Sacro e
reincanto* | |||
di
Gianfranco Pecchinenda | |||
L'etica
protestante e lo spirito del capitalismo[1]
di Max Weber rimane, a più di cento anni dalla sua
pubblicazione, uno dei più importanti saggi della storia del pensiero
sociologico. Così come è
capitato con altri grandi scritti – si pensi ai saggi di Marx sulla struttura
di classe e a quelli di Bachofen sul matriarcato – L’Etica protestante è stata oggetto nel
corso del secolo di continue riproposte più o meno critiche, che ne
testimoniano in molti sensi il grande valore.
Per molti aspetti tale tesi è
ampiamente dimostrata: propagazione del Capitalismo razionale su scala globale, progressi materiali (e gabbia d’acciaio insieme) in
ampie aree del pianeta. Tuttavia l’organizzazione irrazionale dell’esistenza,
l’importanza della religione (e delle passioni religiose) in molteplici aspetti
del sociale e come orientamento del comportamento collettivo, non sono
scomparse! Atteggiamenti e modelli d’azione e di credenza decisamente
irrazionali pervadono e coinvolgono molteplici e significativi settori della
vita collettiva. Gli indicatori sono molteplici, diffusi e agevolmente
verificabili. Oltre al processo di individualizzazione, uno dei fenomeni più significativi
che hanno caratterizzato la formazione della cultura moderna è stato il
cosiddetto disincanto del mondo.
Molti, partendo dal contributo di Max Weber, hanno analizzato questo importante fenomeno. Se il progressivo disincanto del
mondo pare caratterizzare la modernità occidentale, e non solo, oggi sembra
esserci un’inversione di tendenza, che vari studiosi chiamano de-secolarizzazione,
e che altri – come
Pascal Bruckner[3]
– denominano re-incanto del mondo. Nell’analizzare il consumo di
massa e le strategie di marketing
connesse, Bruckner mostra le conseguenze della
riconciliazione tra quantificabile e meraviglioso, tra tendenze illuministiche
e tendenze tipiche del Romanticismo, che si manifestano nella nostra epoca. “Siamo lontani – egli scrive – dallo spirito
del calcolo razionale che formava, secondo Max Weber, l’ethos degli albori del
Capitalismo: la produzione mercantile viene messa al
servizio di una magia universale, il consumismo culmina nell’animismo degli oggetti. Con l’opulenza ed i suoi corollari
(gli svaghi ed il divertimento), una sorta di incantesimo
a buon mercato viene messo a disposizione di tutti. I prodotti esposti in
vendita nei nostri centri commerciali (…) non sono esseri inerti: vivono,
respirano e, in quanto spiriti, possiedono un’anima ed
un nome. Il ruolo della pubblicità è quella di dare loro una personalità
attraverso una marca, di conferire loro il dono delle lingue, di trasformarle
in piccole persone che parlano (…)”.[4] Già agli inizi degli anni
Sessanta,
Edgar Morin aveva
parlato di questa sorta di “neoarcaismo” proprio di una cultura che, al fine di
raggiungere un pubblico universale, aveva scelto di rivolgersi all’anthropos comune,
al fondo mentale universale che è in parte l’uomo arcaico che ciascuno porta dentro
di sé. “Ed è proprio questo comune denominatore
arcaico – egli scriveva – che richiama il neoarcaismo dei film, dei giochi,
della musica. A queste determinazioni occorre aggiungerne un’altra: la cultura
industriale si rivolge anche all’uomo nuovo delle società evolute, ma quest’uomo del lavoro molecolare e burocratizzato, chiuso
nell’ambiente tecnico, macchina monotona delle grandi città, ha bisogno di evasione, e la sua evasione ricerca sia la giungla, la
savana e la foresta vergine, sia i ritmi e le presenze della cultura arcaica.
La reazione contro un universo astratto, quantificato, oggettivato, si attua
mediante un ritorno alle scaturigini dell’affettività”.[5]
* Testo riprodotto col permesso dell’Autore. [1] M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-1905), Sansoni, Firenze, 1945. [2] M. Gauchet, Il disincanto del mondo, Einaudi, Torino, 1992. [4] P. Bruckner, ibidem. [5] E. Morin,
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