La Squadra e un po' 
di fenomenologia del suo spirito*

 

di Maria D'Ambrosio

 

 

…esamineremo (…) quel genere di fiabe che cominciano con una lesione o un danno (rapimento, cacciata, ecc.) inferto a qualcuno, o con l’aspirazione a possedere qualcosa (il re invia il figlio a cercare l’uccello di fuoco), e si sviluppa con la partenza dell’eroe dalla sua casa, l’incontro con un donatore che gli offre un mezzo magico o un aiutante con l’aiuto del quale l’eroe trova l’oggetto delle ricerche. Questo tipo di fiaba comprende quindi un duello con l’avversario (la sua forma più importante è quella del combattimento con il drago), il ritorno e l’inseguimento.

Propp, Vladimir J., 1928, Le radici storiche dei racconti di magia, Roma, Newton Compton, 2003, p. 140

Sirene d’auto in corsa. Divise a strisce rosse.  Volti un po’ sdruciti e occhi attenti. Pistole pronte a sparare per agenti sempre in azione: contro criminali e delinquenti. E soprattutto una squadra (di Polizia) che raccoglie il testimone di una città e della sua (in)sicurezza e anima il più antico dei rituali sacri: l’incontro-scontro tra Bene e Male. Con tanto di inseguimenti, ricerche, duelli e fuoco.

Questa l’immagine della Polizia italiana nella fiction TV La Squadra[1], alla sua settima edizione in onda su RAI 3 una volta a settimana (ora il giovedì) in prime time.

L’eroe è l’intera squadra, non un personaggio in particolare (anche se gli spettatori simpatizzano e si orientano ora verso uno, ora verso un altro dei protagonisti[2]). Questo eroe dalle tante teste, è chiamato continuamente in gioco a combattere contro altrettanti draghi dalle tante teste, ovvero a rappresentare le istituzioni, la legalità, e quindi un loro ‘presidio’ nel territorio. Così, a cadenza settimanale, si celebra il rito all’altare mediatico: una sorta di inno alla sicurezza urbana!

L’Ordine si manifesta, si mette in scena, ed esprime drammaticamente la sua contrapposizione al crimine e alle diverse forme che questo assume. Puntata per puntata. Dentro cui prende vita un umano, nonché napoletano, bestiario attraverso cui si snodano le vicende degli eroi in divisa che si intrecciano nel labirinto di una realtà territoriale così difficile da ‘controllare’. Ma ciò che rende gli eroi degni della consacrazione da parte del pubblico è che sono dotati tutti come di un ‘grande occhio’ – di un elemento sovraumano – che guarda dall’alto e riesce a cogliere il tutto e il dettaglio, così da risolvere i casi o da restituire fiducia nel pubblico-celebrante. La grammatica del punto di vista, continuamente mutante – dal primissimo piano al volo d’uccello e viceversa – rende il ritmo serrato e la forma narrativa coinvolgente, lasciando tutti in attesa del miracolo, del magico, dell’happy end, risolutorio e definitivo, che non arriva mai. L’eroe non sconfigge il drago o il mostro, ma sempre sue manifestazioni temporanee, episodiche, appunto. Così vince la battaglia ma non la guerra. E la storia continua nella puntata successiva dove insorgono anche nuovi fatti e nuovi ‘casi’ a riaccendere gli animi insieme alla loro ‘fede’ per le Istituzioni in generale e quella per la Polizia in particolare.

L’analisi linguistica e formale di questo prodotto televisivo conduce a rintracciare una specifica funzione sociale della fiction: avvicinare e rendere familiare un’espressione dello Stato, la Polizia in questo caso, contribuendo a ridefinirne il nucleo figurativo attorno al quale si produce un certo immaginario collettivo e quindi un certo senso comune che può riorientare la percezione relativa ai ‘reali’ organi istituzionali di tutela della pubblica sicurezza. Insomma: dalla dimensione finzionale a quella reale, il passo è breve. La rappresentazione fornita dalla fiction attiene anche al modo di costruire-rappresentare la ‘realtà’.

In tal senso, la fiction televisiva viene collocata dentro più ampie pratiche sociali di costruzione del discorso e della realtà, dentro cioè quei dispositivi linguistici e narrativi (simbolici) di cui dispongono le comunità per rappresentare se stesse e il proprio mondo ma soprattutto per vedere realizzati, sebbene in un piano finzionale, i propri desideri. Il diffuso bisogno di legalità e di sicurezza, cui corrisponde un grosso senso di illegalità e di insicurezza, sia su scala locale che globale, trova in questa fiction targata RAI, il tentativo di una risposta che, sebbene spostata sul piano mediatico, recupera la sacralità, pure tutta secolarizzata, del potere e della funzione politico-istituzionale delle ‘forze dell’ordine’. La sfera pubblica, la polis, dispersa e frammentata, si può rintracciare o ricomporre in sparute occasioni ‘topiche’. La Festa, i carnevali e le processioni con i Santi, i Miti e i Riti sono sempre più appannaggio di una dimensione privata che ben si adatta alle dimensioni dello schermo (TV, pc, telefono mobile) che, in particolare con i prodotti ‘di serie’, con la fiction seriale cioè, prova a esercitare un ruolo laicamente religioso (nel senso etimologico del religere, unire, tenere insieme).


* Per le foto dell'articolo si ringrazia Gianpaolo Tescari, produttore creativo de La Squadra.

[1] Una produzione RAI Fiction – Grundy Italia s.p.a - Centro Produzione RAI di Napoli in collaborazione con Ministero degli Interni Dipartimento di Pubblica Sicurezza e Polizia di Stato

 

    (1)  [2]