Das
Leben Der Anderen
è senza dubbio uno dei casi cinematografici dell’anno. E
non tanto perché ha vinto l’Oscar come miglior film in lingua
straniera, quanto per la sua capacità di sferrare, senza peraltro
mai utilizzare la facile ed accattivante arma della retorica, un
poderoso attacco ai regimi politici oppressivi e liberticidi. La
storia, raccontata in modo asciutto e lineare dall’esordiente
Florian Henckel von Donnersmarck, è ambientata in una Berlino
ancora divisa in due dal muro e sottoposta al governo dittatoriale
della Deutsche Demokratische Republik.
La
pellicola tuttavia si propone non solo di colpire le terribili
condizioni nella quale hanno vissuto per alcuni decenni del secolo
XX gli abitanti della Germania Est, ma di attaccare soprattutto,
come si accennava poc’anzi, la dittatura in senso generale.
Questa interpretazione è confermata anche da alcune citazioni
(per quanto in realtà queste potrebbero essere considerate a loro
volta, e non a torto, come delle nostre personalissime
interpretazioni) presenti nella pellicola. La prima, la più
evidente, è l’anno in cui si svolgono la gran parte degli
avvenimenti del film, ossia, come nel capolavoro orwelliano, il
1984. La seconda invece si riferisce alla scena in cui uno
strepitoso Ulrich
Mühe
dialoga in un ascensore con un bambino incontrato per caso. Anche
in questo caso il film sembra richiamare il celebre passo di Nineteen Eighty-Four
dove tra l’altro Orwell cita a sua volta il Kafka del Der
Prozess,
altro testo chiave che analizza le derive prodotte dagli eccessi
dell’autoritarismo.
Nel
film il capitano Gerd Wiesler è un agente del Ministerium für
Staatssicherheit, conosciuto più comunemente con l’espressione
Stasi, specializzato in interrogatori e sorveglianza di sospettati
politici. Wiesler però non è solo un agente della Stasi, ma è
soprattutto un idealista che ama il suo paese e l’ideologia che
esso rappresenta.
In
forme diverse anche la sua “vittima” Georg Dreyman, regista
teatrale di talento e osannato dalla critica di regime, crede
fermamente nel progetto socialista della DDR. Con lo svilupparsi
della storia, sia in Wiesler sia in Dreyman si verifica un vero e
proprio “dis-piegamento” (etimologicamente l’atto di
eliminare le pieghe, le parti nascoste) sulle drammatiche
condizioni in cui è ridotto il loro paese. Vittima e carnefice in
tal modo perdono i loro rispettivi ruoli e, pur restando
materialmente sempre lontani l’uno dall’altro (tra i due non
avverrà mai nessun contatto fisico), impareranno in tempi e modi
diversi ad apprezzarsi e a stimarsi reciprocamente. La loro
crescita individuale avrà però per entrambi un prezzo da pagare
altissimo: Dreyman perderà la compagna che ama, Wiesler il
lavoro, unico vanto all’interno di una esistenza vuota ed
anonima. Il film si chiude simbolicamente in una libreria, uno dei
templi moderni della cultura ma anche della sua sottomissione alle
logiche del mercato (per molti aspetti la forma di dittatura più
diffusa attualmente in Occidente), dove Wiesler ottiene quel
riconoscimento che non aveva mai avuto, e che anzi gli aveva fatto
perdere il lavoro, per la sua ultima missione come agente della
Stasi.
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