Veniamo a un’altra questione: la tua
frequentazione del mondo della cultura mediterranea, come traduttore e
operatore culturale. Possiamo ragionare su una
cultura mediterranea, o è più logico parlare di
una pluralità di culture? E a partire da quali parametri? Ovviamente
non si può parlare di UNA cultura mediterranea , ma nemmeno
di tante culture ognuna diverse dall’altra. Ci sono matrici
comuni molto forti nel mondo mediterraneo e che hanno a che fare con la
Grecia, con le traduzioni dall’arabo e in arabo di scrittori
e scienziati, con gli scambi culturali, scientifici e mercantili, con i
matrimoni misti… e con le dominazioni culturali e
politiche. Credo quindi che si debba sempre parlare di Sfaccettature
culturali.
Sempre su un tema simile: la cultura
islamica, o le culture islamiche? L’Islam
è Unico e Unificante, ma è
una religione. Credo che la cultura di una nazione sia qualcosa di
più complesso. Naturalmente poiché
l’Islam è una religione del quotidiano, nei fatti
di tutti i giorni e quindi anche nella cultura, non si può
prescindere dall’essere musulmano, anche per gli atei che
sono numerosissimi in tutto il mondo musulmano.
Da sempre, ma specialmente negli ultimi decenni,
l’area del Mediterraneo è luogo di conflitti
feroci e – a volte sembra – privi di soluzione,
anzi, destinati a durare all’infinito. Possiamo immaginare un
rapporto fra i fenomeni di globalizzazione e l’acuirsi della
conflittualità nell’area? E quanto concorrono le
differenze fra culture a farla prosperare? Credo che
questi conflitti scemeranno solo con l’inaridirsi dei pozzi
petroliferi. Per quanto riguarda i conflitti interni
all’Islam tra Sunniti e Sciiti, o le differenze culturali,
più che la globalizzazione potrà la
glocalizzazione, il rispetto per il locale che diventa globale. Ma
quando mai sono state le differenze culturali a scatenare guerre o
conflitti più o meno locali?
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Veniamo al tuo lavoro: Un paio di occhiali.
La storia di una bimba napoletana che ci vede pochissimo, ma quando le
viene regalato un paio di occhiali e scopre quanto è brutta
la realtà che le sta intorno, decide che è meglio
lasciar da parte gli occhiali, e smettere di vedere. Bella storia,
triste ma profetica. Di quanto è tributaria al racconto
della Ortese da cui è tratto? Il problema
della fedeltà al testo nella trasposizione da un linguaggio
all’altro, in questo caso dalla narrativa al cinema, non mi
è mai interessato. Il bellissimo racconto della Ortese
è stato da me molto rimaneggiato, sono state tagliate scene,
personaggi, aggiunti altri e, soprattutto, cambiato il finale. Eppure
credo che il senso profondo del racconto,
l’insopportabilità della realtà, sia
tutto lì.
Ed ora, il festival I Corti dal Mondo.
Puoi spiegarcene i sensi? È
semplice. Avevo bisogno di dare concretezza a questo mio bisogno di
conoscere meglio e far conoscere meglio certi Paesi che, o vengono
presentati in modo troppo fazioso, come è successo per
l’Iran e di cui mi sono occupato nella prima edizione, o
superficialmente come succede per il Marocco, Paese ospite in questa
seconda edizione, di cui si conoscono solo, da turista frettoloso,
Agadir o alcune città Imperiali come Fes o Marrakech.
I
Corti dal Mondo vorrebbe essere un momento di approfondimento
rispetto a sistemi di valori di altri Paesi e che molto hanno in comune
con noi italiani, per questo I Corti dal Mondo
è dedicato ogni anno ad un Paese di cui si
cercherà di capire quanto più possibile
attraverso cinema, letteratura, incontri e quant’altro le
istituzioni mi consentano di fare, viste le esigue economie di cui disponiamo.
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