Le vite degli altri, (Das Leben Der Anderen)
di
Florian Henckel von Donnersmarck
Durata: 2h e 17'
Distributore:
Distribution srl
Paese e anno di produzione: Germania 2006

 

 

 

 

 





 

 

 

Le vite degli altri, (Das Leben Der Anderen) di Florian Henckel von Donnersmarck  

 

Das Leben Der Anderen  è senza dubbio uno dei casi cinematografici dell’anno. E non tanto perché ha vinto l’Oscar come miglior film in lingua straniera, quanto per la sua capacità di sferrare, senza peraltro mai utilizzare la facile ed accattivante arma della retorica, un poderoso attacco ai regimi politici oppressivi e liberticidi. La storia, raccontata in modo asciutto e lineare dall’esordiente Florian Henckel von Donnersmarck, è ambientata in una Berlino ancora divisa in due dal muro e sottoposta al governo dittatoriale della Deutsche Demokratische Republik.

La pellicola tuttavia si propone non solo di colpire le terribili condizioni nella quale hanno vissuto per alcuni decenni del secolo XX gli abitanti della Germania Est, ma di attaccare soprattutto, come si accennava poc’anzi, la dittatura in senso generale. Questa interpretazione è confermata anche da alcune citazioni (per quanto in realtà queste potrebbero essere considerate a loro volta, e non a torto, come delle nostre personalissime interpretazioni) presenti nella pellicola. La prima, la più evidente, è l’anno in cui si svolgono la gran parte degli avvenimenti del film, ossia, come nel capolavoro orwelliano, il 1984. La seconda invece si riferisce alla scena in cui uno strepitoso Ulrich Mühe dialoga in un ascensore con un bambino incontrato per caso. Anche in questo caso il film sembra richiamare il celebre passo di Nineteen Eighty-Four dove tra l’altro Orwell cita a sua volta il Kafka del Der Prozess, altro testo chiave che analizza le derive prodotte dagli eccessi dell’autoritarismo.

Nel film il capitano Gerd Wiesler è un agente del Ministerium für Staatssicherheit, conosciuto più comunemente con l’espressione Stasi, specializzato in interrogatori e sorveglianza di sospettati politici. Wiesler però non è solo un agente della Stasi, ma è soprattutto un idealista che ama il suo paese e l’ideologia che esso rappresenta.

In forme diverse anche la sua “vittima” Georg Dreyman, regista teatrale di talento e osannato dalla critica di regime, crede fermamente nel progetto socialista della DDR. Con lo svilupparsi della storia, sia in Wiesler sia in Dreyman si verifica un vero e proprio “dis-piegamento” (etimologicamente l’atto di eliminare le pieghe, le parti nascoste) sulle drammatiche condizioni in cui è ridotto il loro paese. Vittima e carnefice in tal modo perdono i loro rispettivi ruoli e, pur restando materialmente sempre lontani l’uno dall’altro (tra i due non avverrà mai nessun contatto fisico), impareranno in tempi e modi diversi ad apprezzarsi e a stimarsi reciprocamente. La loro crescita individuale avrà però per entrambi un prezzo da pagare altissimo: Dreyman perderà la compagna che ama, Wiesler il lavoro, unico vanto all’interno di una esistenza vuota ed anonima. Il film si chiude simbolicamente in una libreria, uno dei templi moderni della cultura ma anche della sua sottomissione alle logiche del mercato (per molti aspetti la forma di dittatura più diffusa attualmente in Occidente), dove Wiesler ottiene quel riconoscimento che non aveva mai avuto, e che anzi gli aveva fatto perdere il lavoro, per la sua ultima missione come agente della Stasi.

     Recensione di r.c.