Memoria
3.0: dalla pagina web al database totale | |
di Dario De Notaris | |
“640kb
dovrebbero bastare per chiunque”. A esprimere questa
affermazione fu Bill Gates nel 1981, riferendosi all’impossibilità del sistema
MSDOS di gestire un carico di memoria superiore nonché della non necessità di
tale gestione. A distanza di 26 anni, non ci si esprime più in termini di
kilobyte ma di terabyte: si pensi che in 1 terabyte di dati possono essere
immagazzinati circa 1.400 CD-Rom o 212 DVD da 4,7 GB. Perché questa corsa ad aumentare
la memoria? Perché la profezia di Gates non si è verificata? La questione è che
negli ultimi 20 anni sono cambiate molte cose nel settore dell’informatica e in
quello sociale.
Il rapporto dell’uomo con la tecnologia è sempre stato
legato alla ricerca di un risparmio di tempo e di spazio. L’invenzione della
ruota, così come degli altri mezzi di spostamento (navi, auto, aerei), era
finalizzata al percorrere lunghe distanze in meno tempo. Anche l’invenzione di
armi da caccia più sofisticate avevano lo stesso fine: catturare la preda, che
in alcuni casi poteva essere più veloce dell’essere umano, in meno tempo. Ma
l’invenzione dei mezzi di locomozione si muove su binari paralleli a quelli
della comunicazione. Come scrive Patrice Flichy[1], “nella
storia si è spesso sentito il bisogno di sistemi di comunicazione più veloci e
che potessero raggiungere pubblici più ampi. Si sono sperimentate molte forme
sociali nuove per trovare modi di utilizzo delle tecnologie in via di
sviluppo”. L’utilizzo o meno di questi mezzi, li ha fatti sostituire e
sopravvivere alle generazioni. Il telefono ha una lunga storia alle spalle, ma
il suo fine (valido tutt’oggi) era quello di mettere in contatto persone
distanti tra di loro in tempo reale. Anche la radio, prima, e la televisione,
poi, avevano la stessa missione: trasmettere un messaggio ad un pubblico vasto,
sia numericamente che geograficamente. Accorciare le distanze, spaziali e
temporali. A partire dagli anni Ottanta l’industria tecnologica ha compiuto
passi rapidi, sempre per cercare di battere tali distanze: e non solo sulla
Terra stessa, ma anche al di fuori di essa. Si pensi alle missioni spaziali.
L’invenzione di internet, ovvero il collegamento di due computer distanti tra
loro, risale al 1969, ma bisognerà attendere il 1991 affinché diventi il Web
che conosciamo noi oggi: una serie di pagine collegate tra loro attraverso
delle parole chiave, dei link. Nasce la Rete, intesa come una fitta connessione di
computer e di pagine: quindi di informazioni. Nel momento in cui si dovevano
trasmettere dati, ovvero bit, ovvero informazioni, tra tutti questi computer,
era necessario che tali computer fossero dotati di sistemi di memorizzazione
superiori ai 640kb: basti pensare che un – ormai vecchio – floppy contiene
1,44Mb ovvero poco più del doppio delle aspettative di Gates. La programmazione
di sistemi operativi e comunque software in generale, negli anni Ottanta si
muoveva sull’economia di spazio: era necessario programmare avendo un limite di
un floppy. Allora, qualcuno forse se ne ricorderà, Ms-Dos come le prime
versioni di Windows e dei sistemi Apple, venivano distribuiti su numerosi
floppy. Con lo sviluppo tecnico e la realizzazione delle memorie di massa,
anche i software sono migliorati: si è passati dall’interfaccia testuale a
quella grafica, evidentemente più esosa di risorse. Oggi i software vengono
distribuiti su CD/DVDRom, se non scaricati direttamente da internet. E parliamo
di una media di 1Gb a software, senza supporto materiale ma liquido. Si è soliti fare questo esempio: dieci anni fa per
scrivere una relazione, una ricerca, era necessario muoversi fisicamente e
recarsi in una biblioteca;[2] poi
cercare da indici cartacei i libri che potevano interessarci; dovevamo leggerli
rapidamente per capire se effettivamente contenevano ciò che cercavamo. Oggi,
comodamente a casa nostra, accendiamo il computer, inseriamo delle parole
chiave e ci vengono restituite numerose informazioni legate a tali termini.
Abbiamo un accesso all’informazione più rapido: discreto in quanto possiamo
saltare da un’informazione all’altra senza dovercele leggere tutte. Certo, il
problema oggi è quello del filtraggio delle informazioni, l’ipertinenza della
quale parla Derrick de Kerckhove. E per risolvere questo ostacolo, negli ultimi
anni si è cercato di organizzare questi dati. Facciamo un nuovo passo indietro, per mostrare come
l’organizzazione delle informazioni non sia stata certo un problema solo del
web. Millenni fa alcune popolazioni si resero conto che era difficile ricordare
tutto, tramandarsi tutte le leggende, le norme, i valori, le credenze, di
generazione in generazione, oralmente. Si iniziò con lo stilare delle liste,
dei semplici archivi, di merci, di persone. Si passò poi alla scrittura delle
Leggi. Poi si cominciò a scrivere i propri pensieri, così che tutti potessero
leggerli. Con l’invenzione, secoli dopo, della stampa, si risolse anche qui il
problema della diffusione: tutti potevano avere copia di un libro, fedele
all’originale nei contenuti e non più vittima di errori amanuensi, ovunque
fossero. Il cerchio si chiude e nuovamente, con il web, questa disponibilità
nello spazio e nel tempo si ripresenta in miglior modo. Ma la connessione con
l’organizzazione delle informazioni nel web è da rintracciare nel fatto che il
primo uso della scrittura fu proprio quello di archiviare degli oggetti o delle
persone: di listarli. L’archiviazione elettronica è collegata ad una parola
chiave: database. Tutto ciò che esiste al mondo può essere catalogato,
etichettato, archiviato: in una sola parola, conservato. E successivamente
recuperabile, in qualsiasi momento. Ma, come abbiamo scritto prima, la ricerca
non è poi così ottima e facile. Troppe sono le informazioni e il computer non è
una mente umana: non è in grado di vedere tutte le proprietà e i contenuti di
un’informazione, di un file, se non gli vengono fornite. Dall’uomo.
[1] Flichy P. (1994) Storia della comunicazione moderna, Baskerville, Bologna
[2] de Kerkchove, D. (2005) Everthing is Miscellaneous, ciclo di incontri seminariali “Advanced
Dis-Course on Digital Culture”, Università degli Studi di Napoli Federico II,
Capri 3-5 Giugno (riportato in Buffardi, A. (2006) Web Sociology. Il sapere nella Rete, Carocci, pag. 86)
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