei propri cari e dove potere dedicare monumenti alla loro memoria. Monumenti che, a differenza di quelli reali, non si deterioreranno con il passare del tempo e potranno essere visitati facilmente da chiunque in qualsiasi parte del mondo.
È evidente che nel disegno di Mike Kibbee la comunicazione stabilisce una comunione di persone che condividono stati d’animo ed esperienze (i congiunti) e, nello stesso tempo offre informazioni sul defunto. Le iscrizioni tombali o gli annunci stampati non possono in alcun modo competere con la possibilità di comunicazione e di condivisione posseduta dal World Wide Cemetery, dove ogni monumento può includere fotografie, filmati, documenti sonori del defunto.
Nel progetto di Kibbee, il punto centrale è costituito dal legame tra tecnologia, sfera emotiva e relazione sociale, poiché grazie al cimitero virtuale o attraverso il suo uso si possono costruire ipertesti familiari, i quali offrono la possibilità di costruire identità condivise attraverso una costellazione di frammenti, di esperienze personali veicolate dal Web. Ciò rientra in un orizzonte di socialità elettiva, vale a dire una appartenenza alla collettività attraverso continue scelte di inclusione all’interno di gruppi emotivamente significativi, sia in forma transitoria che duratura. Un’appartenenza che  è indice della postmodernità.
Nell’enunciare i principi ispiratori del World Wide Cemetery Kibbee non descrive soltanto il suo progetto, ma rivela in questo modo anche il suo testamento etico. Infatti, nella frase conclusiva del testo egli dichiara che il suo cimitero è aperto alle persone di qualsiasi fede religiosa e che esso permetterà di condividere le vite dei propri cari con persone di tutto il mondo8. Un’affermazione che non lascia dubbi: il cimitero virtuale è virtualmente aperto a tutti e ha come fine quello di unire persone di tutto e da tutto il mondo per condividere un particolare momento della vita, definito dalla perdita e dal lutto. 
Il cimitero virtuale, quindi, non è solo un superficiale gioco di simulazione, destinato a ristrette conventicole di adepti, bensì il tramite per condividere una condizione universale: la morte; a cui si aggiunge la speranza che la sua frequentazione costituirà non soltanto una consolazione, personale e intima, per i congiunti, ma anche la scoperta della diversità, dell’unicità e delle qualità dei suoi ospiti. Una ulteriore apertura alla complessità delle vite e delle identità, un esplicito invito alla tolleranza e alla compassione, mediati dallo strumento insolito, eppure particolarmente efficace della simulazione.

 


 

:: note ::


1.
Per una trattazione più ampia sul significato culturale dello schermo, delle sue funzioni e dei suoi effetti rimando a Gamba, 2004.
Sugli effetti negativi dello schermo si vedano a puro titolo di esempio Baudrillard, 1997; Id,
www.watsoninstitute.org/infopeace/vj2k/baudrillard.cfm;
Virilio, 1994.
 

2.
 I temi della prevalenza della simulazione  sulla realtà, del gioco sulla serietà, della superficie sulla profondità, intesi come cifre della postmodernità sono stati trattati da Jameson, 1989.
 

3.
A questo riguardo è d’obbligo ricordare che altri studi, altrettanto autorevoli, sostengono e dimostrano l’esatto contrario: 
non solo l’innocuità ma gli effetti benefici dei videogiochi.
 

4.
Il termine per indicare tale legame è stato reso con il neologismo reliance, intraducibile in italiano, da Marcel Bolle de Bal (cfr. M. Bolle de Bal, 1996).
 

5.
Un esempio di tale molteplicità di prospettive si trova nel sito italiano 
http://www.thanatos.it/portale/thanatos_portale.htm.

 

6.
www.cemetery.org
 
7.
“...the desire to communicate our loss is both natural and strong. We use the media - all forms of print, as well as radio and television - to notify others of a loved one’s passing.” (www.cemetery.org/about.html).
 

8.
“The World Wide Cemetery is open to people of all religious faiths, 
and will allow as all to share the lives of our loved ones with people the world over.” (www.cemetery.org/about.html).
 

 


 

:: letture ::


Baudrillard, J., Écran total, Galilée, Paris, 1997

Baudrillard, J., Lo Xerox e l'infinito, in A. Ferraro - G. Montagano (a cura di), 
La scena immateriale. Linguaggi elettronici e mondi virtuali, Costa & Nolan, Ancona-Milano, 2000

Berthoz, A., Le sens du mouvement, Odile Jacob, Paris, 1997

Bolle de Bal,M., Reliance et théorie, L’Harmattan, Paris, 1996

Dal Lago, A., Rovatti, P. A., Per gioco, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1993

Durkheim, E., Il suicidio. L’educazione morale, UTET, Torino, 1969

Durkheim, E., La divisione del lavoro sociale, Edizioni di comunità, Milano, 1971 

Gamba, F., Lo spazio dello schermo, Celid, Torino, 2004

Guyau, J.-M., Esquisse d’une morale sans obligation ni sanction, Fayard, Paris, 1985

Jameson, F., Il postmoderno o la logica culturale del tardocapitalismo, Fazi, Milano, 2007

Lipovetsky, G., L’ère du vide, Gallimard, Paris, 1983

Luckmann, T., La religione invisibile, il Mulino, Bologna,1969

Maffesoli, M., Aux creux des apparences, Plon, Paris,1990

Maffesoli, M., L’ombra di Dioniso, Garzanti, Milano,1990

Maffesoli, M., Le rythme de la vie, La table ronde, Paris, 2004

Pecchinenda, G., Videogiochi e cultura della simulazione, Laterza, Roma-Bari, 2003

Sauvageot, A., L’épreuve des sens, PUF, Paris, 2003

Thomas, L. V., Anthropologie de la mort, Payot, Paris, 1994

Virilio, P., Lo schermo e l’oblio, Anabasi, Milano, 1994