Per chi oggi ha il non semplice compito di esaminare e
giudicare con il senno di poi determinati avvenimenti del
passato, appare difficile essere sempre imparziali sugli eventi
(positivi o negativi che siano) che hanno plasmato la storia presente e
forse chissà anche quella futura
dell’umanità. Difficile si
diceva essere imparziali; in questa breve trattazione lo
sarà forse ancor di più. Qui infatti si vuol
cercare di dare una breve interpretazione della vita ma anche forse
della morte di uno dei più controversi pilastri della storia
degli Stati Uniti; si parlerà del ragazzo d’oro
dell’ esercito americano dell’epoca: colui che fu
ribattezzato “deretano duro” e
“capelli lunghi” dagli indiani, che cercava
più che di sottomettere, di comprendere. Qui si
tratterà di un idealista e amante della natura, ma anche di
un uomo capace di uccidere senza esitazioni e a sangue freddo; di
pretendere dagli uomini che comandava nulla di più di quello
che pretendeva da se stesso (forse troppo): disciplina e resistenza. Un
uomo che si spinse oltre i limiti diventando una leggenda
già poco più che ventenne. Starà al
lettore giudicare se il generale George A. Custer fosse davvero una
leggenda oppure un folle. Su di lui fiumi e fiumi di parole
sono state scritte, biografie contrastanti, che non hanno sempre dato
una definitiva opinione sul cacciatore di indiani. A Custer sono stati
dedicati città e parchi; tutto fatto più per
esaltare la storia degli Stati Uniti, che per celebrare un valido
ufficiale. Anche il cinema ha dedicato alcune delle sue pagine al
nostro senza però distaccarsi troppo dal cliché
del soldato duro e ottuso; questo ha chiaramente contribuito a farne un
eroe più negativo che positivo. Appare qui necessario citare
almeno un paio di film tra i più recenti: Custer
eroe del west1 e Piccolo Grande Uomo2.
Le due pellicole mostrano la percezione, da parte degli
americani di quegli anni, verso gli aspetti più critici del
proprio passato. Anche se con modalità differenti il primo
presenta un Custer difensore degli indiani, il secondo al contario
riflette il bisogno di riscrivere la propria storia. D’altra
parte sono state molte le pellicole dedicate a personaggi del Far
West. Vale la pena citare il famoso Buffalo Bill
di Robert Altman3, ma anche i più recenti Tombstone4 e Wyatt Earp5 (dedicati entrambi a
quest’ultimo), e ancora il sottovalutato Wild Bill6,
con uno straordinario Jeff Bridges. Ognuno di questi film ha
evidentemente suscitato opinioni differenti, che hanno, in taluni casi,
condannato indegnamente o il regista o l’attore protagonista. Con
questa breve digressione si vuole solo sottolineare come i mezzi di
comunicazione di ogni genere, pur avendo avuto il merito di tener vivo
nella memoria storica determinate icone della frontiera americana, non
sono sempre stati generosi verso i personaggi che andavano a
rappresentare, dandone una rappresentazione lievemente distorta, vuoi
per errate interpretazioni, vuoi per determinati pregiudizi, vuoi per
esigenze di copione. Custer ovviamente non fa eccezione. Ma
perché? Già all’epoca egli era
considerato un individuo particolarmente impulsivo, poco dedito al
compromesso, troppo (davvero troppo!) pieno di sé; un
ufficiale difficilmente inquadrabile e controllabile, a cominciare dai
suoi stessi superiori, che non avevano piena fiducia in lui proprio a
causa del suo carattere, ora tranquillo e affidabile, ora spinto da una
foga militaresca derivante dalla sua voglia di dar sfogo a uno
smisurato ego che rischiava di mettere in pericolo anche gli uomini al
suo comando. Sopra ogni altra cosa però, colpì
ovviamente la sua tragica disfatta finale che, se da un lato fu motivo
di rinvigorimento della politica di sottomissione nei confronti dei
nativi americani, dall’altro forgiò il mito del
giovane militare fanatico che spara prima di pensare. Non è
così.
Come si vedrà più avanti chiunque al suo
posto avrebbe subìto una disastrosa sconfitta. Custer resta
perciò un valido ufficiale nonché un uomo
fondamentalmente onesto; il vero interrogativo da porsi è
quanti registi o scrittori si siano fatti trascinare più dal
mito che dalla realtà. Forse la fiction richiede
più la fantasia che la verità per raccontare le
sue storie. Ma ora è tempo di continuare ad analizzare la
figura dello sterminatore di indiani. Il giovane e
indisciplinato cadetto di West Point si distinse infatti già
a soli ventitrè anni comandando una brigata di cavalleria
unionista durante la triste esperienza della sanguinosa guerra civile e
lì fu nominato generale di brigata. Iniziò la sua
leggenda; ma anche l’amore dolce e premuroso per la sua
futura moglie Elizabeth “Libbie” Bacon. Erano anche
gli anni della straordinaria e purtroppo infelice duplice presidenza di
Abraham Lincoln. Delle idee politiche del giovane Custer poco ci
interessa, anche se hanno avuto peso nella sua tragica fine. Pare che
egli nascesse democratico ma che non sembrasse favorevole
all’abolizione della schiavitù. Non
appare qui necessario dilungarsi troppo approfonditamente sulla
biografia del nostro; se il lettore vorrà potrà
trovare varie biografie (un po’ troppo dure nei confronti del
giovane generale). La vita di quest’uomo fu, come quella di
tutti, costellata da successi e insuccessi; dalla gloriosa esperienza
della guerra civile che fece di lui e della moglie una delle coppie
più famose di Washington, a periodi in cui si
trovò in situazioni di ristrettezze economiche, cosa che per
il suo orgoglio fu peggio che ricevere una fucilata. Nonostante avesse
alla fine della guerra perso il grado di generale, continuava a
considerarsi tale e a farsi chiamare così, vestendo anche
una divisa piuttosto inusuale per un ufficiale di cavalleria,
che pare egli stesso avesse ideato. Non rispettava molto le gerarchie,
ma pretendeva che gli uomini al suo comando rispettassero lui. Era un
fautore della ferrea disciplina militare che applicava in maniera
severa. Pretendeva dagli uomini al suo comando una forza non solo di
volontà ma anche fisica che andava talvolta oltre ogni
limite; non riteneva infatti che la resistenza dei suoi soldati potesse
essere inferiore alla sua; e questo alla lontana gli sarebbe risultato
fatale. La sua era una personalità poliedrica e complicata;
non è affatto facile identificarlo con precisione e
comprenderne veramente la psiche. Quello su cui molti storici
sembrano però essere d’accordo, è che
il giovane generale dalla lunga chioma bionda aveva di sé
un’alta opinione tanto da considerarsi una leggenda vivente,
e come tale, non solo pretendeva di essere trattato, ma
pensava e agiva proprio in virtù di quest’alta
idea che aveva di sé. Lo si
può notare soprattutto nella cronaca autobiografica che
scrisse inizialmente a puntate per la rivista Galaxy.
My life on the Plains7 racconta delle vicende
accadute nelle campagne da lui condotte a partire dal 1867 fino al
1874, due anni prima dell’ inizio della campagna militare che
sarebbe culminata con la battaglia del Little Big Horn in cui
trovò la morte insieme a tutti i suoi soldati. Leggendo
questo che diverrà poi un libro vero e proprio possiamo
comprendere la variegata personalità del generale
ragazzo. Custer non appare folle, malvagio , spietato, come a molti
piace credere. Qui osserviamo un amante della nazione, della famiglia,
rispettoso dei valori e delle tradizioni indiane, ma comunque deciso a
portare avanti quel processo di civilizzazione, che era per
lui (come per tutti gli altri cittadini americani del periodo)
necessario. Certo questo avrebbe portato alla progressiva scomparsa e
sudditanza delle tribù indiane; ma la storia
doveva seguire il suo naturale corso, Custer non poteva sottrarvisi, e
non merita certo di essere condannato, senza appello, per un pensiero
comune agli uomini del suo tempo. Appare quindi necessario leggere
Custer per capirlo appieno; non leggere di Custer. Anche chi scrive ha
le sue opinioni su quest’uomo, forse non condivisibili da
tutti, ma proprio per questo vale l’invito poco prima
espresso. Con la sua autobiografia giungiamo così al
capitolo finale della sua vicenda storica. Custer aveva
disperatamente bisogno di una gloriosa vittoria come quelle del
passato; perché? Innanzitutto per fornire nuova linfa al
culto di se stesso come grande condottiero; altri ritengono invece che
il partito repubblicano, stanco del presidente Ulysses S. Grant,
travolto tra l’altro da alcuni scandali, e che aveva
indirettamente avuto qualche scaramuccia con lo stesso Custer, volesse
candidarlo alla presidenza degli Stati Uniti. Ci interessa poco, e non
faremmo altro che ripetere eventi stranoti e poco utili ai fini di
questa narrazione. Custer ottenne come comandante in seconda la guida
del VII Cavalleria del Kansas, pronto a marciare verso il destino. Cosa
andò storto quel 25 giugno del 1876? Forse
l’arroganza del generale, che decise di suddividere in
più tronconi il suo squadrone? Forse la stanchezza degli
uomini, a cui Custer concedeva poco? Forse il fatto che i rinforzi non
arrivarono per tempo? Ma sarebbero veramente stati utili? Forse il
fatto che nessuno, e dico nessuno, si sarebbe aspettato di vedere unite
insieme per la prima e ultima volta nella storia indiana
così tante tribù e così ben
organizzate secondo una valida disciplina militare? Il 25 giugno del
1876 morì l’uomo, ma nacque il mito; non
importa se meritato o meno. A parere di chi scrive il peggior nemico di
Custer fu proprio se stesso. Affrontare il suo io non era mai stato
facile. Si può perciò supporre che egli bramasse
una morte valorosa proprio perché questa lo avrebbe reso
eterno? Chissà allora se il Little Big Horn fu davvero la
sua disfatta oppure la sua apoteosi.
:: note ::
1. Robert Siodmack, Custer eroe del west,
USA, 1968.
2. Arthur Penn, Piccolo Grande Uomo,
USA, 1969.
3. Robert Altman, Buffalo Bill e gli indiani, USA, 1976.
4. George Pan Cosmatos, Tombstone, USA, 1993.
5. Lawrence Kasdan, Wyatt Earp, USA, 1994.
6. Walter Hill, Wild Bill, USA, 1995.
7. George Armstrong Custer, La mia vita nelle Grandi Pianure, Mondadori, Milano, 1997.
|