|
|
Sulle riviste,
poi, gli stessi romanzi vengono divisi in puntate, sullo stile del feuilleton europeo, per poi essere
ripubblicati in volume. La forma della
narrativa breve – dunque – si sviluppa sulle riviste americane e sperimenta
diverse forme che oggi classifichiamo normalmente in racconto breve, racconto
lungo e romanzo breve. Alcuni autori
trovano proprio nel passo breve la loro peculiarità, il loro habitat naturale,
come ad esempio Robert Bloch, Ray Brandbury e lo stesso Fredric Brown. Ma
l’elenco e molto più lungo. Alla fine degli
anni Quaranta, la fede nella tecnologia e nella scienza è minata
dall’esplosione delle bombe atomiche sul Giappone e dallo scoppio della
cosiddetta “guerra fredda”. Fattori che
influenzano anche la science fiction,
tanto da favorire una nuova svolta in cui il racconto e le riviste sono ancora
protagoniste. All’inizio degli anni Cinquanta, sulla scena editoriale
americana, fanno la comparsa due riviste destinate a dare spazio a nuovi autori
ed ad un nuovo tipo di storie: The
Magazine of Fantasy and Science Fiction (1949) e Galaxy (1950). La prima intendeva offrire ai lettori una
fantascienza più letteraria, soprattutto con storie in cui i personaggi non
fossero banali caratterizzazioni degli esseri umani (del tipo eroe-spaziale-che-salva-principessa), ma
motivo centrale del racconto o del romanzo, con descrizioni psicologiche fino
ad allora rimaste fuori dalla science
fiction scientifico-avventurosa degli anni Quaranta. Galaxy fu la portabandiera della cosiddetta social science fiction, ossia di una fantascienza in cui il
protagonista dei racconti diventavano l’uomo medio, e il suo costante adattarsi
ad una società che si trasforma a ritmi talvolta insostenibili. Su The Magazine of Fantasy and Science Fiction
esordiscono autori come Philip K. Dick e Richard Matheson, mentre Galaxy diventa la patria di scrittori
come Robert Sheckley e il duo Frederik Pohl e Cyril Kornbluth, senza contare
che vi vengono pubblicati romanzi come L’uomo
disintegrato di Alfred Bester e Fahrenheit
451 di Ray Bradbury.
A metà degli anni
Sessanta, alla vigilia della rivoluzione studentesca in Francia e poi in tutto
l’Occidente, è ancora una volta una rivista a ridisegnare un nuovo scenario per
la fantascienza, rinnovandone sia i contenuti sia la forma. In Inghilterra, nel
1964, Michael Moorcock, giovane scrittore inglese, assumeva la direzione della
rivista New Worlds che fece della
sperimentazione pura uno dei suoi cavalli di battaglia, proprio per rinnovare
il genere e portarlo più vicino alla letteratura tout court. Non a caso, tale movimento fu battezzato New Wave, ossia “Nuova Ondata”, proprio
per marcare la differenza con il passato e l’intrinseca novità. Moorcock fu
coadiuvato da autori come Samuel Delany, Roger Zelazny, Thomas Disch, Normand
Spinrad, Harlan Ellison; da autrici che fecero emergere con forza una
fantascienza apertamente femminista, come Joanna Russ e James Tiptree, senza
contare la veterana Ursula K. Le Guin; un maestro come James G. Ballard
teorizzava proprio su New Worlds un
nuovo concetto, quello di inner space
(spazio interno), in contrapposizione a the
outer space, lo spazio esterno della fantascienza classica. Ballard invita
i suoi colleghi a dare una nuova forma alla science
fiction, in grado di orientarsi verso il mondo interiore, quello espresso
da ogni singolo uomo. L’obiettivo è dare vita ad una narrativa ricca di
simboli, ma in grado di penetrare l’inconscio dell’uomo, considerata la nuova
frontiera da superare e scoprire. E non è un caso che Ballard userà proprio il
racconto come forma precipua di questa nuova fantascienza, perché come sostiene
l’autore: “Il
racconto mi piace perché è una specie di romanzo condensato, perché lo
scrittore non può ricorrere a trucchi, non può permettersi di sbagliare nulla:
nemmeno una pagina, un paragrafo, una riga. E poi forse è più adatto del
romanzo a questa nostra era così rapida, effimera”[4]. Il culmine di
questo movimento si avrà nel 1967, quando uno degli scrittori più irriverenti,
al secolo Harlan Ellison, pubblicherà come curatore un’antologia destinata ad
entrare nella storia della fantascienza.
Stiamo parlando di Dangerous Visions,
che per molti ha segnato lo spartiacque tra la fantascienza antica e quella
moderna. Il libro contiene 33 racconti che Ellison ha chiesto ai migliori
scrittori dell’epoca, con un'unica clausola: le storie dovevano essere
provocatorie e toccare temi che fino ad allora erano considerati dei tabù per
il genere, come il sesso, l’omosessualità o la droga. L’intento era quello di
far maturare il genere fantascienza e tirarlo fuori dal “ghetto” editoriale e
di costume in cui si era impantanato. Anche se questo ambizioso risultato non
fu pienamente raggiunto, non c’è dubbio che l’antologia e i suoi autori
contribuirono a frantumare i paradigmi della fantascienza, ad introdurre temi
forti e a proporre una diversa visione del genere tanto agli appassionati tanto
a quella “critica con la puzza sotto il naso”. Bisogna attendere
la metà degli anni Ottanta per incontrare una nuova ondata di rinnovamento del
genere, e non è un caso che dalla metà degli anni Settanta torna in auge la space opera, più matura e moderna, ma
comunque dello stesso genere che si pubblicava tra gli anni Venti e Trenta. Nel 1984,
l’uscita di Neuromante di William
Gibson e nel 1986 l’uscita dell’antologia Mirrorshades
– guarda caso ancora una volta parliamo di racconti – segnano la nascita del Cyberpunk, ossia di una science fiction incentrata sugli incubi
metropolitani di un futuro non troppo lontano dal nostro e amalgamati con le
nuove tecnologie informatiche e la cultura pop. A fare da portavoce al
movimento c’è anche qui, non a caso, una rivista, la Isaac Asimov Science Fiction Magazine, che ospita a più riprese gli
autori più significativi del Cyberpunk:
Bruce Sterling, Rudy
Rucker, Lewis Shiner, John Shirley, Pat Cardigan, Tom Maddox, Marc Laidlaw,
James Patrick Kelly, Greg Bear e Paul Di Filippo. Siamo ad un nuovo
punto di partenza per la science fiction,
che trova ancora una volta forma privilegiata nel racconto. Anche l’attuale
momento che vede protagonista la fantascienza definita post-human – con particolare riferimento all’area scozzese ed ad
autori come Charles Stross, Iain Banks, Ken McLeod – vede proprio nel racconto
un suo punto di forza e ancora una volta nella Isaac Asimov Science Fiction Magazine il posto privilegiato dove
dare corpo a quella che è a tutti gli effetti una nuova fase della storia della
fantascienza.
[4] Gli alieni siamo noi.
Intervista a J.G. Ballard di Enrico Franceschini, tratta da “la Repubblica”,
5 novembre 2003
|
|
[1] (2) |