Sweeney Todd. Il barbiere di Fleet Street
di Tim Burton
L’operazione che Tim Burton effettua nel suo Sweeney Todd, la storia di un efferato serial killer, un barbiere che uccide i suoi clienti sullo scenario di una Londra vittoriana, è spostare il focus percettivo del racconto concentrandosi sugli aspetti oscuri, rimossi, perturbanti della fiaba. Burton agire sui regimi della focalizzazione narrativa con sapiente maestria, adottando un registro come di consueto cupo ma allo stesso tempo affascinante e seduttivo, lavorando sugli scarti dell’immaginario fiabesco mitteleuropeo del primo Ottocento e concentrando l’attenzione dello spettatore su tutti quegli aspetti che la tradizione del racconto per bambini tende a trascurare. Se i temi sono quelli della fiaba, ciò che rende “adulto” Sweeney Todd, nato come musical in teatro e già diventato film di culto, è portare questi elementi in superficie, trasformandoli in assoluti protagonisti di un film che è Burton all’ennesima potenza. Immaginate di poter prendere l'ambientazione gotico-vittoriana, la fisionomia caricaturale dei personaggi, l'illuminazione, il colore, l'atmosfera dimessa de La Sposa Cadavere, e di riproporla in un film con attori in carne e ossa. Avrete così una messa in scena visivamente ricchissima, un Johnny Depp in un personaggio che sembra un po' Beethoven con i capelli di Crudelia Demon e un po' il Jack Nicholson di Shining, avrete una monotonia cromatica rotta dal rosso del sangue, un sangue vivo ma irreale almeno quanto quello di Kill Bill, e sospesa nel geniale e ironico interludio a colori del sogno a occhi aperti. Avrete, in definitiva, una favola messa sottosopra, vista con gli occhi dei cattivi, quei cattivi che tuttavia fino alla fine non perderanno del tutto quell’aura affascinante e la natura un po’ seducente del male. Giorgio Signori |
regia Tim Burton
titolo Sweeney Todd.
Il barbiere di Fleet Street paese Usa
casa di produzione Warner Bros
principali interpreti
Helena Bonham Carter, Johnny Depp, Alan Rickman |
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Il giro del mondo in etichetta
a cura di Paola Basile e Thelma Gramolelli
L’inizio del turismo di massa, nato con il pieno sviluppo della seconda rivoluzione industriale, portò a un’estensione del raggio d’azione dei viaggiatori (e del loro numero). Si passa dal classico grand tour in voga nel Seicento/Settecento, pressoché appannaggio di nobili inglesi in viaggio verso l’Italia, a un più ampio tour d’Europe. Trovò nuova linfa anche la travel literature, genere moderno originatosi nel Cinquecento, che produsse anche forme inedite di narrazione. Già, perché è vero che l’etichetta d’albergo fu sostanzialemente un medium pubblicitario, ma la sua valenza di souvenir e le tecniche spesso imparentate anche con le avanguardie artistiche le conferiscono sicuramente lo statuto di dispositivo narrativo. A questo mondo delle meraviglie del viaggiare è dedicato il nuovo catalogo proveniente dal Museo della figurina di Modena (vedi Quaderni D’Altri Tempi n. XI), come sempre ottimamente illustrato e documentato. Un’arte minore estinta, ma che vale la pena di visionare, quella delle etichette d’albergo. Oggi se ne conoscono circa quarantamila, documenti di una storia ufficialmente iniziata nell’inverno 1885-1886, quando una venne incollata alla valigia del membro di Le vieux papier, M. Laglassè, ospite in quella stagione dell’Hotel Royal di San Remo. Non è una delle etichette più antiche, ma è tra le prime di cui è noto che venne attaccata al bagaglio di un viaggiatore. In realtà di cartoncini riproducenti vedute, scorci, ambienti e riportanti almeno nome e indirizzo di un albergo si iniziò a produrne sicuramente a partire dagli anni 60 del secolo XIX. Il tramonto di quest’arte si colloca tra le due guerre a causa delle frequenti trasformazioni degli alberghi in dormitori o ospedali (Svizzera esclusa), sparendo del tutto negli anni Sessanta, tranne che dagli alberghi dell’URSS e dell’Europa dell’Est in genere, dove perdurarono fino agli anni Ottanta. Insomma, per dirla con Evelyn Waugh, l’etichetta d’albergo apparteneva al tempo in cui “viaggiare era un piacere”. Gennaro Fucile |
a cura di Paola Basile e Thelma Gramolelli
titolo
Il giro del mondo in etichetta. Le etichette del Museo della figurina
editore Museo della figurina,
Modena, 2008
pagine 199
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