L’ultimo viaggio della
fantascienza, | |||||
di Carmine Treanni | |||||
Immaginate che diventi realtà il
più classico degli stereotipi della fantascienza: un alieno atterra sul nostro
pianeta, ma la Terra è stata da tempo abbandonata dall’uomo. L’alieno è
atterrato a Yverdon-les-bains, nella Svizzera
del Canton Vaud, nei pressi dell’edificio che un tempo si
chiama La Maison d’Ailleurs (La Casa dell’Altrove). Attratto dalla
costruzione, il nostro extraterrestre decide di entrare, anche per capire che
fine hanno fatto gli esseri che una volta abitavano quello strano pianeta
grigio (si, ovviamente la Terra è stata abbandonata perché l’uomo l’ha ridotta
in uno stato pietoso, con l’effetto serra che ha devastato l’intera superficie e
l’atmosfera).
Ebbene,
l’alieno si ritroverebbe davanti a manufatti e immagini del futuro: scene di
battaglie spaziali, pistole laser, libri che descrivono universi paralleli e
incredibili pianeti. Davanti a cotanta manifestazione di futuro, il nostro alieno
penserà che la razza che abitava il pianeta era tecnologicamente avanzatissima
e che probabilmente si è trasferita in uno continuum spazio-temporale a lui
ignoto e inaccessibile. La
verità è che il nostro eroe si è semplicemente imbattuto in un museo dedicato
alla fantascienza, uno dei due esistenti al mondo. L’altro si trova a Seattle. Dietro a La Maison d’Ailleurs c’è il
collezionista e appassionato Pierre Versin che concesse, nel 1976, alla
cittadina di Yverdon-les-bains i
suoi memorabilia, al fine proprio di
istituire un museo. Proprio
qualche anno dopo, alla fine degli anni settanta, cominciò a serpeggiare tra
gli studiosi ed appassionati di science fiction un dibattito che circolerà
ciclicamente fino ai giorni nostri. Tale dibattito si impernia fondamentalmente
su una questione che può essere così sintetizzata: la realtà ha vinto sulla
fantasia (fantascienza), oggi viviamo in un mondo pieno di fantascienza (la
tecnologia e la scienza hanno raggiunto vette inimmaginabili e la science
fiction non riesce a speculare efficacemente su tali vette) e di conseguenza la
fantascienza e morta. Quest’ultima affermazione trovava già nel filosofo e
sociologo francese Jean Baudrillard, che ne scriveva proprio alla fine degli
anni settanta, uno dei massimi cantori[1]. Se diamo per buona questa
ipotesi, cioè che la realtà ha superato la science fiction, allora dovremmo
confinare il genere a fenomeno culturale del passato, non più di moda. Degno
dunque di finire in un museo. Ciò che vogliamo sostenere,
tuttavia, è che la fantascienza pur finendo confinato in un museo è in realtà
un “non-luogo”, nell’accezione dell’antropologo Marc Augé, e noi aggiungiamo
“della mente”, ed, in tal senso, è un museo virtuale che viene visitato ogni
giorno da migliaia di appassionati in tutto il mondo. Come? Semplicemente
leggendo un romanzo o un film, guardando un film o un telefilm, assaporando
insomma una delle tante forme assunte nel corso della sua storia da questo
genere della cultura di massa. Musei reali e…. Nell'epoca greca si chiamava
“museo” l’edificio consacrato alle Muse, le nove divinità ispiratrici delle
arti e delle lettere, ed ospitante libri ed opere d’arte. Famoso fu il museo di
Alessandria, creato sotto il re d’Egitto Tolomeo Filadelfo (III secolo AC).
Oggi per museo s’intende: un'istituzione
permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo.
È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze
materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto,
le espone a fini di studio, educazione e diletto.[2] I musei, quindi,
sono ritenuti gli istituti delegati a queste funzioni di conservazione e di
divulgazione della memoria storica di ogni civiltà. In tal senso vanno
intesi anche i due musei dedicati alla science fiction esistenti al mondo. Il
primo lo abbiamo già citato: La Maison
d’Ailleurs a Yverdon-les-bains in Svizzera.
Si tratta di un’istituzione che raccoglie oltre 40.000 libri in decine di
lingue e quasi 20.000 tra documenti e oggetti relativi all’immaginario della
fantascienza: modellini, giochi, figurine e poster. Il fondatore del
museo, come scrivevamo, è Pierre Versin, una
appassionato francese che creò “Allieurs”, una delle prime fanzine in lingua francese.
Dopo un’esposizione della collezione al Kunsthalle di Berna nel 1967, Versin
decise che non era giusto tenere i suoi tesori solo per se stesso. Così offrì
la sua collezione alla città di Yverdon-les-Bains, a patto che ci si adoperasse
per istituire un museo dedicato alla science fiction. L’altro museo della fantascienza si chiama Science Fiction Museum and Hall of Fame e si trova a Seattle.
Il museo
è stato fondato da Paul
Allen, co-fondatore di Microsoft, ed è situato in un’area grande circa 1.200
metri quadri che ospita gli oggetti collezionati da vari appassionati: dalla
sedia del Capitano Kirk dalla serie di Star Trek alla prima edizione di The Time Machine di H.G. Well, dalle
prime edizioni della trilogia Foundation
di Isaac Asimov ad un’ampia
collezione di riviste pulp come Astounding
Science Fiction, ma anche oggetti fantascientifici legati ai voli spaziali,
ai viaggi nel tempo e alle creature aliene. All’interno del museo c’è anche la Hall of Fame
della science fiction, ossia una
serie di monitor in cui scorrono immagini di un famoso personaggio del mondo
fantascientifico (scrittore, regista, illustratore, etc.) e una presentazione
multimediale dello stesso. Dal 1996, anno della
sua fondazione da parte della Kansas City Science Fiction and Fantasy Society
(KCSFFS), la Hall of Fame inserisce,
ogni anno, quattro nomi di maestri che hanno conquistato di diritto un posto
d’onore nella storia della fantascienza e del fantasy. I nomi, come è giusto che sia, vengono scelti tra
personalità viventi e non e a tutt’oggi sono 40, tra scrittori, registi e
artisti in generale. Tra i nomi già inseriti nel Museo, ci sono autori come
Ursula K. Le Guin, Edgar Rice Burroughs, Sir Arthur C. Clarke, Samuel R.
Delany, Jules Verne, e H.G. Wells. … musei della mente Fin qui i musei
reali della fantascienza, ma, come abbiamo già accennato, si può considerare la
fantascienza come un “non-luogo” e come tale un luogo virtuale e postmoderno. Un museo può essere
definito come un “non-luogo”[3],
secondo la definizione dell’antropologo Marc Augé. Con questo neologismo, lo
studioso francese intende spazi che si frequentano in modo fugace, dove non ci
s’incontra, dove l’identità di ognuno di noi viene incessantemente messa in
discussione perché ci si inoltra in spazi in cui agisce una massa anonima.
Quali sono questi luoghi? Le autostrade, gli aeroporti, i mezzi di trasporto, i
centri commerciali, gli ospedali e appunto i musei. Posti che sono sempre
identici a se stessi, in qualsiasi parte del mondo e che proprio per questo ci
tranquillizzano, dopo un primo momento di smarrimento. Luoghi che
appartengono comunque all’immaginario collettivo: sono cioè comuni a gran parte
della cultura e della società occidentale. Lo stesso si può
dire della science fiction. È uno spazio dell’immaginario collettivo, non
fisico, ma che si può definirlo un luogo “della mente”. Se l’immaginario
collettivo si può circoscrivere come una determinata struttura sociale prodotta
in epoche diverse e da diverse società, alla cui creazione partecipano tutti,
ma di cui nessuno ne è in qualche modo proprietario, allora la fantascienza
appartiene di diritto a questo immaginario. In altri termini, l’immaginario
collettivo si pone come categoria fondante del rapporto tra il singolo
individuo e la realtà circostante e consiste nella produzione di criteri di senso,
di valori, di rappresentazioni a cui un’epoca o una società fa riferimento e
fonda le proprie categorie fondamentali e le pratiche individuali e collettive.
Cosa che si può dire anche della fantascienza. Analizzare tale immaginario
significa interrogare il rapporto tra la vita soggettiva e quel complesso di
rappresentazioni, raffigurazioni e immagini che noi stessi contribuiamo a
creare e a valorizzare, e che poi finiscono quasi a nostra insaputa col
costituirci come singoli e come comunità.
Interrogare la
science fiction, studiarne la storia e le sue dinamiche, dunque, significa
interrogarsi sulla società e sulla postmodernità. Valerio Evangelisti,
uno degli scrittori italiani più noti al grande pubblico, ha coniato una
definizione che è anche una riflessione sul genere che si pone esattamente su
questa linea: La fantascienza è una letteratura capace di indagare
anche sulla società e sull’uomo. È uscita dall’ambito strettamente letterario,
fino ad impregnare letteralmente tutto il nostro immaginario, indebolendo
fortemente l’oggetto letterario. Questo vuol dire una supremazia assoluta nel
campo della narrativa di genere, ed una assoluta appartenenza alla cultura del
nostro tempo[4]. Evangelisti
sottolinea tre elementi interessanti: la science fiction è una letteratura che
è in grado di indagare sulla società e sull’uomo[5];
ha impregnato tutto l’immaginario collettivo; questi primi due fatti hanno
indebolito la letteratura in senso stretto. La fantascienza, in
definitiva, può quindi essere definita come un museo mentale, alla cui
formazione partecipano scrittori, lettori, registi, critici letterari e quanti
a vario titolo vi aggiungono nuovi e duraturi manufatti. Un museo che tutti
visitiamo, ogniqualvolta decidiamo di leggere un romanzo o guardare un film.
Pagando, ovviamente, un biglietto per l’ingresso.
[1] Cfr. A
cura di Luigi
Russo, La fantascienza e la critica. Testi del Convegno internazionale di Palermo, Feltrinelli, Milano,
1980
[2]
Definizione tratta
dallo
Statuto dell'International Council of Museums, un’associazione internazionale nata nel 1946 che ha l’obiettivo di far
conoscere e tutelare il patrimonio culturale mondiale.
[3] Marc Augé,
Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano
2005
[4] Carmine Treanni, Valerio Evangelisti, the dark
side of Eymerich, intervista in “Quaderni d’Altri Tempi”, Anno 2 Numero 4, Primavera 2006 (http://quadernisf.altervista.org/numero4/evangelisti1.htm)
[5] Definizione che la redazione di Quaderni condivide,
tanto da averne fatto uno dei motivi fondanti della rivista.
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