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George Armstrong Custer, chi era veramente costui?
di Giovanni De Notaris

custer

Per chi oggi ha il non semplice compito di esaminare e giudicare con il  senno di poi determinati avvenimenti del passato, appare difficile essere sempre imparziali sugli eventi (positivi o negativi che siano) che hanno plasmato la storia presente e forse chissà anche quella futura dell’umanità. 
Difficile si diceva essere imparziali; in questa breve trattazione lo sarà forse ancor di più. Qui infatti si vuol cercare di dare una breve interpretazione della vita ma anche forse della morte di uno dei più controversi pilastri della storia degli Stati Uniti; si parlerà del ragazzo d’oro dell’ esercito americano dell’epoca: colui che fu ribattezzato “deretano duro”  e “capelli lunghi” dagli indiani, che cercava più che di sottomettere, di comprendere. Qui si tratterà di un idealista e amante della natura, ma anche di un uomo capace di uccidere senza esitazioni e a sangue freddo; di pretendere dagli uomini che comandava nulla di più di quello che pretendeva da se stesso (forse troppo): disciplina e resistenza. Un uomo che si spinse oltre i limiti diventando una leggenda già poco più che ventenne. Starà al lettore giudicare se il generale George A. Custer fosse davvero una leggenda oppure un folle.
Su di lui fiumi e fiumi di parole sono state scritte, biografie contrastanti, che non hanno sempre dato una definitiva opinione sul cacciatore di indiani. A Custer sono stati dedicati città e parchi; tutto fatto più per esaltare la storia degli Stati Uniti, che per celebrare un valido ufficiale. Anche il cinema ha dedicato alcune delle sue pagine al nostro senza però distaccarsi troppo dal cliché del soldato duro e ottuso; questo ha chiaramente contribuito a farne un eroe più negativo che positivo. Appare qui necessario citare almeno un paio di film tra i più recenti: Custer eroe del west1 e Piccolo Grande Uomo2. Le due pellicole mostrano la percezione, da parte degli americani di quegli anni, verso gli aspetti più critici del proprio passato. Anche se con modalità differenti il primo presenta un Custer difensore degli indiani, il secondo al contario riflette il bisogno di riscrivere la propria storia. 
D’altra parte sono state molte le pellicole dedicate a personaggi del Far West. Vale la pena citare il famoso Buffalo Bill di Robert Altman3, ma anche i più recenti Tombstone4 e Wyatt Earp5 (dedicati entrambi a quest’ultimo), e ancora il sottovalutato Wild Bill6, con uno straordinario Jeff Bridges. Ognuno di questi film ha evidentemente suscitato opinioni differenti, che hanno, in taluni casi, condannato indegnamente o il regista o l’attore protagonista.
Con questa breve digressione si vuole solo sottolineare come i mezzi di comunicazione di ogni genere, pur avendo avuto il merito di tener vivo nella memoria storica determinate icone della frontiera americana, non sono sempre stati generosi verso i personaggi che andavano a rappresentare, dandone una rappresentazione lievemente distorta, vuoi per errate interpretazioni, vuoi per determinati pregiudizi, vuoi per esigenze di copione. Custer ovviamente non fa eccezione. Ma perché?
Già all’epoca egli era considerato un individuo particolarmente impulsivo, poco dedito al compromesso, troppo (davvero troppo!) pieno di sé; un ufficiale difficilmente inquadrabile e controllabile, a cominciare dai suoi stessi superiori, che non avevano piena fiducia in lui proprio a causa del suo carattere, ora tranquillo e affidabile, ora spinto da una foga militaresca derivante dalla sua voglia di dar sfogo a uno smisurato ego che rischiava di mettere in pericolo anche gli uomini al suo comando. Sopra ogni altra cosa però, colpì ovviamente la sua tragica disfatta finale che, se da un lato fu motivo di rinvigorimento della politica di sottomissione nei confronti dei nativi americani, dall’altro forgiò il mito del giovane militare fanatico che spara prima di pensare. Non è così. 

Come si vedrà più avanti chiunque al suo posto avrebbe subìto una disastrosa sconfitta. Custer resta perciò un valido ufficiale nonché un uomo fondamentalmente onesto; il vero interrogativo da porsi è quanti registi o scrittori si siano fatti trascinare più dal mito che dalla realtà. Forse la fiction richiede più la fantasia che la verità per raccontare le sue storie. Ma ora è tempo di continuare ad analizzare la figura dello sterminatore di indiani.  
Il giovane e indisciplinato cadetto di West Point si distinse infatti già a soli ventitrè anni comandando una brigata di cavalleria unionista durante la triste esperienza della sanguinosa guerra civile e lì fu nominato generale di brigata. Iniziò la sua leggenda; ma anche l’amore dolce e premuroso per la sua futura moglie Elizabeth “Libbie” Bacon. Erano anche gli anni della straordinaria e purtroppo infelice duplice presidenza di Abraham Lincoln. Delle idee politiche del giovane Custer poco ci interessa, anche se hanno avuto peso nella sua tragica fine. Pare che egli nascesse democratico ma che non sembrasse favorevole all’abolizione della schiavitù.  
Non appare qui necessario dilungarsi troppo approfonditamente sulla biografia del nostro; se il lettore vorrà potrà trovare varie biografie (un po’ troppo dure nei confronti del giovane generale). La vita di quest’uomo fu, come quella di tutti, costellata da successi e insuccessi; dalla gloriosa esperienza della guerra civile che fece di lui e della moglie una delle coppie più famose di Washington, a periodi in cui si trovò in situazioni di ristrettezze economiche, cosa che per il suo orgoglio fu peggio che ricevere una fucilata. Nonostante avesse alla fine della guerra perso il grado di generale, continuava a considerarsi tale e a farsi chiamare così, vestendo anche una divisa  piuttosto inusuale per un ufficiale di cavalleria, che pare egli stesso avesse ideato. Non rispettava molto le gerarchie, ma pretendeva che gli uomini al suo comando rispettassero lui. Era un fautore della ferrea disciplina militare che applicava in maniera severa. Pretendeva dagli uomini al suo comando una forza non solo di volontà ma anche fisica che andava talvolta oltre ogni limite; non riteneva infatti che la resistenza dei suoi soldati potesse essere inferiore alla sua; e questo alla lontana gli sarebbe risultato fatale. La sua era una personalità poliedrica e complicata; non è affatto facile identificarlo con precisione e comprenderne veramente la psiche.
Quello su cui molti storici sembrano però essere d’accordo, è che il giovane generale dalla lunga chioma bionda aveva di sé un’alta opinione tanto da considerarsi una leggenda vivente, e come tale, non solo pretendeva di essere trattato, ma  pensava e agiva proprio in virtù di quest’alta idea che aveva di sé. 
Lo si può notare soprattutto nella cronaca autobiografica che scrisse inizialmente a puntate per la rivista  Galaxy. My life on the Plains7 racconta delle vicende accadute nelle campagne da lui condotte a partire dal 1867 fino al 1874, due anni prima dell’ inizio della campagna militare che sarebbe culminata  con la battaglia del Little Big Horn in cui trovò la morte insieme a tutti i suoi soldati. Leggendo questo che diverrà poi un libro vero e proprio possiamo comprendere la  variegata personalità del generale ragazzo. Custer non appare folle, malvagio , spietato, come a molti piace credere. Qui osserviamo un amante della nazione, della famiglia, rispettoso dei valori e delle tradizioni indiane, ma comunque deciso a portare avanti quel processo di civilizzazione, che  era per lui (come per tutti gli altri cittadini americani del periodo) necessario. Certo questo avrebbe portato alla progressiva scomparsa e sudditanza delle tribù indiane; ma la storia  doveva seguire il suo naturale corso, Custer non poteva sottrarvisi, e non merita certo di essere condannato, senza appello, per un pensiero comune agli uomini del suo tempo. Appare quindi necessario leggere Custer per capirlo appieno; non leggere di Custer. Anche chi scrive ha le sue opinioni su quest’uomo, forse non condivisibili da tutti, ma proprio per questo vale l’invito poco prima espresso. Con la sua autobiografia giungiamo così al capitolo finale della sua vicenda storica.
Custer aveva disperatamente bisogno di una gloriosa vittoria come quelle del passato; perché? Innanzitutto per fornire nuova linfa al culto di se stesso come grande condottiero; altri ritengono invece che il partito repubblicano, stanco del presidente Ulysses S. Grant, travolto tra l’altro da alcuni scandali, e che aveva indirettamente avuto qualche scaramuccia con lo stesso Custer, volesse candidarlo alla presidenza degli Stati Uniti. Ci interessa poco, e non faremmo altro che ripetere eventi stranoti e poco utili ai fini di questa narrazione. Custer ottenne come comandante in seconda la guida del VII Cavalleria del Kansas, pronto a marciare verso il destino. Cosa andò storto quel 25 giugno del 1876? Forse l’arroganza del generale, che decise di suddividere in più tronconi il suo squadrone? Forse la stanchezza degli uomini, a cui Custer concedeva poco? Forse il fatto che i rinforzi non arrivarono per tempo? Ma sarebbero veramente stati utili? Forse il fatto che nessuno, e dico nessuno, si sarebbe aspettato di vedere unite insieme per la prima e ultima volta nella storia indiana così tante tribù e così ben organizzate secondo una valida disciplina militare? Il 25 giugno del 1876 morì l’uomo, ma  nacque il mito; non importa se meritato o meno. A parere di chi scrive il peggior nemico di Custer fu proprio se stesso. Affrontare il suo io non era mai stato facile. Si può perciò supporre che egli bramasse una morte valorosa proprio perché questa lo avrebbe reso eterno? Chissà allora se il Little Big Horn fu davvero la sua disfatta oppure la sua apoteosi.

 


 

:: note ::

1. Robert Siodmack, Custer eroe del west, USA, 1968.
 

2. 
Arthur Penn, Piccolo Grande Uomo, USA, 1969.
 

3. 
Robert Altman, Buffalo Bill e gli indiani, USA, 1976.
 

4. 
George Pan Cosmatos, Tombstone, USA, 1993.
 

5. 
Lawrence Kasdan, Wyatt Earp, USA, 1994.
 

6. 
Walter Hill, Wild Bill, USA, 1995.
 

7. 
George Armstrong Custer, La mia vita nelle Grandi Pianure, Mondadori, Milano, 1997.