Attivi da
dieci anni, i norvegesi Supersilent pubblicano un nuovo album
registrato in studio a circa un lustro di distanza da “6”. Anche
in questa occasione i quattro hanno utilizzato lo studio
Athletic Sound di Halden, estraendo 68 minuti da circa cinque
ore di musica. In un primo momento, infatti, si era pensato a un
doppio o addirittura triplo album, poi si è optato per il
singolo. D’altra parte i Supersilent esordirono proprio con un
triplo, “1-3”, che inaugurò la Rune Grammofon. A far da ponte
tra i due cd, il live su supporto dvd “7” uscito nel 2006. Anche
a chi nulla sa di questo quartetto, non sarà sfuggito che i
Supersilent molto semplicemente denominano i dischi con un
semplice numero progressivo. Non è tutto, non amano i fronzoli.
Anche le tracce sono una progressione numerica e in questo caso,
essendo 8 anche i brani, si intitolano 8.1, 8.2,
8.3, e così via. Non amano neanche dilungarsi troppo
nelle note di copertina, anzi i pack sono a dir poco spartani,
con informazioni striminzite in corpo minuscolo.
Insomma,
qui conta solo la musica del collettivo, sembrano voler dire, e
dal momento che neanche i nomi dei musicisti vengono riportati,
li segnaliamo qui, prima di entrare nel merito della musica di
“8”. Allora, i Supersilent sono: Helge Sten (audio virus e
chitarra), Ståle Storløkken (tastiere e sintetizzatori), Arve
Henriksen (tromba, voce, elettroniche e batteria) e Jarle
Vespestad (batteria).
Hege Sten
è altrimenti noto come Deathprod, nome d’arte impiegato per
firmare lavori elettronici, nonché membro del gruppo rock
Motorpsycho e fondatore della Rune. Henriksen ambisce anche a
una parallela carriera solista, con già 3 album a suo nome più
orientati verso l’ambient/folk. Storløkken ha collaborato tra
gli altri con Raoul Björkenheim e Vespestad a sua volta ha
suonato nel singolare gruppo Farmers Market, norvegesi in buona
parte e per lo più dediti a musiche balcaniche (!!!).
Anche
queste informazioni suggeriscono al profano di essere al
cospetto di una combriccola fuori dal comune, e così è, infatti.
Dopo averci dato dentro con l’elettro jazz del triplo d’esordio,
dopo aver mostrato di aver studiato e amato il Miles Davis più
visionario dei primi Settanta (in “4”), i Supersilent hanno
prima esplorato un possibile ambient jazz (in “5”) e poi hanno
assunto un incedere più epico in “6” e tutto sommato anche in
“7”, a tratti pura trance. Inesausti qui azzardano altro: appena
una citazione per il jazz e fortissimo contrasto tra immateriale
e materico, dialettica sviluppata mettendo in gioco elettronica
e batteria. Tirando le somme, astratti, inafferrabili.
A ben
vedere però la pratica musicale è squisitamente jazzistica, i
Supersilent improvvisano, stanno alla musica elettronica come la
Company stava al jazz. In 8.6 il procedimento è evidente,
nel lento ostruire il tappeto sonoro su cui si libra il falsetto
di Henriksen. Quando il jazz lo citano, come nella traccia
8.4, sembra di ascoltare un Chet Baker meditabondo sul
ciglio di un burrone marziano. Musica misteriosa e spiazzante.
Si prenda 8.5, la traccia più lunga, partenza sincopata,
un robot che prova a fare dello scat, poi tra piccoli tormenti
il suono inizia a librarsi in un crepuscolare ambient.
Atmosferico al massimo, poi per contrasto, esplosione di
violenza apocalittica in 8.7 in preda a un overdose
elettrica. Che sia iniziata l’era del bit bop?
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